— No! — dice Linda a voce alta. — No, no, no! Non il mio cervello. Non farete a pezzi il mio cervello. Non buono, non buono!

— Non si tratta di fare a pezzi il cervello di nessuno — rettifica la dottoressa Hendricks. — Si tratta di aggiustamenti… i nuovi collegamenti neurali crescono e niente cambia.

— Tranne il fatto che non saremo più autistici, se tutto va bene — dico io.

— Infatti. — Ora la dottoressa Hendricks sorride, come se avessi detto la cosa giusta. — Tu resterai come sei, solo che non sarai più autistico.

— Ma io sono autistico — dice Chuy. — Non so come fare a essere qualcun altro. Dovrei ricominciare daccapo, come un neonato, e crescere di nuovo, per essere qualcun altro.

— Be', non proprio — dice la dottoressa. — La maggior parte dei neuroni non vengono toccati, solo alcuni, pochi alla volta, quindi potrete fondarvi sul vostro passato. Naturalmente dovrete reimparare alcune cose, dovrete sottoporvi a una riabilitazione… questo si trova nel pacchetto del consenso informato, che il vostro avvocato vi spiegherà… ma tutto è a spese della compagnia. Non dovrete pagar nulla.

— Lungavita — dice Dale.

— Chiedo scusa? — dice la dottoressa.

— Se devo ricominciare daccapo, voglio più tempo per diventare quell'altra persona, per vivere. — Dale è il più anziano di noi, ha dieci anni più di me, anche se non li dimostra. — Voglio Lungavita — ripete, e io mi rendo conto che sta parlando del trattamento antietà noto col nome commerciale di Lungavita, appunto.

— Ma questo è assurdo — esclama Arakeen prima che la dottoressa possa rispondere. — Aggiungerebbe… un mucchio di soldi alle spese già alte del protocollo.

Dale chiude strettamente gli occhi, ma la palpebra dell'occhio col tic continua a vibrare anche così. — Se per questo reimparare si dovesse impiegare più tempo di quel che credete voi… magari anni… io voglio più tempo da vivere come persona normale. Quanto ne ho vissuto da autistico. Di più. — Il suo viso si rilassa e lui apre gli occhi. — Aggiungete Lungavita e io accetto il trattamento. Senza Lungavita me ne vado.

Mi guardo intorno. Tutti stanno fissando Dale, anche Linda. Cameron avrebbe potuto fare una cosa del genere, ma non Dale. Lui è già cambiato. Io so che anch'io sono già cambiato. Siamo autistici, ma cambiamo. Forse non abbiamo bisogno del trattamento per cambiare ancora di più, forse perfino per diventare normali.

Ma intanto che penso a questo e a quanto tempo ci vorrebbe, alcuni paragrafi del libro mi tornano alla mente. — No — dico. Dale si volge a guardarmi. — Non è una buona idea. Questo trattamento manipola i neuroni e lo fa anche Lungavita. Questo trattamento è sperimentale; nessuno sa se funziona davvero.

— Noi sappiamo che funziona — dice la dottoressa Hendricks. — È solo…

— Lei non sa con sicurezza se funziona con gli esseri umani — la interrompo, anche se interrompere è da maleducati. Lei mi ha interrotto per prima. — Ecco perché avete bisogno di noi o di gente come noi. Non è una buona idea sottoporsi ad ambedue i trattamenti. Nella scienza, si cambia una variabile alla volta.

Arakeen pare sollevato. Dale non dice nulla, ma chiude gli occhi di nuovo. Non so cosa stia pensando. So come mi sento io: incerto.

— Io voglio vìvere più a lungo — dice Linda. — Voglio vivere più a lungo e non cambiare.

— Io non so se voglio vivere più a lungo o no — dico. Parlo lentamente, ma nemmeno la dottoressa Hendricks m'interrompe. — Se diventassi qualcuno che non mi piace, a cosa mi servirebbe vivere più a lungo? Prima voglio sapere cosa diventerò, poi potrò decidere se voglio vivere più a lungo oppure no.

Dale annuisce.

— Credo che dovremmo decidere sulla base di questo trattamento e basta. Nessuno sta cercando di costringerci. Possiamo pensarci sopra.

— Ma… ma… — balbetta Arakeen — dite che volete pensarci sopra? E per quanto tempo?

