Se ne andò via, trascinando i piedi, zoppicante e massiccio; attraversò la piazza e giunse al Tiatro, dove ordinò alle giovani madri di prendere i figli e di seguirlo. Quindi guidò la sua ultima spedizione: un gregge di donne impaurite e di bambini piangenti, che seguivano lui e tre uomini più giovani, da lui scelti perché lo accompagnassero sull'ampio viadotto aereo da capogiro, fino alla casa nera e terribile.
Laggiù faceva freddo, e c'era silenzio. Sotto le alte volte delle stanze non c'era alcun suono, tranne quello del mare che succhiava e sbaciucchiava le rocce sottostanti. La sua gente si raccolse tutta in un'unica grande stanza. Si augurò che la vecchia Kerly potesse essere con lui: gli sarebbe stata d'aiuto, ma giaceva morta a Tevar o nella foresta. Infine un paio di donne coraggiose riuscirono a smuovere le altre; trovarono del grano per fare il bhan, dell'acqua per bollirlo, del legno per riscaldare l'acqua. Quando giunsero le donne e i bambini dei Nati Lontano con la loro guardia di dieci uomini, i tevarani poterono offrire loro del cibo caldo. Adesso c'erano cinquecento o seicento persone nel forte, e lo riempivano quasi tutto, cosicché esso echeggiava di voci e c'erano ragazzini tra i piedi dappertutto, quasi come nella parte femminile di una Casa Familiare, nella Città Invernale. Ma dalle strette finestre, al di là della roccia trasparente che teneva lontano il vento, se si guardava in basso, molto in basso, si vedeva l'acqua che si infrangeva sulle rocce, le onde che spumeggiavano nel vento.
Il vento cambiava direzione, e la polvere vagante nella parte settentrionale del cielo era divenuta una foschia, cosicché c'era una sorta di grande cerchio pallido, sospeso intorno al piccolo sole pallido: il cerchio della neve. Era questa la cosa ch'egli avrebbe voluto dire ad Agat. Stava per nevicare. Non una spruzzatina di sale, come la volta precedente, ma neve, neve invernale. La tormenta… La parola che da tanto tempo non pronunciava e non udiva gli fece provare un sentimento strano. Per morire, dunque, egli doveva ritornare al paesaggio vuoto e immutabile della sua fanciullezza, doveva rientrare nel bianco mondo delle tempeste.
Era fermo alla finestra, ma non vedeva le acque che rumoreggiavano sotto di lui. Ricordava l'Inverno. I Gaal avrebbero guadagnato molto, davvero, dall'avere espugnato Tevar, e la stessa Landin! Oggi e domani avrebbero potuto banchettare con gli hann e il grano. Ma fin dove sarebbero potuti arrivare, una volta che la neve fosse cominciata a cadere? La vera neve, la tormenta che spianava le foreste e riempiva le valli; e i venti che le tenevano dietro, con il loro freddo pungente. Come sarebbero scappati, una volta che quel nemico si fosse lanciato contro di loro, lungo le strade! Erano rimasti al nord troppo a lungo. Wold si mise improvvisamente a ridere forte, e si allontanò dalla finestra che s'andava oscurando. Egli era vissuto più della sua condizione di capo, più dei suoi figli, più della propria utilità, e doveva morire laggiù, su una roccia in mezzo al mare; ma aveva grandi alleati, e grandi guerrieri lo servivano… più grandi di Agat o di qualsiasi uomo. Tempesta e Inverno combattevano per lui, ed egli sarebbe sopravvissuto ai suoi nemici.
Camminò ponderosamente fino al focolare, aprì il sacchettino del gesin, ne depose un minuscolo frammento sui carboni e aspirò profondamente, tre volte. Dopodiché ruggì: — Allora, donne! È pronta quella brodaglia? — Mansuetamente lo servirono; a cuor contento mangiò.
