— Finirà quando Barrayar trionferà — sbottò lui. — I morti saranno vendicati. E vendicherò anche Kareen. Tutti.

Risposta sbagliata, pensò Cordelia, con uno strano sollievo misto a tristezza. — Bothari — ordinò, — prendi quella spada. — L’uomo andò a raccogliere l’arma dal letto. Lei lasciò sul pavimento il simulatore uterino e gli strinse la mano con cui impugnava l’elsa. — Bothari, giustizia quest’uomo a nome delle sue vittime, ti prego. — Fu stupita dalla serenità della propria voce, casuale come se gli avesse chiesto di farle una commissione. L’omicidio non richiedeva necessariamente l’isterismo.

— Sì, milady — disse rispettosamente Bothari, e sollevò la spada a due mani. Nei suoi occhi c’era un’espressione soddisfatta.

— Cosa? — gridò Vordarian, sbigottito. — Tu sei una straniera, una betana. Tu non puoi…

Il lampo della lama che saettò in un fendente orizzontale troncò le sue parole, la sua testa e la sua vita. Fu un taglio netto e pulito, malgrado il getto di sangue che spruzzò il letto e il tappeto mentre il corpo rotolava al suolo. Vorkosigan avrebbe dovuto servirsi di Bothari allorché avevano decapitato il fratello di Vorhalas. Tutta quella forza e quella voglia di uccidere alla manovra di una lama affilata… La piega morbosa che stavano prendendo i suoi pensieri s’interruppe quando un clangore metallico la richiamò alla realtà. Bothari aveva lasciato cadere la spada. Subito dopo si afferrò la testa fra le mani, mandò un urlo rauco e cadde in ginocchio. Era come se il grido di morte di Vordarian fosse scaturito dalla bocca dell’uomo che gli aveva appena tolto la vita.

Cordelia si chinò accanto a lui. Anestetizzata contro ogni emozione dal momento in cui Kareen aveva sparato col distruttore neuronico, all’improvviso era sgomenta e colma di paura. Sferzata dallo stesso stimolo, la mente di Bothari doveva essere tornata alle carneficine che l’alto comando di Barrayar aveva deciso di fargli dimenticare. Imprecò contro di sé per non aver previsto quella possibilità. Lo aveva condannato alla follia?

— Questa porta sta prendendo fuoco — riferì Droushnakovi, indicando il fumo che penetrava dalle fessure. — Milady, dobbiamo andarcene subito da qui.

Bothari mandava ansiti rauchi, premendosi le mani sulle tempie, ma il suo respiro stava tornando regolare. Cordelia lo lasciò lì e si guardò attorno. Aveva bisogno di una scatola, di qualcosa a tenuta stagna… In fondo all’armadio c’era una borsa di plastica gialla con dentro alcune paia di scarpe da donna, probabilmente ficcata lì da Kareen quando Vordarian aveva decretato che doveva dividere con lui il letto imperiale. Gettò via le scarpe, girò intorno al letto e raccolse la testa mozza dal tappetino su cui era rotolata. Pesava più di quanto avrebbe creduto. La mise nella borsa di plastica e chiuse la cerniera.

— Drou, tu sei più in forma di me. Prendi il simulatore e comincia a scendere. Non dargli troppi scossoni. — Lei poteva permettersi di lasciar cadere la borsa; Vordarian non si sarebbe lamentato.

Droushnakovi annuì, ma prima di raccogliere il simulatore s’infilò nella cintura la spada, ormai orba del fodero. Cordelia non capì se lo facesse per il suo valore storico o per obbligo verso un oggetto affidatole da Kou. Incitò Bothari ad alzarsi. Benché la stanza fosse piena di fumo, il calore del fuoco attirava su dal sotterraneo una forte corrente d’aria fredda. Era una fortuna che non fosse il contrario, perché con un incendio sopra la testa in quei cunicoli avrebbero rischiato di soffocare. Gli uomini di Vordarian che sarebbero venuti a cercare i loro cadaveri, dopo aver spento le fiamme, erano attesi da momenti a cui Cordelia avrebbe pagato per assistere.

La discesa nell’intercapedine fra i due muri fu un incubo di claustrofobia, con Bothari che mugolava penosamente sotto i suoi piedi. Cordelia non poteva tenere la borsa né davanti né di lato, e fu costretta a mettersela in equilibrio su una spalla annaspando sulla scala a pioli con una mano sola.

