— Non lo so — dico. — Comunque io sono bravo a scoprire schemi nel modo di muoversi delle persone. È così che tiro di scherma. Don non è bravo nel fare questo. Io credo che forse, siccome non avevo in mano un fioretto, lui non ha pensato che avrei usato la stessa contromossa che adopero nella scherma.

— Ehm… Vorrei vederla tirare di scherma — dice Stacy. — L'avevo sempre creduta una faccenda piuttosto effeminata, con quelle divise bianche e quei fili che gli schermidori si trascinano dietro, ma da come la mette lei sembra interessante. Dunque: lui l'ha minacciata con l'arma, lei l'ha spostata con un colpo di mano e quindi l'ha centrato allo stomaco, e poi?

— Poi un sacco di gente si è messa a urlare e delle persone sono balzate su Don. Penso che fossero poliziotti, ma prima io non li avevo visti. — Mi fermo. Il resto lui può sentirlo dagli agenti che erano lì.

— Benissimo. Adesso ritorniamo su qualche particolare… — Mi fa ripetere tutto parola per parola più volte, e ogni volta io ricordo qualche nuovo dettaglio. La cosa mi preoccupa… sto davvero ricordando tutte queste cose o aggiungo dei particolari per far contento il tenente? Ho letto queste cose nel libro. A me sembra di dire la verità, ma a volte questo non è vero. Mentire è sbagliato, io non voglio mentire.

Stacy mi chiede di nuovo del gruppo di scherma: chi aveva simpatia per me e chi non l'aveva; per chi io avevo simpatia e per chi non l'avevo. Io pensavo di avere simpatia per tutti; e pensavo che tutti avessero simpatia per me, fino alla faccenda di Don. Sembra che Stacy desideri che Marjory sia la mia ragazza o la mia amante: continua a chiedermi se ci vediamo. Io sudo più che mai parlando di lei. Ma continuo a dire la verità, che lei a me piace tanto e non faccio che pensare a lei, però noi due non ci vediamo.

Finalmente il tenente si alza. — Grazie, signor Arrendale, per ora basta. Farò trascrivere la sua deposizione e poi lei dovrà venire alla stazione di polizia e firmarla. Poi ci terremo in contatto quando ci sarà il processo.

— Il processo? — chiedo.

— Certo. Come vittima dell'attentato lei sarà un testimone per l'accusa. Ciò le crea dei problemi?

— Il signor Crenshaw si arrabbierà se perdo troppo tempo e trascuro il lavoro — dico. Questo sarà vero se per allora avrò ancora un lavoro. E se non l'avessi più?

— Sono certo che capirà — dice il tenente.

Io sono certo che non capirà, perché non vuol capire.

— C'è una possibilità che l'avvocato di Poiteau venga a patti con il procuratore distrettuale — dice Stacy. — Potrebbe patteggiare una sentenza ridotta contro il rischio di esser trattato peggio in tribunale. Comunque, le faremo sapere. — Si avvia alla porta. — Abbia cura di lei, signor Arrendale. Sono contento che abbiamo preso quel tizio e che lei non abbia subito danni.

— Grazie a lei per l'aiuto — dico.

Dopo che se n'è andato, liscio le grinze dal posto dove si è seduto sul divano e rimetto a posto i cuscini. Mi sento nervoso. Non voglio più pensare a Don e al suo attentato, voglio dimenticarlo. Vorrei che non fosse mai avvenuto.

Mi preparo una cena semplice, un brodo con pasta e verdura, lo mangio e poi lavo la pentola e il piatto. Sono già le otto. Riprendo il libro e comincio il capitolo 17: Integrazioni della Memoria e Controllo dell'Attenzione: Le lezioni del DSPT.

A questo punto trovo i lunghi periodi e la sintassi complicata molto più agevoli da capire. Non costituiscono uno stile lineare ma piuttosto agglomerato o radiale. Vorrei tanto che qualcuno mi avesse insegnato queste cose prima.

Le informazioni che gli autori cercano di fornire sono organizzate secondo un ordine logico. Potrei averlo scritto io, un libro come questo. È bizzarro pensare che una persona come me potrebbe aver scritto un capitolo di un testo sulle funzioni del cervello. Io do l'impressione di esprimermi come un libro quando parlo? È per questo che la dottoressa Fornum parla di "linguaggio affettato"? Ma se lei pensava che io parlassi come un libro, perché non l'ha detto chiaro e tondo?

