— Ho lasciato detto all'entrata di far venire qui la polizia — dice lui. — Ho dovuto anche riferire al signor Crenshaw. — Aggrotta la fronte. — Era in riunione. Lo avviseranno quando uscirà.

Suona il campanello della porta. Gli impiegati che lavorano in questo edificio hanno tutti la chiave magnetica: solo i visitatori adoperano il campanello. — Vado io — dice il signor Aldrin. Io non so se andare in ufficio o restare nell'atrio. Resto nell'atrio e guardo il signor Aldrin andare alla porta. L'apre e dice qualcosa all'uomo che è comparso sulla porta. Non posso distinguere se è lo stesso uomo al quale ho già parlato finché lui non si avvicina, e allora lo riconosco subito: è lui.

13

— Salve, signor Arrendale — dice lui tendendo la mano. Io tendo la mia, benché le strette di mano non mi piacciano. So che è il gesto appropriato. — C'è qui un posto dove possiamo parlare?

— Il mio ufficio — dico, e faccio strada. Non ho mai visitatori, quindi c'è una sola sedia. Vedo che il signor Stacy guarda le mie girandole, spirali e altre decorazioni. Non so cosa possa pensarne. Il signor Aldrin mormora qualcosa al signor Stacy ed esce. Io non siedo perché non è educato sedere quando le altre persone stanno in piedi; ma il signor Aldrin torna con una sedia che riconosco per una di quelle del cucinino. La mette giù nello spazio tra la mia scrivania e gli scaffali, poi va a mettersi davanti alla porta.

— Lei è? — chiede Stacy rivolgendosi a lui.

— Pete Aldrin; sono il supervisore di Lou. Non so se lei capisce… — Aldrin mi lancia un'occhiata che non riesco a interpretare, e Stacy annuisce.

— Ho già parlato una volta con il signor Arrendale — dice. Ancora una volta rimango sbalordito per come lo fanno, per il modo in cui si passano informazioni senza pronunciare parole. — Non voglio trattenerla.

— Ma io… penso che Lou abbia bisogno…

— Signor Aldrin, il signor Arrendale non ha nulla da temere. Noi stiamo cercando di aiutarlo, di fare in modo che quel pazzo non gli faccia del male. Ora, se lei avesse un posto sicuro dove lui possa restare per pochi giorni, mentre noi cerchiamo di localizzare il vandalo, questo ci sarebbe di aiuto, ma altrimenti… non credo proprio che gli serva una balia mentre parlo con lui. Naturalmente, dipende dal signor Arrendale… — Il poliziotto mi guarda. Vedo qualcosa nel suo viso che potrebbe essere un sorriso, ma non ne sono sicuro. È un'espressione ambigua.

— Lou è una persona di grandi capacità e che noi apprezziamo molto — dice il signor Aldrin. — Io volevo solo…

— Assicurarmi che venga trattato come si deve. Lo capisco. Ma deve decidere lui.

Adesso mi guardano tutti e due, e io mi sento impalato da quelle due paia di occhi. So che il signor Aldrin vuole che io gli dica che può rimanere; ma lui vuol rimanere per le ragioni sbagliate e io non desidero che resti. — Andrà tutto bene — lo tranquillizzo. — La chiamerò se avrò bisogno di lei.

— Aspetto fuori, allora. — Esce e io sento i suoi passi risuonare nel corridoio. Entra nel cucinino e sento l'altra sedia scricchiolare. Evidentemente ha deciso di rimanere lì.

Il poliziotto chiude la porta del mio ufficio e siede nella sedia che Aldrin ha portato per lui. Io siedo nella mia poltrona. L'uomo si guarda intorno.

— Le piacciono le cose che girano, vero?

— Sì — dico. Mi chiedo quanto tempo rimarrà. Dovrò rimettere in pari il tempo perso.

— Ora le spiegherò alcune cose sui vandali — dice. — Ce ne sono di diversi tipi. C'è quello… di solito un ragazzino, che vuole solo provocare danni. Così taglia una gomma o rompe un parabrezza o porta via un segnale stradale… tanto per fare casino, e non sa e non si cura di sapere a chi fa il danno. Poi c'è quella cosa che noi chiamiamo rigurgito. Succede una rissa in un bar che poi continua fuori, e allora si ammaccano le automobili del vicino parcheggio; oppure c'è una folla per strada, qualcuno comincia a fare il matto e di colpo anche gli altri si mettono a infrangere vetrine e a rubare roba. Tra loro c'è gente che abitualmente non è violenta… che poi magari si scandalizza per come si è comportata in mezzo alla folla. — Fa una pausa e mi guarda. Io annuisco, so che lui vuole da me una risposta.

