In un istante mi si presenta nella testa il calcolo bell'e fatto: le decisioni formano un arazzo dove gli incidenti sono arancione, le coincidenze sono verdi, gli atti ostili sono rossi. Tre incidenti, e per ognuno le possibilità di vero o falso, con tre teorie di verità, a seconda del valore assegnato a ogni azione. E un filtro a monte per la selezione dell'incidente. È con questo tipo di problemi che ho a che fare tutti i giorni, solo che di solito sono di ben altra complessità.

— Ci sono ventisette possibilità diverse — dico. — E di queste una sola è corretta, se per correttezza dobbiamo intendere che tutt'e tre le parti del detto siano vere, che il primo incidente sia davvero un incidente, il secondo davvero una coincidenza e il terzo davvero un atto ostile. Anche un'altra può essere corretta ma è diversa: quella che ammette tutti e tre gli incidenti come azioni ostili.

Lui mi contempla a bocca aperta. — Ma come…? Ha fatto il conto così, a mente?

— È un esercizio di permutazioni: non è difficile, la formula me l'hanno insegnata a scuola.

— Dunque c'è solo una possibilità su ventisette che la mia ipotesi sia giusta? Sciocchezze. Non sarebbe un detto popolare se non fosse vero in più casi del… del quattro per cento, no? Qui c'è qualcosa che non va.

Le sue mancanze di logica e di preparazione matematica sono penosamente evidenti. — Tuttavia il concetto di verità dipende dallo scopo — continuo io. — Una possibilità su ventisette corrisponde a una possibilità di errore del novantasei virgola tre per cento sul valore di tutto l'enunciato. Ma in nove casi… un terzo del totale… l'ultimo incidente è un atto ostile, il che fa scendere la possibilità di errore, rispetto all'incidente finale, al sessantasette per cento. E poi ci sono diciannove casi in cui l'atto ostile può verificarsi… come primo, secondo o ultimo incidente o come combinazione di essi. Diciannove su ventisette equivale al settanta virgola trentasette per cento: questa è la probabilità che un atto ostile si sia verificato in almeno uno dei tre incidenti. Presumere un atto ostile rimane errato nel ventinove virgola sessantatré per cento dei casi, che però equivale a solo un terzo del totale. Quindi, se è importante stare in guardia contro probabili atti ostili, cioè se per lei è più importante scoprire un atto ostile che evitare di sospettarlo quando non lo è, allora è più conveniente sospettare che si sia verificato un atto ostile quando si esaminano tre incidenti che sono in relazione tra di loro.

— Santo cielo, ma lei parla sul serio — dice lui e scuote la testa. — Non sapevo che lei fosse un genio della matematica.

— Io non sono un genio — comincio, ma mi fermo subito. Non è opportuno dirgli che simili calcoli sono semplici, alla portata di ogni ragazzino di scuola. Se lui non è capace di farli, potrebbe restarci male.

— Insomma, lei sostiene che dando retta a quel vecchio detto io sbaglierei comunque un sacco di volte?

— Dal punto di vista matematico, il vecchio detto che ha citato non può esser vero più volte di quelle che ho calcolate. È un detto, non una formula. E solo le formule sono valide in matematica. Nella vita reale dipenderà da come lei sceglie gli incidenti da correlare. — Cerco di spiegarmi. — Supponga che io metta una mano sulla vernice fresca perché non ho fatto caso al cartello che mi avvisava. E che nello stesso giorno mi cada un uovo per terra e infine inciampi in una sconnessura del marciapiedi. Dovrei chiamare il terzo di questi incidenti un atto ostile?

— No, perché è chiaro che è trascuratezza da parte sua. Vedo. Ma mi dica, se il numero di incidenti collegati aumenta, la percentuale di errore diminuisce?

— Naturalmente, se lei sceglie gli incidenti giusti.

Scuote di nuovo la testa. — Allora torniamo a lei e vediamo di focalizzarci sugli incidenti giusti. Qualcuno ha tagliato le gomme della sua macchina la notte di mercoledì di due settimane fa. Ora, ogni mercoledì lei va a casa di un amico per tirare di scherma. Cos'è, un combattimento con le spade o cosa?

— Non si tratta di spade autentiche — dico. — Servono solo per lo sport.