— Per quello che ci vorrà — dice la dottoressa Beasley. — Avete già un soggetto che si sta sottoponendo al trattamento; sarebbe prudente trattare gli altri soggetti a intervalli, comunque, per vedere come si mettono le cose.

— Io non dico che voglio sottopormici — dice Chuy. — Ma potrei considerare la cosa con più favore… se ne facesse parte anche Lungavita. Magari non nello stesso tempo, ma più tardi.

— Io ci penserò — dice Linda. È molto pallida. — Ci penserò, e vivere più a lungo mi fa sembrare il trattamento più accettabile, però non lo desidero realmente.

— Neppure io — approva Eric. — Non voglio che qualcuno mi cambi il cervello. Si cambia il cervello ai criminali e io non sono un criminale. Un autistico è diverso dagli altri, ma non è cattivo. Non è sbagliato essere diversi. Certe volte è duro, ma non è sbagliato.

Io non dico nulla. Non sono sicuro di ciò che vorrei dire. Tutto sta succedendo troppo in fretta. Come faccio a decidere? Come posso scegliere di diventare qualcun altro che non conosco e non posso prevedere? Il cambiamento avviene comunque, ma non è colpa mia se non l'ho scelto.

— Io lo voglio — dice Bailey. Chiude le palpebre con forza e parla così, con gli occhi serrati e la voce molto tesa. — È uno scambio… per il signor Crenshaw che ci ha minacciati e per il rischio che il trattamento non funzioni e che noi si possa star peggio. Credo che Lungavita sia necessario per bilanciare la situazione.

Guardo i dottori Hendricks e Ransome che stanno sussurrando tra di loro e gesticolando. Credo stiano già pensando in che modo possano interagire i due trattamenti.

— È troppo pericoloso — conclude Ransome. — Non possiamo assolutamente praticare i due trattamenti contemporaneamente. — Mi guarda. — Lou aveva ragione. Anche se avrete in seguito un trattamento antietà, adesso non potete farlo.

— Parlerò di questo al consiglio di amministrazione — dice Arakeen con più calma. — Dobbiamo sentire altri pareri, sia legali che sanitari. Ma se vi ho compresi, alcuni di voi stanno chiedendo che il trattamento antietà faccia parte del pacchetto… in futuro, naturalmente… come condizione della partecipazione, giusto?

— Sì — dice Bailey, e Linda annuisce.

— Sta bene, riferirò al consiglio. Credo che dirà di no, ma comunque chiederò.

— Tenga in mente che questi impiegati non hanno acconsentito al trattamento; hanno solo accettato di pensarci — dice la dottoressa Beasley.

— D'accordo. — Arakeen annuisce. — Mi aspetto però che tutti voi manteniate la vostra parola. Pensateci veramente, riflettete bene.

— Io non mento — dice Dale. — Voi non mentite a me. — Si alza con una certa rigidezza. — Venite, abbiamo da lavorare — dice rivolto a noi.

Nessuno dice nulla, né gli avvocati né i dottori e nemmeno il signor Aldrin. Lentamente noi ci alziamo. Io mi sento incerto, un po' turbato. Faremo bene ad andarcene così? Ma appena mi muovo e comincio a camminare mi sento meglio. Più forte. Ho paura ma sono anche felice. Mi sento leggero, come se la gravità fosse diminuita.

Fuori nel corridoio giriamo a sinistra per andare agli ascensori. Quando arriviamo al punto dove l'atrio si allarga per accoglierli, vediamo il signor Crenshaw ritto proprio là. Regge una scatola di cartone con tutt'e due le mani. La scatola è piena di cose che non vedo, ma al di sopra di tutto c'è un paio di scarpe da corsa. Sono di una marca molto costosa che ricordo di aver visto su un catalogo di articoli sportivi. Due uomini con la camicia celeste delle guardie della compagnia gli stanno al fianco, uno per lato. Lui spalanca gli occhi quando ci vede.

— Cosa state facendo qui? — chiede a Dale che è un poco più avanti di noi. Fa un passo verso di lui e i due uomini in uniforme gli mettono ognuno una mano sul braccio. Lui si ferma. — Voi dovreste trovarvi nel G-28 fino alle quattro del pomeriggio; questo non è nemmeno l'edificio giusto.

Dale non rallenta neanche, gli passa davanti senza dir parola.

La testa del signor Crenshaw gira come quella di un robot e poi si raddrizza. Poi mi vede e mi fulmina con gli occhi. — Lou! Ma cosa sta succedendo qui?


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