— Lei vuol dire che alcuni vandali non hanno intenzione di danneggiare una persona in particolare.

— Esatto. C'è l'individuo che gode a far danni ma senza conoscere la vittima; e c'è l'individuo che di solito non fa danni ma si trova coinvolto in una situazione violenta. Ora, quando noi ci troviamo di fronte a un episodio di vandalismo… come la faccenda delle sue gomme… che chiaramente non è un rigurgito, immediatamente pensiamo all'individuo a cui piace far danni, e che è il tipo di vandalo più comune. Se qualche altra macchina avesse avuto le gomme tagliate nel suo stesso quartiere nelle settimane seguenti, noi avremmo supposto che qualche monellaccio si stava divertendo a modo suo. Molto seccante ma non pericoloso.

— Anche costoso, per i proprietari delle automobili — dico.

— Certo, e per questo l'azione è illegale. C'è però un terzo tipo di vandalo, e quello è pericoloso: il vandalo che se la prende con una persona in particolare. Tipicamente questa persona comincia con qualcosa che provoca danni ma non è dannosa… come tagliare le gomme. A questo punto alcune di queste persone si fermano, soddisfatte di una singola vendetta; e allora tutto può ancora andar bene. Ma altri non si accontentano, e a questo punto bisogna cominciare a preoccuparsi. Nel suo caso noi vediamo il taglio delle gomme, relativamente non violento, seguito dalla rottura del parabrezza, azione più violenta, e infine l'ancora più violento piazzamento di una piccola carica di esplosivo in un punto dove poteva farle del male. Ogni incidente è venuto a costituire un incremento di violenza. Ecco perché noi temiamo per la sua incolumità.

Io mi sento come se stessi fluttuando in una sfera di cristallo, non connessa con alcuna cosa esterna. Non mi percepisco in pericolo.

— Lei può ritenersi al sicuro — continua Stacy, leggendomi di nuovo nella mente — ma ciò non significa che lei sia al sicuro. L'unico modo per lei di trovarsi al sicuro è di vedere dietro le sbarre il picchiatello che la perseguita.

Ha detto "picchiatello" con tanta naturalezza: mi chiedo se è questo che pensa anche di me.

Legge di nuovo nei miei pensieri. — Spiacente, non avrei dovuto adoperare quel termine… probabilmente termini del genere lei ne avrà sentiti abbastanza. È questo che mi fa infuriare: lei è qui, buon lavoratore e brava persona e quello… quella persona cerca di farle del male. Cosa gli duole?

"Non l'autismo" vorrei dire, ma taccio. Non credo che un autista si comporterebbe in quel modo, però non li conosco tutti e potrei sbagliarmi.

— Voglio solo che lei sappia che stiamo prendendo la cosa sul serio — dice lui. — Anche se al principio non ci siamo mossi molto in fretta. Quindi adesso parliamo chiaro. Il bersaglio dev'essere proprio lei. Ha mai sentito citare il vecchio detto sugli atti ostili?

— No.

— Una volta è un incidente, due volte è una coincidenza, ma tre volte è un atto ostile. Perciò se qualcosa che può essere diretta solo contro di lei accade per tre volte, è il momento di arguire che qualcuno ce l'ha con lei.

Ci penso su per un momento. — Ma… se si tratta di un atto ostile, era così anche la prima volta, vero? Non era un incidente.

Lui sembra sorpreso, aggrotta la fronte, sporge le labbra. — Be'… Già, ha ragione, tuttavia lei non lo sa che è una prima volta finché non accadono le altre e solo allora si può riconoscere che appartengono alla stessa categoria.

— Comunque se accadono tre incidenti veri uno potrebbe pensare che si tratta di atti ostili… e sbagliare.

Lui mi guarda fisso, scuote la testa: — In quanti modi si può sbagliare? — chiede. — E in quanti si può aver ragione?


Перейти на страницу:
Изменить размер шрифта: