Ywain s’irrigidì, socchiudendo gli occhi. Carse avvertì lo sguardo della principessa su di lui, penetrante e intenso. Ma la sua attenzione era completamente assorbita da Emer. Come sul molo, si sentiva pervaso da uno strano, oscuro terrore, che non aveva nulla in comune con la normale paura, un terrore inspiegabile dei poteri extrasensoriali di quella fanciulla.
Rold cominciò a parlare, e quel suono diede a Carse la scossa necessaria per riprendersi. Stupido, pensò, così stupido da farsi impressionare dalle parole di una donna, dalla fantasia di una donna…
«…il segreto della Tomba!» stava dicendo Rold. «Non hai udito? Egli ci può dare la potenza di Rhiannon!»
«Sì,» disse Emer, con infinita tristezza. «Ho udito, e gli credo. Lui conosce bene il nascondiglio segreto della Tomba, e conosce bene le armi che vi sono custodite.»
Si avvicinò ancora, guardando negli occhi Carse, che era in piedi, illuminato dal balenare rossigno delle torce, con la grande spada in pugno. E allora gli parlò direttamente.
«Perché non dovresti saperlo, tu che così a lungo hai meditato nelle tenebre? Perché non dovresti saperlo, tu che hai creato quegli strumenti del male con le tue stesse mani?»
Erano il caldo e il vino che facevano girare le pareti di roccia, e che davano al suo stomaco quel senso di malessere, quella oscura morsa di gelo? Cercò di parlare, e dalle sue labbra uscì soltanto un suono rauco, inarticolato. E la voce di Emer proseguì, implacabile, terribile.
«Perché non dovresti saperlo… tu che sei il Maledetto, Rhiannon!»
L’eco delle pareti di roccia ripeté la parola come una maledizione sussurrata, fino a quando l’intero salone non si riempì di quel fantomatico nome, Rhiannon! A Carse parve che perfino gli scudi appesi alle pareti vibrassero, per il suono di quel nome, e che le bandiere e i festoni tremassero nell’udirle. E la fanciulla rimaneva immobile, sfidandolo silenziosamente a parlare, e la lingua di Carse era immobile e arida, nella sua bocca.
Tutti lo fissavano attoniti… Ywain e i Re del Mare e i convitati, muti tra il vino versato e il banchetto dimenticato.
Gli parve quasi d’essere Lucifero caduto, incoronato di tutta la malvagità e la crudeltà del mondo.
E poi Ywain rise, un suono che conteneva una strana nota di trionfo.
«Dunque è questo il perché! Ora capisco… capisco perché tu chiamasti il Maledetto nella cabina, quando ti ergesti di fronte al potere di Caer Dhu, il potere al quale nessun uomo può resistere, e uccidesti S’San!» La sua voce si levò più alta, e beffarda. «Salve, Signore Rhiannon!»
Queste parole spezzarono l’incantesimo. Carse si volse, e disse, con voce sorda:
«Sporca, bugiarda sgualdrina! In questo modo, riesci a salvare il tuo orgoglio. Nessun mortale, nessun uomo normale avrebbe potuto piegare Ywain di Sark, ma se chi ha compiuto l’impresa è stato un dio, le cose cambiano!» Si volse alla folla dei convitati, e gridò, «Siete dei pazzi, o dei bambini, per credere a una simile follia? Tu Jaxart… tu hai faticato con me, chino sul remo. Pensi forse che un dio possa sanguinare sotto lo scudiscio, come un comune schiavo?»
Jaxart, in piedi davanti a un tavolo del salone, disse, lentamente:
«Quella prima notte, quando fosti portato a bordo della galera, ti ho udito gridare il nome di Rhiannon.»
Carse imprecò. Si rivolse allora ai Re del Mare:
«Voi siete dei guerrieri, e non stupide ancelle. Usate la vostra intelligenza. Vi pare che il mio corpo possa essere rimasto a marcire per secoli in una tomba? Vi sembro forse un morto che cammina?»
Con la coda dell’occhio, Carse vide che Boghaz si stava facendo largo tra la folla dei convitati, avvicinandosi al palco, imitato, in altri punti del salone, dai componenti della ciurma della galera; costoro, anche i più ubriachi, si stavano muovendo lentamente, con la mano sull’elsa delle loro spade, preparandosi ad accorrere in suo aiuto. Non avevano certo dimenticato che era merito di Carse, se essi erano ritornati liberi; il terrestre sapeva di poter contare su di loro, in caso di pericolo. Ma il salone era pieno di Khond… e avrebbero avuto ben poche speranze, nel caso di uno scontro.