CAPITOLO UNDICESIMO
L'assedio della città
Per tutto il primo giorno dell'assedio, Rolery aveva lavorato con coloro che rifornivano di lance gli uomini sulle mura e sui tetti: lunghi pezzi di canna di holn, rozzi e privi di rifinitura, che pesavano circa un chilogrammo e che avevano una delle estremità tagliata in modo da formare una lunga punta. Se ben diretta, una di quelle lance poteva uccidere, e anche scagliata da mani inesperte, una pioggia di quelle era un efficace deterrente contro un gruppo di Gaal che cercasse di sollevare una scala contro le mura ricurve che davano verso l'entroterra. Ella aveva portato fasci di quelle lance, su per scale interminabili, le aveva passate al successivo anello di una catena di portatrici, era corsa con esse lungo le strade spazzate dal vento, e le mani le facevano ancora male a causa delle schegge sottili come capelli, pungenti come aghi. Ma ora, fin dall'alba, continuava a trasportare rocce per le katapul, gli arnesi che scagliavano pietre, come grandi fionde, e che erano rizzati all'interno della Porta di Terra. Quando i Gaal si affollavano intorno alla Porta per usare i loro arieti, le grandi pietre che fischiavano e si schiantavano in mezzo a loro li facevano ogni volta fuggire. Ma per rifornire le katapul occorreva una spaventosa quantità di pietre. I ragazzi lavoravano a disselciare le strade vicine, e una squadra di donne portava le pietre, otto o dieci per volta, fino agli uomini che manovravano le katapul, servendosi di una piccola scatola dagli appoggi rotondi. Otto donne tiravano insieme, legate a lunghe corde. La pesante scatola, con il suo peso morto di pietra, pareva inamovibile, finché ad un certo punto, quando tutte le donne tiravano insieme, gli appoggi rotondi cominciavano improvvisamente a girare, ed esse, con l'arnese che sferragliava e sobbalzava dietro di loro, lo portavano in salita fino alla porta, il tutto in un solo sforzo stremante, lo svuotavano, poi rimanevano per un minuto a riprendere il fiato, scostandosi i capelli dagli occhi, e riportavano indietro il carrello sobbalzante, vuoto, per un nuovo giro. L'avevano continuato a fare per tutta la mattina. Le pietre e le corde avevano fatto venire le vesciche sulle mani di Rolery, nonostante la loro robustezza. Ella aveva strappato dalla sua camicia di pelle sottile alcuni riquadri e se li era legati sulle palme con dei lacci da sandali; la cosa era risultata utile, e altre donne l'avevano imitata.
— Preferirei che non aveste dimenticato come si costruiscono gli eroplani — urlò a Seiko Esmit una volta, mentre scendevano sferragliando di corsa, con il pesante carrello che sobbalzava dietro di loro. Seiko non rispose; forse non aveva sentito. Continuava a svolgere il suo faticoso lavoro (pareva che tra i Nati Lontano non ci fossero dei deboli) ma la fatica era visibile in lei: lavorava come una persona in trance. Una volta, mentre si avvicinavano alla Porta, i Gaal avevano cominciato a scagliare frecce incendiarie che cadevano gettando fumo e scintille sulle pietre e sulle tegole dei tetti. Seiko, imbrigliata dalle corde, si era divincolata come un animale in trappola, impaurita dalle frecce incendiate che volavano sulla sua testa. — Si spengono, questa città non brucia — aveva detto Rolery, piano, ma Seiko, voltandosi e senza guardare, aveva detto: — Ho paura del fuoco, ho paura del fuoco…
Ma quando un giovane armato di balestra, in cima al muro, era stato colpito in faccia da una pietra dei Gaal ed era caduto all'indietro dal suo precario punto di combattimento, precipitando a braccia spalancate accanto a loro, e aveva gettato a terra due delle donne legate al carretto e aveva imbrattato di sangue e materia cerebrale la loro gonna, era stata Seiko a recarsi da lui per prendere sulle ginocchia quella testa fracassata e per mormorare addio al morto. — Era un tuo consanguineo? — domandò Rolery, quando Seiko riprese le corde e tornarono al lavoro. La donna Alterra rispose: — Siamo tutti consanguinei nella Città. Era Jonkendy Li… il più giovane del Concilio.
Un giovane lottatore nell'arena della grande piazza, che luccicava di sudore e di trionfo, e le diceva di andare dove voleva in quella città. Era il primo Nato Lontano che avesse parlato con lei.
Non vedeva Agat dalla sera di due giorni prima, poiché ogni persona, umana o Nata Lontano, rimasta a Landin aveva il proprio compito e il proprio posto, e quello di Agat era dappertutto, dovendo armare una città di millecinquecento abitanti contro un esercito di quindicimila uomini. Con il trascinarsi del giorno, quando la stanchezza e la fame cominciarono a consumare le sue forze, ella cominciò a vedere anche lui disteso a terra sulle pietre sporche di sangue, all'altro principale punto d'attacco, la Porta del Mare, sopra gli scogli. La sua squadra interruppe il lavoro per mangiare pane e frutta secca portati da un ragazzo allegro che spingeva un carretto di vettovaglie del solito tipo, con gli appoggi rotondi; una seria ragazzina che trascinava un otre d'acqua diede loro da bere. Rolery si rincuorò. Era certa che tutti loro sarebbero morti, poiché ella aveva visto, dalla cima dei tetti, i nemici che oscuravano le montagne: il loro numero non aveva fine, essi non avevano ancora iniziato l'assedio vero e proprio. Ed ella era altrettanto certa che Agat non potesse essere ucciso, e che, per il fatto che egli sarebbe sopravvissuto, sarebbe sopravvissuta anche lei. Che aveva a che fare con lui la morte? Egli era la vita: la vita di Rolery. Si sedette sulla strada lastricata, masticando soddisfatta il pane duro. La mutilazione, lo stupro, la tortura e l'orrore la circondavano a meno di un tiro di freccia da tutte le parti, ma ella continuò a sedere laggiù e a masticare il suo pane. Finché avessero combattuto con ogni loro forza, con tutto il cuore, così come stavano facendo, erano almeno al sicuro dalla paura.