«No?»

«No, no. Tutto quello che non serve effettivamente per pagamenti immediati, viene impiegato il più a lungo possibile in investimenti a breve termine che diano degli utili. Così su tutti i nostri conti c’è solo il minimo legale. Quando arriva un conto, lo passo al computer e trasferisco quanto basta per coprirlo dal conto di investimento al conto di credito.»

«E il gioco… eh, vale il rischio?»

«Rischio?! È una pratica basilare comune! Abbiamo guadagnato oltre quattromila crediti federali GSA su interessi e dividendi la settimana scorsa, fino a quando non siamo scesi sotto il minimo di conto.»

«Oh» disse Miles e per un attimo contemplò l’idea di abbandonare la guerra e di darsi alle speculazioni in borsa… Liberi Mercenari Dendarii, Società Finanziaria. Ma ohimè, probabilmente l’Imperatore avrebbe avuto qualcosa da dire al riguardo…

«Ma questi idioti» proseguì il tenente Bone indicando con un gesto la schematica che rappresentava la sua versione delle avventure pomeridiane di Danio, «hanno cercato di attingere al conto direttamente attraverso il suo numero, invece che tramite la Ragioneria Centrale della Flotta, come non ho fatto che ripetere a tutti. E dato che al momento siamo tanto a corto di fondi, la richiesta è stata respinta. A volte ho la sensazione di parlare ai sordi.» Altri grafici minacciosi sgorgarono dalla punta delle sue dita. «Ma io non posso continuare questi passaggi all’infinito, signore! Il conto di investimento adesso è vuoto, quindi non produce denaro extra. Non sono sicura che riusciremo a durare altri sei giorni. E se il trasferimento di credito non arriva…» sollevò le braccia al cielo, «tutta la flotta dendarii finirà in liquidazione forzata, un pezzetto alla volta!»

«Oh» commentò Miles massaggiandosi il collo: si era sbagliato, il mal di testa non stava passando. «Non c’è un modo per far girare il denaro da un conto all’altro in modo da creare… ehm… denaro virtuale? Temporaneamente?»

«Denaro virtuale?» Bone piegò le labbra in una smorfia disgustata.

«Per salvare la flotta. Come in combattimento. Contabilità mercenaria…» unì le mani e le strinse tra le ginocchia, rivolgendole uno sguardo speranzoso. «Naturalmente, se non è in grado di farlo…»

La donna dilatò le narici. «Certo che sono in grado. Ma il giochetto a cui sta pensando lei si basa in massima parte sui ritardi. La rete finanziaria della Terra è totalmente integrata in tempo reale, non ci sono ritardi a meno che non si lavori su base interstellare. Le dico io cosa potrebbe funzionare, però…» si interruppe e poi riprese, «però potrebbe anche non funzionare…»

«Che cosa?»

«Andare in una grande banca e ottenere un prestito a breve termine dando come garanzia, che so, qualche apparecchiatura vitale.» Il suo sguardo vagò lungo le paratie della Triumph, lasciando capire senza ombra di dubbio a quale apparecchiatura vitale stesse pensando. «Certo, non dovremo fare menzione di certe altre garanzie in sospeso e della portata del deprezzamento, per non parlare di qualche piccola ambiguità su quello che è o non è proprietà della flotta in quanto società rispetto ai Capitani-proprietari… ma almeno sarebbe denaro vero.»

E cosa avrebbe detto il commodoro Tung quando avesse scoperto che Miles aveva ipotecato la sua ammiraglia? Ma Tung non c’era, Tung era in licenza e al suo ritorno, tutto sarebbe già stato risolto.

«Dovremo chiedere due o tre volte l’ammontare che ci serve effettivamente, per essere sicuri di ottenere abbastanza» proseguì il tenente Bone. «E sarà lei a dover firmare, in quanto ufficiale superiore.»

Sarebbe stato l’ammiraglio Naismith a dover firmare, corresse Miles, un uomo la cui esistenza legale era strettamente… virtuale, anche se non c’era pericolo che una banca terrestre venisse a sapere una cosa simile. La flotta dendarii sosteneva in modo più che convincente la sua identità. Questa poteva risultare la cosa meno pericolosa che avesse fatto in vita sua. «Proceda pure, tenente Bone. E… hum… dia in garanzia la Triumph, è la cosa più grossa che abbiamo.»

Il tenente annuì e raddrizzò le spalle, ovviamente sollevata e riprese in parte la sua abituale serenità. «Sissignore. Grazie, signore.»

Con un sospiro, Miles si rimise in piedi. Sedersi era stato un errore, adesso i suoi muscoli stanchi erano andati in tilt. Quando le passò accanto, la vide dilatare le narici: forse era il caso che dedicasse qualche minuto ad una bella doccia. Sarebbe già stato difficile spiegare la sua sparizione quando fosse tornato all’ambasciata e non era il caso di aggiungerci anche delle spiegazioni sul suo aspetto quantomeno curioso.

«Denaro virtuale» mormorò in tono di disapprovazione il tenente Bone mentre lui usciva, «Buon Dio.»

CAPITOLO QUARTO

Miles si fece la doccia, si mise un’uniforme pulita e un paio di stivali di ricambio; a quel punto le pillole avevano fatto effetto e tutti i dolori erano scomparsi. Ma quando si sorprese a fischiettare mentre si metteva il dopobarba e si aggiustava intorno al collo un fazzoletto di seta nero, piuttosto vistoso e assolutamente non regolamentare, decise che forse la prossima volta sarebbe stato il caso di dimezzare la dose: si sentiva troppo bene.

Era un vero peccato che nell’uniforme dendarii non fosse compreso anche un basco, da portare spavaldamente sulle ventitré. A pensarci bene, però, lui avrebbe potuto ordinare di aggiungercelo. Di sicuro Tung lo avrebbe approvato; secondo le sue teorie, infatti, un’uniforme elegante era di grande aiuto per il reclutamento e il morale. Ma Miles non era del tutto sicuro che con quel sistema non si sarebbero ritrovati con un mucchio di reclute, arruolate solo per fare una sfilata di moda. Al soldato Danio un basco non sarebbe certo spiaciuto… accantonò quel pensiero.

Elli Quinn, che lo attendeva paziente al corridoio di attracco numero sei della Triumph, si alzò in piedi con una mossa aggraziata e lo precedette nella navetta dicendo: «Sarà meglio che ci sbrighiamo. Per quando tempo credi che tuo cugino sarà in grado di coprirti, all’ambasciata?»

«Temo che la faccenda sia già una causa persa» disse Miles, sedendosi al posto del passeggero e allacciandosi la cintura, perché dopo aver letto le avvertenze sulla scatola di pillole a proposito della guida e dell’uso di macchinari, aveva deciso che era meglio che guidasse Elli. La piccola navetta si staccò dolcemente dal fianco dell’ammiraglia e si inserì nel corridoio di discesa previsto.

Miles si mise a riflettere morbosamente sull’accoglienza che avrebbe trovato al rientro all’ambasciata. Il minimo che poteva aspettarsi era di essere confinato nel suo alloggio, anche se poteva invocare delle circostanze attenuanti, per quello che valevano e lui non se la sentiva proprio di affrettarsi verso quella condanna. Era lì, sulla Terra, in una calda notte d’estate, in compagnia di una splendida ragazza ed erano solo (gettò un’occhiata all’orologio) le 23.00: la notte cominciava adesso e Londra e i suoi abitanti vivevano ventiquattr’ore su ventiquattro. A quel pensiero, chissà perché, il suo morale si risollevò inesplicabilmente.

Ma cosa potevano fare? Andare a bere qualcosa era fuori questione: con la sua strana fisiologia, Dio solo sapeva che effetto avrebbe potuto fargli l’alcol aggiunto alle pillole che aveva preso… di certo però non avrebbe migliorato la sua coordinazione. Uno spettacolo? Da un punto di vista della sicurezza avrebbe significato restare fermi a troppo a lungo in uno stesso posto; no, era meglio fare qualcosa che li tenesse in movimento.

Al diavolo i cetagandani: non aveva nessuna intenzione di diventare ostaggio della paura. L’ammiraglio Naismith avrebbe avuto la sua ultima avventura prima di venir riappeso nell’armadio. Le luci del porto lampeggiarono sotto di loro, ingrandendosi. Mentre rullavano verso il loro hangar (affitto 140 GSA federali al giorno) presidiato da una guardia dendarii, Miles sbottò: «Ehi, Elli, andiamo… andiamo a guardare le vetrine.»


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