Cordelia fremette. — Sai, non credo che avrei paura di questo se fossi nei panni di Vordarian.

— Oh, ci sono ancora altri modi in cui può vincere. In ciascuno di essi è prevista la mia morte. Senza di me, il Reggente nominato dal defunto Ezar, che scelta resterebbe? Vordarian, come mio sostituto, sarebbe lecito quanto un altro. Se mi uccidesse e catturasse Gregor, o viceversa, potrebbe consolidare il suo potere da questa base… fino al prossimo colpo di stato, al prossimo passo nella catena di faide e rivolte e vendette che echeggerebbero nel nostro futuro. — I suoi occhi si strinsero, come se le vedesse. — Questo è il mio incubo peggiore. Che la guerra non si spenga qui e rinasca finché non arriverà un altro Dorca Vorbarra il Giusto a metter fine a un altro Secolo di Sangue. Dio sa quando. E ad essere franco, nella nostra generazione non vedo un uomo di questo genere.

Guardati allo specchio, pensò cupamente Cordelia.

— Ah, così è per questo che hai voluto mandarmi dal dottore con tanta fretta — lo stuzzicò Cordelia quella notte. Il medico, dopo che le sue prime deduzioni erano state opportunamente corrette, l’aveva visitata con cura, prescrivendole il riposo invece degli esercizi ginnici e autorizzandola anche a riprendere i rapporti coniugali, con moderazione. Aral sogghignò, e fece l’amore con lei come se maneggiasse un cristallo d’antiquariato. S’era ripreso bene dai postumi della soltossina, a giudicare dalla sua energia. Poi dormì come un sasso finché la console delle comunicazioni non li svegliò entrambi, all’alba. Doveva esserci stata qualche piccola cospirazione nel suo staff per arrivare a quell’ora senza intralci. Cordelia immaginava Kou e qualcun altro mormorare: — Giusto, lascia che il Vecchio faccia un po’ di ginnastica da camera. Forse domani sarà un tantino più morbido…

Cordelia rimase a letto, ma la fatica che aveva accumulato si lasciò smaltire in fretta. Il giorno dopo, con la scorta di Droushnakovi, era già in giro ad esplorare i sotterranei.

Nella palestra della Base trovò Bothari al lavoro. Il Conte Piotr non era ancora rientrato, così, dopo aver fatto il suo rapporto ad Aral, al sergente non restava che attendere. — Devo tenermi in forma — le comunicò, gettandosi al suolo per fare alcune flessioni.

— Hai dormito?

— Non molto — disse lui. Si rialzò e riprese a correre. In modo compulsivo, masochistico, già oltre il limite delle sue capacità. Sudava per occupare il tempo e impedirsi di pensare, e Cordelia gli augurò in silenzio buona fortuna.

Fu aggiornata sui dettagli della guerra dai notiziari televisivi, nessuno dei quali diceva la verità, e da suo marito e da Koudelka, che ne conoscevano solo una parte: quali Conti erano loro alleati; chi era in ostaggio e dove; quali compagnie combattevano sull’uno e sull’altro fronte oppure erano state decimate; dove avvenivano gli scontri, e poi i danni, e le vie di rifornimento, e i nomi dei comandanti che avevano rinnovato il loro giuramento di fedeltà… tutte notizie che si affastellavano in lei fino a perdere ogni significato, come una sua versione personale di ciò che la corsa era per Bothari, ma assai meno capaci di distrarla dagli orrori e dai disastri passati o previsti e per impedire i quali lei non poteva fare proprio niente.

Cordelia riusciva ad apprezzare eventi storici di quel genere solo quand’erano separati dalla realtà; un secolo o due nel passato, ad esempio. Immaginò che un freddo storiografo del futuro la stesse guardando attraverso un telescopio temporale, e mentalmente gli rivolse un gesto scurrile. Comunque, e la sua vita glielo stava insegnando, la storia scritta lasciava fuori una delle cose più importanti: non parlava mai dei sentimenti e del destino dei bambini.

No… erano tutti quanti bambini, lì. Ogni figlio di mamma in uniforme verde. Le tornava in mente una delle frasi di Aral, in tono dolce amaro: «… e in quel momento, quando mi bastò un gesto per richiamare la loro attenzione, mi accorsi che i soldati mi stavano guardando come bambini.»