Quando arrivarono in fondo era sfinita. Bothari stava piangendo, ma lei lo spinse avanti e non gli permise di fermarsi finché non furono nello stanzone sotterraneo, dove c’erano i rifornimenti di Ezar.

— Si sente male? — chiese nervosamente Droushnakovi, mentre lui si gettava a sedere stringendosi la testa fra le mani.

— Ha un brutto mal di capo — rispose Cordelia. — Può darsi che non gli passi tanto presto.

La ragazza la guardò, preoccupata. — Milady, è sicura di sentirsi bene?

Cordelia non poté trattenersi dal ridere, con un tremito violento. Scacciò quello sfogo isterico quando vide che Drou cominciava ad essere davvero spaventata. — No — disse.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

I rifornimenti d’emergenza di Ezar comprendevano una cassetta di marchi barrayarani e valuta straniera. C’erano anche dei documenti falsi per Drou, non ancora scaduti. Cordelia controllò l’aspetto della ragazza e la mandò fuori ad affittare un’auto da superficie. Poi sedette nel sotterraneo silenzioso e aspettò che Bothari uscisse dal suo bozzolo di sofferenza mentale, almeno abbastanza da poter camminare da solo.

Come allontanarsi da Vorbarr Sultana era la parte più debole del loro piano, un po’ perché avevano visto troppe possibili varianti, ma anche perché in effetti non era possibile prevedere niente. I viaggi erano sottoposti a restrizioni; Vordarian aveva messo in atto misure straordinarie per tenere sotto controllo la popolazione. Per la monorotaia occorreva un visto della polizia, e i viaggiatori dovevano esibire i documenti in stazione e sui treni. Gli aeroporti erano in pratica trappole destinate a bloccare un’immensa lista di persone, oltre ai funzionari dell’amministrazione governativa precedente. Fuori città c’erano blocchi stradali e pattuglie. Ma viaggiare a piedi era una soluzione impossibile per chi doveva andare lontano. Non c’era altra scelta.

Drou fece ritorno dopo un’eternità, pallida e stanca, e li guidò di nuovo fuori attraverso i cunicoli, in una strada poco frequentata accanto al palazzo della Camera di Commercio. Quel mattino aveva nevicato per un paio d’ore, e la città era sotto una coltre di neve bianca alta una decina di centimetri. Nonostante la stanchezza Cordelia ne fu affascinata. Dalla parte della Residenza, a meno di un chilometro da lì, una nuvola di fumo si alzava nel grigiore del cielo invernale; evidentemente l’incendio nell’ala nord non era ancora sotto controllo. Quanto avrebbe retto l’organizzazione di Vordarian, ormai letteralmente decapitata? Stava già filtrando all’esterno la notizia della sua morte?

Com’era stata istruita di fare, Drou aveva cercato una macchina a nolo d’aspetto molto comune, anche se avevano abbastanza soldi da affittare il veicolo più lussuoso della città. Cordelia voleva serbare il denaro per i posti di blocco.

Ma i controlli stradali si rivelarono meno temibili del previsto. Il primo blocco, in periferia, era del tutto sguarnito; forse le guardie erano state richiamate per combattere l’incendio o rafforzare la sorveglianza alla Residenza. Il secondo era intasato da decine e decine di veicoli che ingombravano anche l’altra corsia. Le guardie erano irritate e nervose, probabilmente distratte dalle voci che arrivavano dal centro. Alcuni avevano in tasca televisori portatili accesi e ascoltavano le notizie della stazione locale. Un sostanzioso pacchetto di banconote che Drou consegnò insieme ai suoi documenti falsi scomparve nella tasca di una guardia. L’uomo le accennò di proseguire, col suo «zio ammalato», verso casa. Del resto Bothari, sotto la coperta che nascondeva anche il simulatore, non aveva certo un aspetto sano. All’ultimo posto di blocco, due chilometri fuori città, c’era una sola guardia. Drou gli confermò la voce — altri l’avevano già preceduta — che Vordarian era stato ucciso in un attentato, e l’uomo non le chiese neppure i documenti: gettò via il berretto dell’uniforme, s’infilò un impermeabile civile e sparì dietro una siepe, allontanandosi sulla neve in direzione di alcune case coloniche.


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