— Bene. Le tiene nella macchina?

— No. Le tengo in casa di Tom. Anche altri lo fanno.

— Quindi il motivo non può essere stato il furto. E la settimana seguente il suo parabrezza è stato rotto mentre lei si stava esercitando. Di nuovo il danno è stato inflitto all'automobile, e questa volta il luogo dove stava la sua automobile dimostra che il vandalo sapeva dove lei va il mercoledì. E il terzo danneggiamento è stato compiuto la notte di un mercoledì, fra l'ora in cui lei è tornato a casa dall'esercitazione di scherma e l'ora in cui si è alzato la mattina. I tempi mi suggeriscono che gli incidenti sono connessi con il gruppo che pratica la scherma.

— A meno che il vandalo non sia qualcuno che ha libere solo le notti di mercoledì — dico.

Lui mi fissa a lungo. — Mi pare che lei non voglia fronteggiare la possibilità che qualcuno che fa, o faceva, parte del suo gruppo, abbia del rancore verso di lei.

Ha ragione. Non voglio pensare che le persone con cui ho passato tanto tempo per tanti anni abbiano antipatia per me. Lì mi sentivo al sicuro. Tutti sono miei amici. Vedo lo schema che il signor Stacy vuol farmi vedere… lo avevo già immaginato… ma è impossibile.

— Io non… — Mi si chiude la gola e sento nella testa un senso di pressione: ciò significa che non potrò parlare con facilità per un po'. — Non è… giusto… dire… una cosa… quando… non si… è sicuri… che è vera.

— Lei non vuole pronunciare false accuse — dice Stacy.

Annuisco senza dir nulla.

Lui sospira. — Signor Arrendale, tutti abbiamo persone alle quali non piacciamo. Lei non deve essere per forza un cattivo soggetto perché qualcuno la prenda in odio. E prendere precauzioni per evitare che qualcuno le faccia del male non la fa diventare un cattivo soggetto. Se in quel gruppo c'è qualcuno che ha rancore verso di lei, a torto o a ragione, può anche darsi che quella persona non sia il vandalo. Questo lo so. Non ho nessuna intenzione di sbattere qualcuno in galera solo perché ha antipatia per lei. Però nemmeno voglio che lei venga ucciso perché questa minaccia non è stata presa sul serio.

Ma io proprio non riesco a immaginare che qualcuno… Don… stia cercando di uccidermi. Che io sappia, io non ho fatto mai del male a qualcuno. E la gente non uccide per sciocchezze.

— A mio parere, la gente uccide per ogni sorta di ragioni sciocchissime — dice Stacy.

— No — balbetto. Le persone normali hanno ragioni per ciò che fanno, ragioni importanti per cose importanti e ragioni da poco per cose da poco.

— Sì — afferma lui con voce decisa. Si vede che crede a ciò che dice. — Non tutti sono così, naturalmente. Ma colui che ha messo quel giocattolo cretino nella sua macchina, con l'esplosivo… non è una persona sana di mente a parer mio, signor Arrendale. E la mia professione mi ha fatto conoscere bene il tipo di persona che uccide. Padri che rompono la testa a un figlio perché ha preso un pezzo di pane senza permesso… mogli e mariti che afferrano un'arma nel mezzo di una discussione su chi ha scordato di comprare lo zucchero. Io non credo che lei sia tipo da fare accuse avventate. A sua volta lei pensi che noi investigheremo con cura su tutto ciò che ci dirà e che ci fornirà una base su cui lavorare. La persona che se la sta prendendo con lei potrebbe prendersela con qualcun altro in seguito.

Non desidero parlare, ho la gola talmente stretta che mi duole. Ma se tutto ciò dovesse accadere a qualcun altro…

Penso a quello che ho da dire e a come dirlo quando lui chiede: — Mi dica qualcosa di più sul gruppo degli schermidori.

A questo posso rispondere e lo faccio. Stacy chiede ancora come ci esercitiamo, quando la gente viene, cosa fa, quando se ne va.

Descrivo la casa di Tom, il cortile, la stanza dove riponiamo l'attrezzatura. — Le mie cose occupano sempre lo stesso posto.


Перейти на страницу:
Изменить размер шрифта: