«Miles, ehi!» esclamò Elli. «Lasciami andare il braccio! Ma cosa succede?»

«…cadendo» boccheggiò Miles.

«Ma certo che stiamo cadendo,» confermò Elli «questo è un tunnel di discesa. Ti senti bene? Fammi vedere le pupille.» Afferrò una maniglia e la tirò verso la parete del tunnel, fuori dalla zona centrale di traffico veloce. I londinesi nottambuli continuarono a svolazzare attorno a loro. L’inferno era stato modernizzato, decise Miles completamente frastornato, e questo era un fiume di anime perse che scendeva gorgogliando in una fognatura cosmica, in fretta, sempre più in fretta.

Erano le pupille degli occhi di Elli ad essere grandi e scure…

«Le pupille ti si dilatano o si restringono quando ti viene una di quelle tue imprevedibili reazioni ai medicinali?» gli chiese preoccupata, il volto a pochi centimetri dal suo.

«Cosa fanno in questo momento?»

«Pulsano.»

«Allora sto bene» riuscì a dire Miles. «Ormai il medico controlla due volte tutto quello che mi fa prendere. Però mi aveva detto che poteva lasciarmi un po’ confuso.» Non le aveva lasciato andare il braccio.

E di colpo, Miles si rese conto che nel tunnel la differenza di altezza era annullata: erano sospesi faccia a faccia, anche se gli stivali di Miles galleggiavano sopra le sue anche… non aveva neppure bisogno di cercare una cassa per salirci sopra, né tantomeno di farsi venire il torcicollo… e d’impulso, affondò le labbra su quelle di lei.

Ci fu un istante di terrore nella sua mente, come l’attimo in cui si era tuffato dalle rocce in trenta metri di acqua limpida color smeraldo, anche se sapeva che era gelata, dopo che si era arreso alla gravità, ma prima di rendersi conto pienamente delle conseguenze del suo gesto.

L’acqua era calda, calda… gli occhi di Elli divennero ancor più grandi, per la sorpresa. Miles esitò, perdendo così quel prezioso istante di follia e fece per scostarsi. Allora le labbra di Elli si aprirono e la mano di lei lo afferrò alla nuca. Era una donna atletica e quella presa pur non essendo regolamentare era però un efficace modo di immobilizzarlo. E questa era la prima volta che essere immobilizzato a tappeto voleva dire che aveva vinto. Divorò le sue labbra come un affamato, le baciò le guance, le palpebre, la fronte, il naso… dov’era finita quella bocca dolcissima? Ah, eccola qui…

Il pacchetto voluminoso che conteneva la pelliccia viva cominciò ad andarsene lentamente alla deriva, sbattendo contro le pareti del pozzo. Vennero urtati da una donna in discesa che li gratificò di un’occhiata severa e poi da un divertito adolescente che scendendo all’impazzata al centro del tunnel, fischiò verso di loro, facendo un gesto esplicito e tutt’altro che decente e in quel momento, il cercapersone nella tasca di Elli si svegliò.

Imbarazzati, recuperarono il pacco, presero la prima uscita che trovarono, e passando di corsa sotto un arco, raggiunsero una piattaforma della metropolitana. Si fermarono e si guardarono, scossi. In un unico istante di follia, si rese conto Miles, aveva mandato a carte e quarantotto tutto il delicato equilibrio del loro rapporto e adesso cos’erano? Ufficiale e subalterno? Un uomo e una donna? Amico e amica? Amante e amante? Poteva essere un errore fatale.

Ma avrebbe potuto essere fatale anche senza l’errore: la lezione di Dagoola aveva lasciato il segno. L’individuo dentro l’uniforme era qualcosa di più di un semplice soldato, l’uomo era molto più complesso del suo ruolo. Domani la morte avrebbe potuto prendersi non solo lui, ma anche lei e un universo di possibilità e non solo un ufficiale comandante, si sarebbe estinto. L’avrebbe baciata di nuovo… ma qui, maledizione, arrivava solo a quella gola di avorio…

Quella gola di avorio emise un suono frustrato e Elli aprì il canale di sicurezza del comunicatore, dicendo: «Che diamine…?»

«Comandante Quinn?» disse la voce di Ivan Vorpatril, distante ma chiara. «Miles è con lei?»

Una smorfia di frustrazione curvò le labbra di Miles: il tempismo di Ivan era sovrannaturale, come sempre.

«Sì, perché?» rispose Quinn.

«Bene, allora gli dica di riportare qui le sue chiappe. Sto tenendogli aperto un buco nella rete di Sicurezza, ma non so per quanto ancora potrò reggere. Che diavolo, non so per quanto ancora potrò restare sveglio.» Dal comunicatore giunse un lungo annaspare che Miles interpretò come uno sbadiglio.

«Mio Dio, non pensavo che potesse farlo davvero» mormorò, afferrando il comunicatore. «Ivan? Puoi davvero farmi rientrare senza che mi vedano?»

«Solo per altri quindici minuti. E per farlo ho dovuto contravvenire a tutti i regolamenti del manuale e oltre. Sono di servizio al posto di guardia del terzo livello sotterraneo, dove si incrociano le fognature e le condutture elettriche. Posso cancellare dalla registrazione video l’inquadratura del tuo ritorno, ma solo se arrivi prima del caporale Veli. Non ho niente in contrario a rischiare le chiappe per te, ma non ho nessuna intenzione di rischiarle a vuoto, hai capito?»

Elli stava studiando sullo schermo la coloratissima mappa della metropolitana. «Direi che puoi farcela al pelo.»

«Non servirebbe a niente…»

Lei lo afferrò per il gomito e lo sospinse verso la bolla di trasporto, mentre nei suoi occhi la luce ferrea del dovere si sostituiva alla tenerezza. «Abbiamo ancora dieci minuti da stare insieme durante il tragitto.»

Miles si sfregò il volto, mentre lei andava a vidimare i biglietti, cercando di riportare con la forza un po’ di razionalità nella sua mente. Sollevò lo sguardo e vide il suo volto sfocato riflesso in una parete a specchio, soffuso di frustrazione e paura. Chiuse gli occhi con forza e poi guardò ancora, spostandosi a fianco del pilastro che nascondeva in parte la parete. Molto sgradevole: per un attimo aveva visto la sua immagine con indosso l’uniforme barrayarana. Maledetti analgesici. Era forse il suo subconscio che stava cercando di dirgli qualcosa? Be’, probabilmente sarebbe stato davvero nei guai solo nel momento in cui l’elettroencefalogramma del suo cervello, preso mentre indossava le due diverse uniformi, avesse mostrato due tracciati differenti…

Riflettendoci bene, però, quell’idea non era per niente divertente.

Durante il tragitto tenne abbracciata Elli in preda a sensazioni molto più complicate del semplice desiderio sessuale. Si baciarono seduti nel vagone bolla, ma fu più una sofferenza che un piacere; e quando arrivarono a destinazione, Miles era nel peggior stato di eccitazione fisica che avesse mai sperimentato. Senza dubbio tutto il suo sangue aveva abbandonato il cervello per ingolfarsi all’inguine, trasformandolo in un idiota sopraffatto dalla lussuria e dall’ipossia.

Elli lo salutò sul marciapiede del distretto dell’ambasciata con un sussurro angosciato: «A più tardi…!» E fu solo dopo che la galleria della metropolitana l’ebbe ingoiata che Miles si rese conto che gli aveva lasciato il sacchetto, da cui usciva un ritmico vibrare.

«Che grazioso animaletto.» Miles sollevò il pacco con un sospiro e zoppicando, si avviò verso casa.

Il mattino seguente si svegliò con il cervello annebbiato, avvolto in una ronfante pelliccia nera.

«Un cosina molto amichevole, vero?» commentò Ivan.

Miles si districò dal pelo, sputacchiando. Il commesso aveva mentito: era ovvio che quella quasi bestia mangiava la gente, non le radiazioni; le avviluppava silenziosamente nottetempo e le ingoiava, come un’ameba… maledizione, lui l’aveva lasciato ai piedi del letto. Migliaia di bimbi, che scivolavano sotto le coperte per proteggersi dai mostri nascosti negli armadi, stavano per avere una brutta sorpresa. Quell’educato e colto commesso di pellicce era chiaramente un agent-provocatuer assassino cetagandano…

Con indosso solo la biancheria e lo spazzolino che spuntava in mezzo agli incisivi candidi, Ivan si chinò e passò la mano su quel pelo setoso e nero. La pelliccia si increspò, come se cercasse di sollevare la schiena per seguire le carezze. «È sorprendente» articolò Ivan facendo passare lo spazzolino da un lato all’altro delle guance non rasate. «Ti viene voglia di strofinartelo su tutta la pelle.»


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