— I Gaal se ne sono andati — disse Alla Pasfal a voce alta, sollevando la faccia segnata dal tempo. — Adesso sono in cammino, in qualche valle tra due montagne… questa immagine mi è giunta assai chiaramente.

— La valle del Giln — mormorò uno degli uomini. — Circa dieci chilometri a sud delle Paludi.

— Stanno fuggendo dall'Inverno. Le mura della città sono salve.

— Ma la legge è stata spezzata — disse Agat, e la sua voce, divenuta roca, passò come una lama in mezzo al mormorio di speranza e di giubilo. — Le mura si possono riparare. Be', vedremo…

Rolery lo accompagnò giù per le scale e attraverso l'ampia Sala delle Assemblee, affollata ora di tavole e cavalletti, poiché la mensa comune era stata allestita laggiù, sotto gli orologi dorati e i disegni di cristallo dei pianeti che ruotavano intorno ai loro soli. — Andiamo a casa — egli disse, e infilandosi il grosso cappotto di pelliccia che era stato distribuito a tutti, prelevato dai magazzini sotto il Palazzo Vecchio, uscirono insieme nell'accecante vento della Piazza. Prima ancora che avessero potuto fare dieci passi, una grottesca figura sporca di bianco e di strisce rossastre uscì dalla tempesta e si precipitò verso di loro, urlando: — La Porta del Mare, sono dentro le mura alla Porta del Mare…

Agat rivolse una sola occhiata a Rolery e scomparve nella tempesta. In un attimo, il clamore del metallo contro il metallo si alzò bruscamente dalla torre che li sovrastava, rimbombando nell'aria resa pesante dalla neve. Chiamavano campana quel grande rumore, e prima ancora che iniziasse l'assedio, tutti avevano imparato i suoi segnali. Quattro colpi, cinque, e poi silenzio, poi cinque ancora, e altri cinque: tutti alla Porta del Mare, la Porta del Mare…

Rolery trascinò di lato il messaggero, sotto il porticato del Palazzo della Lega, prima che gli uomini accorressero dalla porta, senza pelliccia o sforzandosi di infilarla mentre correvano, armati e disarmati, precipitandosi nella neve turbinosa, e svanendo in essa prima ancora di essere giunti a metà della Piazza.

Non giunsero altri. Ella poté udire del rumore in direzione della Porta del Mare, rumore che sembrava molto lontano in mezzo al suono del vento e l'effetto ovattante della neve. Al riparo sotto il porticato, il messaggero si appoggiava a lei. Sanguinava da una profonda ferita al collo, e sarebbe caduto se ella non l'avesse tenuto. Riconobbe la sua faccia; era l'Alterra chiamato Dipilota, ed ella si servi del suo nome per tenerlo cosciente e per farlo muovere mentre cercava di portarlo all'interno dell'edificio. Egli inciampava per la debolezza e mormorava come se volesse ancora comunicare il suo messaggio: — Sono dentro, hanno fatto irruzione, sono dentro le mura…

CAPITOLO DODICESIMO

L'assedio della piazza

L'alta, stretta Porta del Mare venne chiusa, le sbarre ritornarono nella loro sede. La battaglia nella tempesta era finita. Ma gli uomini della città, voltandosi, videro, al di là dei mucchi di neve macchiati di sangue della strada e dietro la neve che ancora cadeva, numerose ombre che correvano.

Si affrettarono a raccogliere i loro morti e feriti e ritornarono alla Piazza. In quella tormenta, non si poteva esercitare alcuna sorveglianza contro le scale e i nemici che cercassero di arrampicarsi: sulle mura la visibilità era ridotta a cinque o sei metri. Un Gaal o un gruppo di Gaal si era insinuato all'interno, proprio sotto gli occhi delle guardie, e aveva aperto agli assalitori la Porta del Mare. L'assalto era stato ricacciato indietro, ma il prossimo poteva avere luogo in qualsiasi punto, in qualsiasi momento, con forze assai maggiori.

— Io credo — disse Umaksuman, camminando insieme con Agat in direzione della barricata tra il Tiatro e il College, — che la maggior parte dei Gaal si sia diretta a sud, oggi.

Agat annui. — Sono stati costretti a farlo. Se non vanno avanti, muoiono di fame. Ciò che dobbiamo affrontare adesso è una forza di occupazione, lasciata indietro per finirci e per vivere delle nostre riserve. Quanti possono essere?