Cordelia spense lo schermo su cui andava in onda una trasmissione gestita dalla propaganda di Vordarian e andò in bagno a prendere le pillole per il mal di capo.

Il terzo giorno, in un corridoio, incrociò il tenente Koudelka che arrivava a passi svelti, rosso in faccia per l’eccitazione.

— Novità, Kou?

— È arrivato Illyan. E ha portato con sé Kanzian!

Cordelia lo seguì verso una sala riunioni. Droushnakovi dovette allungare il passo per riuscire a precederla e ad aprirle la porta. Il capitano Illyan stava facendo rapporto, seduto sul bordo del tavolo, e nel parlare faceva oscillare ritmicamente una gamba. Aral aveva preso posto lì accanto insieme ad altri due del suo staff, e ascoltava con le mani unite davanti a sé e un’espressione attenta sul volto. Pallido e malconcio Illyan aveva un’aria febbricitante, ma i suoi occhi brillavano di soddisfazione. Indossava abiti civili che sembravano rubati da una corda del bucato nei quartieri poveri e stirati con la suola di una scarpa. Dall’altra parte del tavolo sedeva un uomo anziano, a cui un cameriere stava servendo un bicchiere di quello che Cordelia, grazie alla sua esperienza in ospedale, riconobbe per succo di frutta arricchito di sali potassici e vitamine. Lui ne bevve doverosamente un sorso ma ebbe una smorfia, lasciando intuire che avrebbe gradito un ricostituente un tantino più simile al brandy di marca. Di bassa statura, sovrappeso, grigio dove ormai non era già calvo, Kanzian non vantava più da molti anni un aspetto marziale. Avrebbe potuto passare per un professore di scuola o uno studioso dedito alla ricerca scientifica, se non fosse stato per la luce dei suoi occhi, troppo vividi e penetranti per un tranquillo intellettuale. Cordelia l’aveva già incontrato in uniforme; la sua pacata autorità non sembrava compromessa dagli indumenti civili, provenienti forse dalla stessa corda del bucato da cui Illyan aveva rubato i suoi.

— Così abbiamo trascorso l’intera notte nella cantina — stava dicendo Illyan. — Le squadre di Vordarian sono tornate a perquisire l’edificio il mattino dopo, ma… oh, milady!

Il sorriso con cui la accolse parve incrinato da un attimo di senso di colpa quando si affrettò a distogliere lo sguardo dal suo addome. Cordelia avrebbe preferito che continuasse a raccontare con fosco piglio mascolino le disavventure di quei giorni, ma il suo arrivo (l’arrivo del fantasma di una sconfitta che ancora gli bruciava) lo aveva alquanto smontato.

— Simon. Ammiraglio. È una gioia vedervi qui. — Si scambiarono un cenno del capo. Kanzian fece per alzarsi doverosamente, ma ci fu un’unanime profusione di gesti per invitarlo a risparmiare le forze, cosa che lo fece sorridere divertito. Aral la chiamò a sedersi accanto a lui.

Illyan proseguì il suo rapporto. Le sue due settimane di fuga dalle squadre di Vordarian erano trascorse all’incirca come quelle di Cordelia, anche se nell’ambiente più turbinoso della capitale occupata. Dietro le parole dell’uomo lei sentì le stesse incertezze, le stesse preoccupazioni. Kanzian annuiva ogni tanto, per confermare gli eventi di cui era stato testimone anch’egli.

— Ben fatto, Simon — disse Vorkosigan quando Illyan ebbe concluso. Accennò verso Kanzian. — Davvero ben fatto. Non lo dimenticherò.

Illyan sorrise. — Pensavo che lo avrebbe apprezzato, signore.

Vorkosigan si rivolse a Kanzian. — Appena si sarà riposato vorrei metterla al corrente della situazione in sala tattica, signore.

— Grazie, mio Lord. Dopo la fuga dal Quartier Generale sono rimasto tagliato fuori dagli avvenimenti, a parte i notiziari di Vordarian. Anche se abbiamo potuto dedurre molto da ciò che vedevamo. Comunque mi congratulo con lei per la sua strategia di contenimento. Finora è stata efficace. Ma è quasi giunta al suo limite.

— È quello che penso anch’io, signore.


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