A questo punto so che DSPT significa "Disturbo da Stress Post-Traumatico" e che produce strane alterazioni nella funzione della memoria.

Mi fa venire l'idea che in questo momento anch'io mi trovo in una condizione post-traumatica, e che venire assalito da qualcuno che voleva uccidermi provoca ciò che gli autori del libro chiamano "trauma", benché io non mi senta molto teso o turbato. Forse la gente normale non si siede a leggere un testo di medicina poche ore dopo aver rischiato di venire uccisa, io invece lo trovo confortante. I fatti sono sempre lì, sempre disposti secondo un ordine logico, descritti da qualcuno che si è dato pena per renderli chiari. Così i miei genitori mi dicevano che le stelle continuavano a risplendere, non offuscate né danneggiate da qualunque cosa avvenisse sul nostro pianeta. A me piace che l'ordine esista da qualche parte, anche se non nelle mie vicinanze.

Come si sentirebbe una persona normale? Ricordo un esperimento che facemmo durante la lezione di scienze nella scuola media. Piantammo semi in vasi tenuti inclinati. Le piante crescevano rivolte alla luce, e non importava quale angolazione dovevano assumere i loro steli. Ricordo che io mi chiesi se qualcuno avesse piantato me in un vaso messo di sghembo, ma la mia insegnante mi disse che non era la stessa cosa.

Io però mi sento proprio così. Mi trovo di sghembo rispetto al mondo, mi sento felice quando gli altri pensano che dovrei sentirmi sconvolto. Il mio cervello ha cercato di crescere verso la luce, ma non ha potuto raddrizzarsi quando è stato raddrizzato il suo vaso.

Se ho ben capito il testo, io ricordo cose come quale percentuale di automobili in un parcheggio sono blu perché presto attenzione ai colori e ai numeri più delle persone normali, le quali non se ne accorgono perché non gliene importa. Mi chiedo a cosa fanno caso quando guardano un parcheggio. Cos'altro c'è da vedere tranne le file delle macchine, tante blu, tante marrone, tante rosse? Cos'è che a me sfugge, come alle persone normali sfugge la bella relazione numerica?

Io ricordo colori, numeri e configurazioni e serie ascendenti e discendenti: tali sono gli elementi che passano più agevolmente attraverso il filtro che la mia elaborazione sensoriale ha messo tra me e il mondo. Essi dunque sono diventati i parametri della crescita del mio cervello, ed è per questo che io vedo tutto… dal processo di fabbricazione dei farmaci alle mosse di un avversario nella scherma… allo stesso modo, come espressioni di uno stesso tipo di realtà.

Mi guardo intorno nell'appartamento e penso alle mie reazioni, al mio bisogno di regolarità, a quanto sono affascinato dai fenomeni che si ripetono in serie e secondo schemi. Ognuno ha bisogno di una certa regolarità; ognuno ama serie e schemi, almeno fino a un certo punto. Io ho saputo questo per anni, ma adesso lo comprendo meglio. Noi autistici ci troviamo a un'estremità della parabola dei comportamenti e delle preferenze umani, e tuttavia non ne siamo separati. Il mio sentimento per Marjory è normale, non autistico. Forse io sono più conscio dei diversi colori dei suoi occhi e dei suoi capelli di quanto lo sarebbe un'altra persona, ma il desiderio di starle vicino è un desiderio da persona normale.

È quasi ora di andare a letto. Quando mi metto sotto la doccia, guardo il mio corpo perfettamente normale: pelle normale, capelli normali, normali unghie delle mani e dei piedi, apparato genitale normale. Certo ci saranno persone normali che preferiscono come me sapone senza profumo, la stessa temperatura dell'acqua, la stessa consistenza nella stoffa degli asciugamani.

Fatta la doccia mi lavo i denti e sciacquo il lavandino. Il mio viso nello specchio è il mio solito viso: è il viso che conosco meglio. La luce irrompe nelle pupille dei miei occhi e porta con sé le informazioni che sono alla portata del mio periplo visivo, porta con sé il mondo; ma quando io guardo il punto dove la luce penetra vedo solo un nero profondo e vellutato. La luce vi penetra e il buio mi scruta di rimando. L'immagine è nel mio occhio e nel mio cervello oltre che nello specchio.


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