— Alla porta non erano più di un migliaio — disse l'indigeno, perplesso, — ma possono essercene altri. E tutti saranno all'interno delle mura… Laggiù! — Umaksuman indicò una forma che scappava, piegata in due, e che era apparsa per un istante fra le cortine di neve, a metà della strada. — Tu da quella parte — mormorò l'indigeno, e svanì improvvisamente a sinistra. Agat fece il giro dell'isolato, da destra, e incontrò nuovamente Umaksuman nella strada. — Non ho avuto fortuna — disse.

— Io sì — disse il tevarano, concisamente, e sollevò una scure Gaal, intarsiata d'osso, che prima non aveva. Alta sulle loro teste, la campana della torre del Palazzo continuava a mandare rintocchi sordi e lenti attraverso la neve: uno, due… uno, due… uno, due… Ritirarsi nella Piazza, nella Piazza… Tutti coloro che avevano combattuto alla Porta del Mare, coloro che erano di sentinella sulle mura e alla Porta di Terra, o che dormivano nelle loro case o cercavano di sorvegliare dai tetti, erano giuriti o si stavano recando nel cuore della città, la Piazza tra i quattro grandi edifici. A uno a uno vennero fatti passare oltre le barricate. Umaksuman e Agat infine giunsero anch'essi, consapevoli che era follia rimanere in quelle strade percorse da ombre. — Andiamo, Alterra! — lo sollecitò l'indigeno, e Agat lo segui, riluttante. Era duro lasciare la città al nemico.

Il vento era calato. A volte, attraverso lo strano e complesso silenzio della tempesta, la gente radunata nella Piazza poteva udire rumori di vetri infranti, il colpo di un'ascia contro una porta, provenienti da una delle strade che si perdevano nella neve che ancora cadeva. Molte delle case erano aperte, a disposizione dei saccheggiatori; in esse i Gaal avrebbero trovato ben poco, oltre a un riparo dalla neve. Ogni briciola di cibo era stata trasferita ai magazzini del Palazzo, una settimana prima. I tubi che portavano acqua e gas naturale alle case, eccetto quelli dei quattro edifici della Piazza, erano stati chiusi la notte prima. Le fontane di Landin erano asciutte, sotto i loro anelli di ghiaccioli e il loro peso di neve. Tutti i magazzini e i granai erano sottoterra, nelle cantine e gallerie scavate generazioni prima, al di sotto del Palazzo Vecchio e del Palazzo della Lega. Vuote, gelide, buie, le case deserte non offrivano nulla agli invasori.

— Possono vivere delle nostre mandrie per una fase lunare… anche senza foraggio per le bestie; abbatteranno gli hann e affumicheranno la carne… — L'Alterra Dermat aveva incontrato Agat alla porta del Palazzo della Lega, ed era in preda al panico, pieno di rimbrotti.

— Per prima cosa dovranno catturare gli hann — brontolò Agat, come risposta.

— Cosa vuoi dire?

— Voglio dire che abbiamo aperto le porte delle stalle pochi minuti fa, mentre eravamo alla Porta del Mare, e abbiamo lasciato fuggire gli animali. Il Pastore Paol era con me, e ha trasmesso un'onda di panico. Sono scappati via come una freccia, precipitandosi nella tempesta.

— Hai lasciato fuggire gli hann… le mandrie? Di che cosa vivremo per il resto dell'inverno… se i Gaal se ne andranno?

— Paol ha trasmesso anche a te il panico degli hann, Dermat? — sbottò Agat. — Credi che non siamo capaci di radunare ancora una volta i nostri animali? E le riserve di grano, la caccia, il grano della neve… che diavolo ti piglia?

— Jakob — mormorò Seiko Esmit, ponendosi fra lui e il vecchio. Si accorse che aveva urlato contro Dermat, e cercò di ricomporsi. Ma era maledettamente difficile arrivare da un combattimento sanguinoso come la difesa della Porta del Mare e doversi occupare di un caso di isterismo maschile. La testa gli faceva male, violentemente; la ferita al cuoio capelluto che si era fatto in una delle incursioni contro l'accampamento dei Gaal gli faceva ancora male, anche se avrebbe già dovuto essersi rimarginata; alla Porta del Mare non aveva ricevuto ferite, ma era sporco del sangue di altri uomini. Sulle alte finestre, prive di imposte, della biblioteca, la neve formava strisce e bisbigliava. Era mezzogiorno; sembrava il crepuscolo. Sotto le finestre si stendeva la Piazza con le sue barricate ben sorvegliate. Al di là di queste si allargavano le case abbandonate, le mura indifese, la città della neve e delle ombre.


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