— Ah, cara capitana — disse Aral, entrando in quel momento. — Ti sei alzata. Bene. — Guardò Droushnakovi. — Vedo che ci sei anche tu. Meglio ancora. Cordelia, credo di aver bisogno un momento del tuo aiuto; anzi ne sono certo. — Negli occhi di lui c’era un’espressione stranissima. Stupore, divertimento, preoccupazione? Comunque, stava cercando di apparire impassibile. Vestiva la sua solita tenuta di quand’era a Vorkosigan Surleau: i pantaloni di una vecchia uniforme e una blusa di velluto. Entrando in camera fu seguito da un Koudelka dall’aria tesa e fosca. Il giovanotto indossava una tuta nera da fatica con i gradi di tenente sul colletto e si appoggiava al suo bastone-spada. Drou indietreggiò contro il muro e incrociò le braccia sul petto.

— Il tenente Koudelka, a quanto mi riferisce lui stesso, ritiene suo dovere confessare un’infrazione commessa tempo fa. Presumo che speri di essere assolto — disse Aral.

— Questo non lo merito, signore — borbottò Koudelka. — Ma non posso più vivere con me stesso, se taccio ancora su ciò che ho fatto. — Tenne gli occhi bassi, evitando il loro sguardo. Droushnakovi lo fissava senza respirare. Aral andò a sedersi sul bordo del letto, vicino a Cordelia.

— Aggrappati bene al berretto — le mormorò con un angolo della bocca. — Questo ha colto di sorpresa anche me.

— Ahimè, io sospetto d’essere un passo più avanti di te.

— Non sarebbe la prima volta. — Vorkosigan alzò la voce. — Tenente, può procedere. Sorvoli pure sui preliminari, prego.

— Sì. — Koudelka si girò verso la ragazza bionda. — Drou… cioè, signorina Droushnakovi, è necessario che io le faccia le mie scuse. No, non proprio. Questo può sembrare volgare quanto idiota, e io non voglio sembrare volgare. Lei si aspetta giustamente qualcosa di più che semplici scuse. Merito una punizione, tutto ciò che vuole. Io ho osato sottoporla ad atti indegni.

La bocca di Droushnakovi restò aperta per almeno cinque secondi prima che la voce ne uscisse, secca e sbalordita. — Cosa?

Koudelka ebbe un fremito, ma non alzò lo sguardo. — Mi dispiace… mi scuso di… — balbettò.

— Tu! Tu, cosa? Come… come — ansimò Droushnakovi, inorridita e offesa. — Tu pensi che potresti… oh! — Era rigida, adesso, i pugni stretti, il respiro accelerato. — Tu, razza di sempliciotto! Tu, idiota! Deficiente! Tu… tu… tu… — La lingua le si bloccò. Tutto il suo corpo stava tremando. Cordelia la guardava come affascinata. Aral si passò una mano sulle labbra, pensosamente.

Droushnakovi fece tre lunghi passi verso Koudelka e con un calcio gli fece sfuggire dalle dita il bastone-spada. Lui quasi cadde, con un’esclamazione sbalordita, e mentre perdeva l’appoggio allungò vanamente una mano verso l’oggetto, che rotolò sul pavimento.

Drou lo spinse contro il muro con una spallata, torcendogli un braccio dietro la schiena e comprimendogli i nervi in un’esperta presa di lotta da professionista. Lui grugnì di dolore.

— Tu, scimunito! Atti indegni? Credi davvero che potresti mettermi le mani addosso senza il mio permesso? Oh! Se fosse così… se fosse così… se io… — Le sue parole si spezzarono in un grido oltraggiato che echeggiò dietro l’orecchio sinistro di Koudelka. Lui si contorse, con una smorfia.

— Per favore, non rompere il gomito al mio segretario, Drou. Le articolazioni nuove costano — disse Aral con calma.

— Oh! — La ragazza girò su se stessa, lasciando Koudelka. Lui vacillò e cadde in ginocchio. Con una mano sulla faccia, mordendosi le dita, la ragazza corse alla porta e uscì, sbattendola dietro di sé. Soltanto mentre si allontanava in corridoio lasciò che quel singhiozzo, aspro e doloroso, le uscisse di bocca. Cordelia sentì sbattere un’altra porta. Poi il silenzio.

— Scusa se te lo faccio notare, Kou — disse Aral dopo quella lunga pausa, — ma non credo che la tua auto-accusa reggerebbe, in tribunale.

— Non capisco. — Koudelka scosse il capo, chinandosi a raccogliere il bastone-spada; poi si tirò lentamente in piedi.

— Suppongo che il fatto di cui stiamo parlando sia quello accaduto fra voi la notte dell’attentato. È così? — domandò Cordelia.

— Sì, milady. Io ero andato in biblioteca. Non riuscivo a dormire. Ho acceso uno schermo per controllare alcune cifre. Lei è entrata. Ci siamo seduti, abbiamo parlato… e d’un tratto mi sono accorto che… be’… era la prima volta che mi succedeva, da quando ero stato colpito dal distruttore neuronico, e avevo pensato che non mi sarebbe successo per qualche anno… o mai più. E ho avuto paura. Voglio dire, paura che se non l’avessi fatto finché potevo… — Arrossì. — Così… l’ho presa, là sul divano. Senza chiederlo, senza dire una parola. E poi c’è stato quel rumore da fuori, e siamo corsi in giardino. Il giorno dopo… Drou non mi ha denunciato. Io mi aspettavo che facesse rapporto. Ma lei taceva.

— Ma se non l’hai violentata, perché si è arrabbiata a questo modo soltanto adesso? — domandò Aral.

— Era arrabbiata anche prima — disse Koudelka. — Il modo in cui mi guardava, in queste ultime tre settimane…

— Ciò che vedevi sul suo volto era paura, Kou — disse Cordelia.

— Sì. È quello che ho pensato anch’io.

— Paura d’essere incinta, non paura di te — specificò lei.

— Ah! — disse Koudelka, con voce debole.

— Non lo è, comunque. — Cordelia inarcò un sopracciglio nel sentire un altro «ah!», stavolta di sollievo. — Però è arrabbiata con te, ora. E non posso darle torto.

— Ma se non crede che io la abbia… allora perché?

— Non lo capisci? — Lei guardò Aral, accigliata. — Neppure tu riesci a capirlo?

— Be’…

— È perché l’hai appena offesa, Kou. Non allora, ma adesso, qui, in questa stanza. Ciò che hai detto ha rivelato a Drou, per la prima volta, che quella notte eri così preso da te stesso che non pensavi neppure minimamente a lei. Male, Kou. Molto male. Tu devi chiederle umilmente scusa. Lei era lì, ti ha dato se stessa nel suo ingenuo modo barrayarano, e tu hai apprezzato tanto poco ciò che stava facendo da non accorgertene neppure.

Lui rialzò la testa. — Dato se stessa? Come una carità?

— Mettersi in condizione di restare gravida io non la vedo come una possibile elemosina — borbottò Aral. — Mi sembra chiaro.

— Io non sono un… — Koudelka si girò verso la porta. — Sta dicendo che dovrei correrle dietro?

— Io le striscerei dietro, se fossi te — gli raccomandò lui. — Ma striscia in fretta. Scivola sotto la sua porta, rotolati per terra e lascia che lei ti calpesti finché non si sarà sfogata ben bene. Poi chiedile di nuovo scusa. Così, forse, potresti ancora salvare la situazione. — Aral sogghignò, senza preoccuparsi di mascherare il suo divertimento.

— E questa come la chiamerebbe? Resa senza condizioni? — esclamò Kou, indignato.

— No. La chiamerei una vittoria. — La voce di Aral si raffreddò di qualche grado. — Io ho visto battaglie fra uomini e donne finire con valorosi e solitari armistizi. Eroici cuori sepolti sotto lapidi di cecità e di egoismo. Non credo che tu voglia percorrere quella strada, se ti conosco bene.

— Lei è… milady! Lei sta ridendo di me? La smetta!

— Allora tu smettila di renderti ridicolo — disse bruscamente Cordelia. — Tira la testa fuori dalla sabbia. Cerca di pensare per sessanta secondi consecutivi a qualcuno che non sia te stesso.

— Milady. Mio Lord — disse Koudelka a denti stretti, con fredda dignità. S’inchinò e fece dietro front. Ma quando fu in corridoio, invece di andare a sinistra girò a destra, nella direzione opposta a quella presa da Droushnakovi, e i suoi passi s’allontanarono verso le scale.

Aral scosse il capo, con un sospiro. Poi ebbe un gesto sprezzante. — Be’, all’inferno tutti e due.

Cordelia gli poggiò una mano su un braccio. — Non dire così! Non è divertente per loro. — Il marito la fissò in silenzio, e lei, infine, si accigliò. — Santo cielo, comincio a pensare che volesse essere un violentatore. Strana ambizione. Da molto tempo andava in giro con Bothari?


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