Rold posò la mano sulla spalla di Emer, e disse duramente:
«Cosa rispondi a questo, sorella?»
«Io non ho parlato del corpo,» rispose Emer, «Ma soltanto della mente. La mente del potente Maledetto può continuare a vivere attraverso le ère. Ed è sopravvissuta, e ora è riuscita a insinuarsi, non so come, nel corpo di questo barbaro, albergandovi come un serpente se ne sta acquattato nella tana.»
Si rivolse di nuovo a Carse.
«Tu stesso sei uno straniero e un mistero, e basterebbe questo perché io ti temessi, poiché non riesco a comprendere. Ma non basterebbe a giustificare la tua morte. Però io dico che Rhiannon guarda attraverso i tuoi occhi, e parla con la tua Lingua, e che nelle tue mani si trovano la sua spada e il suo scettro. Ed è per questo che io chiedo la tua morte.»
Carse disse, aspramente:
«Volete dunque ascoltare questa fanciulla fuori di senno?»
Ma vide il dubbio riflesso sul volto dei presenti, un dubbio che si mescolava all’inquietudine, e a una nera ombra di paura. Stupidi, stupidi superstiziosi! Capì che ora il pericolo era reale, che ora la situazione stava assumendo una piega pericolosa.
Carse guardò il salone, osservò i suoi uomini che si stavano radunando, cercò di valutare le sue possibilità di scampo, nel caso lui e la ciurma della galera avessero dovuto aprirsi un varco, combattendo, attraverso la folla dei Khond. Mentalmente, maledisse quella strega dai capelli biondi, che aveva detto quelle parole incredibili, impossibili, che erano ai limiti tra la superstizione barbara e la pazzia.
Sì, pazzia. Eppure, la paura che pulsava nel suo cuore si era addensata come una nera nube di tempesta, si era cristallizzata in un punto del suo essere, formando un solo, misterioso abisso di tenebra che lo affascinava e lo inorridiva a un tempo.
«Se fossi posseduto dal Maledetto, non sarei forse il primo a saperlo?» esclamò, in tono sprezzante.
Lo saprei davvero? la domanda riecheggiò nella mente di Carse, e l’eco gli riportava il pauroso tremore del dubbio. E d’un tratto, nella sua mente si assieparono i ricordi… l’oscurità d’incubo della Tomba; quel vortice di tenebre cosparse di luci, quando, durante la lunga, tremenda caduta, gli era parso di avvertire la vicinanza di un’avida presenza aliena… i sogni, e la conoscenza solo in parte dimenticata, e che non appartenevano a lui…
Non era vero. Non poteva essere vero.
Boghaz salì, infine, sul palco. I suoi ocelli piccoli e calcolatori fissarono per un momento Carse, con un’espressione bizzarra e penetrante, ma quando egli si rivolse ai Re del Mare, il suo atteggiamento e le sue parole furono concilianti.
«Non c’è dubbio che la Signora Emer possieda una saggezza infinitamente superiore alla mia, e non c’è nulla di più lontano dal mio cuore e dai miei desideri che il pensiero di mancarle di rispetto. Però il barbaro è mio amico, e io parlo in base a quello che conosco direttamente. E vi dico che egli è quello che dichiara di essere, né più, né meno.»
A queste parole, gli uomini della galera lanciarono un brontolio d’assenso, un brontolio minaccioso, che quasi voleva avvertire i Khond della loro esistenza, e del loro desiderio di combattere per salvare il loro capo.
«E ora riflettete, miei signori. Credete proprio che Rhiannon, uscito dalla sua Tomba, si affretterebbe a uccidere un Dhuviano, e a muovere guerra a Sark? Verrebbe forse egli a offrire ai Khond la vittoria, su un vassoio dorato?»
«No!» gridò Barbadiferro. «Per gli dei, non farebbe mai una cosa simile. Tutti sanno che egli amava la stirpe del Serpente.»
Emer sollevò la mano, per richiamare la loro attenzione, e parlò:
«Miei signori, vi ho mai mentito, o vi ho mai dato un consiglio che si sia rivelato errato?»