In mezzo a loro si ergeva un Khond alto e severo, il cui aspetto faceva pensare a un fulmine prigioniero della carne, con i capelli del colore del mare, e al suo fianco c’era una fanciulla vestita di una lunga veste azzurra.
I lisci capelli biondi della fanciulla erano raccolti dietro la nuca in una rete di oro puro, e tra i seni, lasciati scoperti dalla lunga veste, splendeva solitaria una enorme perla nera. Teneva la mano sinistra appoggiata alla spalla di Shallah, la Nuotatrice.
Come tutti gli altri, la fanciulla stava guardando con più interesse Ywain che non Carse. Allora egli si rese conto, con un senso di amarezza, che tutta quella folla si era radunata non tanto per accogliere lo sconosciuto barbaro che aveva compiuto quella clamorosa impresa, bensì per vedere in catene l’altezzosa figlia di Garach di Sark.
II Khond dalle lunghe chiome fulve conservava a sufficienza il senso dell’ospitalità per rivolgere a Carse il segno della pace, e annunciare:
«Io sono Rold di Khondor. Noi, i Re del Mare, ti diamo il benvenuto.»
Carse rispose al saluto, ma si accorse che l’altro non gli prestava più attenzione, preso com’era dal selvaggio piacere ch’egli traeva dalla visione dello stato umiliante in cui era ridotta la sua grande nemica.
Avevano molte cose da dirsi, Ywain e i Re del Mare.
Carse guardò di nuovo la fanciulla. Aveva udito il saluto che Jaxart le aveva rivolto, con voce velata dall’emozione, e da esso aveva saputo che si trattava di Emer, la sorella di Rold.
Non aveva mai visto, prima di allora, nessuna donna simile a lei. C’era intorno a lei qualcosa, un’aura sottile, che le dava l’aspetto della fata, di un elfo, di una creatura magica e incantata che viveva nel mondo degli uomini solo per cortesia, o forse soltanto per un capriccio, e che avrebbe potuto andarsene di là in qualsiasi momento, a piacimento, ritornando nel magico, fatato mondo dal quale era venuta.
I suoi occhi erano grigi e tristi, ma la sua bocca era dolce, e pareva fatta solo per il sorriso. Il suo corpo possedeva la stessa grazia agile, leggera, che Carse aveva notato nel corpo degli Halfling, eppure si tratta senza ombra di dubbio di un corpo umano, del corpo di una donna dalla bellezza purissima, eccezionale, e delicata.
E c’era anche dell’orgoglio, in lei… un orgoglio pari a quello di Ywain, anche se le due donne erano così diverse tra loro. Ywain era tutta splendore e fuoco e passione, era una splendida rosa dai petali rossi come il sangue. E Carse poteva comprendere Ywain. Poteva giocare il suo stesso gioco, e vincerla, perché essi parlavano la stessa lingua.
Ma si rese conto, fin dal primo istante in cui la vide, che egli non avrebbe mai potuto comprendere Emer. Lei faceva parte di tutte le cose che egli aveva lasciato dietro di sé tanto, tantissimo tempo prima. La fanciulla era la musica perduta, e i sogni dimenticati, era la pietà e la tenerezza, era tutto quel mondo vago e delicato che egli aveva potuto scorgere nei primi anni dell’infanzia, e che da allora non aveva visto mai più.
Improvvisamente, la fanciulla sollevò lo sguardo, e lo vide. I suoi occhi incontrarono quelli del terrestre… li incontrarono, e vi si fissarono, e non vollero lasciarli. Egli vide cambiare la loro espressione. Vide ogni traccia di colore svanire lentamente dal suo viso, fino a quando quel viso non fu soltanto una maschera di neve. E sentì la sua voce, che gli rivolgeva una sommessa domanda:
«Chi sei?»
Lui chinò il capo, e rispose:
«Signora, io sono Carse il barbaro.»
Vide le dita di lei affondare nella soffice pelliccia di Shallah, e vide che gli occhi della Nuotatrice lo fissavano, con quello sguardo dolce e ostile a un tempo, che ricordava così bene. La voce di Emer rispose, in un bisbiglio quasi inaudibile:
«Tu non hai nome. Tu sei come ti ha descritto Shallah… uno straniero.»
Qualcosa, nel modo in cui ella pronunciò la parola straniero, la fece sembrare piena di misteriose, soprannaturali minacce. Ed era così vicina, così incredibilmente vicina alla verità.
D’un tratto, Carse capì che quella fanciulla possedeva lo stesso potere extrasensoriale degli Halfling, e che quel potere si era sviluppato, nel suo cervello umano, raggiungendo una forza ancor maggiore.
Malgrado il brivido che lo percorreva, si sforzò di ridere apertamente, a quelle parole:
«Devono esserci molti stranieri a Khondor, in questi giorni.» Lanciò un’occhiata alla Nuotatrice. «Shallah non ha fiducia in me, non so perché. Ti ha detto anche che porto con me un’ombra oscura, dovunque io vada?»
«Shallah non aveva bisogno di dirmelo,» mormorò Emer. «Il tuo viso è soltanto una maschera, e dietro la maschera si nascondono un buio e un desiderio… ed essi non appartengono a questo mondo.»
Si avvicinò a lui, a passi lenti, come se fosse stata irresistibilmente attirata, contro la sua volontà. Carse vedeva lo scintillare lieve del sudore che le imperlava la fronte, e bruscamente, improvvisamente, cominciò egli stesso a tremare, un tremito che veniva dal profondo, e che non apparteneva alla carne.
«Vedo… riesco quasi a vedere…»
Non voleva che la fanciulla dicesse altro. Non voleva sentire altro.
«No!» gridò. «No!…»
D’un tratto Emer cadde in avanti, appoggiandosi a lui con tutto il suo peso. Il terrestre la sostenne, e la fece adagiare, piano, sulla grigia roccia, dove lei giacque immobile, immersa in un’incoscienza che assomigliava stranamente a quella della morte.
Impotente, turbato, Carse s’inginocchiò accanto a lei, ma Shallah gli disse, a bassa voce:
«Mi occuperò io di lei.»
Allora Carse si alzò, e subito i Re del Mare furono intorno a loro, come aquile spaventate e ansiose.
«La vista era su di lei,» disse Shallah ai Re del Mare.
«Ma non l’aveva mai presa così, prima d’oggi,» disse Rold, in tono ansioso. «Che cosa è accaduto? Io pensavo soltanto a Ywain.»
«Ciò che è accaduto, è accaduto tra la Signora e lo straniero,» disse Shallah. Sollevò il corpo inerte della fanciulla con le sue braccia forti, e si allontanò con il suo fardello vivo.
Carse sentì che quella strana paura interiore gli raggelava ancora il corpo e lo spirito. La «vista», l’avevano chiamata. Ed era veramente una vista, non una visione soprannaturale nata dalla superstizione di un mondo barbaro o da qualche mente allucinata di profeta, anzi, non era per nulla innaturale… era la manifestazione di facoltà extrasensoriali molto forti, quelle facoltà delle quali si conosceva bene l’esistenza, ma che nessuno aveva saputo spiegare o isolare scientificamente. E quella vista mentale aveva frugato nelle profondità della sua mente, e aveva trovato…
Una subitanea reazione di collera si impadronì di Carse, ed egli disse:
«Un magnifico benvenuto, davvero! Tutti noi siamo stati messi in disparte, perché voi poteste vedere meglio Ywain, e poi tua sorella sviene non appena mi vede!»
«Per gli dei!» esclamò Rold. «Perdonaci… non avevamo alcuna intenzione di offenderti. In quanto a mia sorella, sta troppo con gli Halfling, e come loro si perde troppo nei sogni della mente.»
Poi alzò la voce, e disse:
«Ehilà, Barbadiferro! Vediamo di rimediare al nostro comportamento!»
Il più grande dei Re del Mare, un grigio gigante dalla risata aspra e forte come il vento del nord, si’ fece avanti, e prima che Carse potesse comprendere le loro intenzioni, essi avevano issato sulle spalle il terrestre, cominciando a marciare con lui lungo il molo, in modo che tutti lo vedessero.
«Udite, gente di Khondor!» tuonò Rold. «Udite!»
Al suono di quella voce possente, la folla zittì.
«Questo è Carse, il barbaro. Egli ha catturato la galera… egli ha preso prigioniera Ywain… egli ha ucciso il Serpente! Come lo salutate?»
Il loro saluto per poco non fece crollare le montagne. I due giganteschi Re del Mare portarono Carse su per gli scalini, e non vollero posarlo di nuovo a terra. La gente di Khondor li seguiva, e tra quella gente marciavano gli uomini della galera, che i Khond avevano accettato come fratelli. Dalla sua posizione, Carse riuscì a scorgere per un momento Boghaz, tra la folla, con un sorriso di beatitudine sul grasso volto porcino… un Boghaz che con ciascun braccio circondava la vita di una ragazza ridente e maliziosa.