— Tu e Miles.
— Bene. Adesso usciremo insieme e dopo una bella gita in macchina tu farai un sonno lungo lungo. Sei stato malato, ma quando ti sveglierai sarai del tutto guarito. Capito?
— Sì.
— Ripeti.
— Sono stato malato, ma mi sveglierò guarito.
— Bravo. Adesso tira su la manica.
Non sentii entrare l’ago, ma provai un senso di bruciore quando lo tolse.
— Gesù, Belle, come brucia! Che roba era?
— Qualcosa che ti farà stare meglio. Sei stato malato.
— Già, sono stato malato. Dov’è Miles?
— Sarà qui fra poco. E adesso tira su anche l’altra manica.
— Perché? — chiesi, ma ubbidii, e lei mi praticò un’altra endovenosa.
— Non ti ho fatto molto male, vero?
— Eh? No, no… ma questa a cosa serve?
— A farti dormire durante il tragitto. Ti sveglierai quando saremo arrivati.
— Sì, sì, mi piace dormire. Voglio dormire molto a lungo… — Poi, dopo un momento, aggiunsi, guardandomi in giro: — Ma dov’è Pete?
— Pete? — fece lei con un sorriso pieno di candore. — Non ti ricordi che l’hai affidato a Ricky quando ti sei ammalato?
— Ah, già! — risposi, con un sospiro di sollievo. Mi pareva proprio di ricordare di aver spedito Pete a Ricky.
Mi portarono al Ricovero Riunito di Satwell, uno dei tanti ricoveri di cui si servivano le Compagnie di Assicurazioni secondarie che non ne avevano uno proprio, e mi svegliarono appena la macchina ci si fermò davanti. Fino a quel momento, come aveva predetto Belle, avevo dormito. Miles rimase a bordo della macchina, e fu Belle a occuparsi delle formalità.
— È qui il rappresentante dell’Assicuratrice Madre di California? — chiese alla segretaria di turno nell’atrio. — Questo è il signor Davis, e io sono sua sorella.
— Davis? — ripeté la ragazza dando un’occhiata a un mucchio di fogli accatastati davanti a lei. — Sì… va bene. Troverete il rappresentante dell’Assicuratrice Madre nella stanza nove. Cos’ha? È malato? — chiese poi indicandomi.
— Sì, poverino — rispose Belle tutta compunta. — Soffre molto e dobbiamo fargli delle iniezioni calmanti. Anche adesso è sotto l’effetto di un oppiaceo.
Nella stanza n. 9 c’erano un tale vestito normalmente, un altro in tuta e una donna con l’uniforme da infermiera. Mi aiutarono a spogliarmi trattandomi come se fossi un bambino idiota, mentre Belle spiegava anche a loro la storia della mia presunta malattia.
Dopo che mi ebbero steso sul tavolo io mi tirai su di scatto, chiedendo: — E Pete? Dov’è Pete?
Chinandosi amorevolmente su di me, Belle mi spinse giù con fermezza, dicendo: — Calmati, fratellino, non ricordi che Pete è da Ricky? Pete deve stare con Ricky. — E agli altri: — Parla di nostro fratello Pete, che non ha potuto venire perché deve stare con la sua bambina malata.
Io non parlai più. Poco dopo mi sentii sopraffare da una gran sensazione di freddo, ma non fui capace di allungare le mani alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi. Poi non ricordo altro.
5
Mi stavo lamentando col barista perché secondo me l’impianto dell’aria condizionata non funzionava a dovere e faceva troppo freddo, quando la voce del medico disse: — Ha dormito anche troppo, ormai basta.
Cercai di districare i piedi dalla sbarra d’ottone del bar, ma, curiosamente, non c’era sbarra ed ero sdraiato supino… Che avessero installato un nuovo genere di servizio per persone sdraiate? Curioso, non avevo nemmeno le mani! Guarda, micio, non ho mani! Pete, seduto sul mio petto, si mise a miagolare.
Ero al campo, adesso, e il sergente sgridava Ricky… ma che strana Ricky: aveva la faccia di Belle! Vieni, vieni! le diceva se vuoi prenderle! Lo sai che le azioni sono roba da grandi, e tu sei una bambina!
Mi svegliai di soprassalto, e Belle mi gridò: Lo sai che non posso aspettarti trent’anni!. Io cercai di alzarmi, ma mentre stavo per prendere la valigia che avevo messo sotto al letto, Belle scomparve. Feci per correre, ma non potevo, senza piedi… c’era una foresta in fiamme in cima alla montagna, e il sergente gridava: Svegliati… Svegliati… Svegliati…
Mi svegliai e mi riaddormentai parecchie volte prima di rendermi pienamente conto di dov’ero. Quando fui completamente desto vidi che mi trovavo in un letto di ospedale e che stavo bene, a parte un senso di leggerezza alla testa, come avviene dopo un bagno turco.
Nessuno però mi parlava, per quante domande facessi, e continuavano a massaggiarmi e rimpinzarmi di cibo e medicine.
Poi, una mattina in cui mi parve di sentirmi perfettamente a posto, decisi di alzarmi. A parte un lieve senso di vertigine, tutto era a posto. Ricordavo chi ero, dov’ero, e perché mi trovavo lì, e sapevo che tutte le altre storie di Belle e del sergente erano stati soltanto sogni.
Sapevo anche chi mi aveva mandato lì. Se Belle, mentre ero ancora sotto l’effetto della droga, mi aveva ordinato di non serbarle rancore e di dimenticare i suoi tiri birboni, o i suoi ordini non avevano resistito trent’anni, o il sonno freddo li aveva distrutti. Ero incerto su alcuni particolari, ma non mi sfuggiva il fatto che mi avevano ingannato e messo in condizione di non potermi vendicare.
A dire il vero, non provavo più tanta collera nei loro riguardi. Sì, tutto era avvenuto ieri, giacché l’ieri era il giorno antecedente a quello in cui mi ero svegliato del tutto dal Lungo Sonno, ma non bisogna dimenticare che quel sonno era durato trent’anni!
È una sensazione impossibile a definirsi, dal momento che è soggettiva, ma mentre ricordavo benissimo quanto era accaduto ieri, le mie sensazioni e i miei sentimenti al riguardo erano pacati, distaccati come quelli relativi ad eventi lontani. Non avevo rinunciato all’idea di ritrovare Miles e Belle e farne polpette, ma c’era tempo… ora desideravo di più vedere com’era il mondo nell’anno 2000.
Ma a proposito di polpette, che gli piacevano tanto, dov’era Pete? Mi stavo decidendo a chiamare qualcuno per chiedere di lui, quando mi ricordai d’improvviso che i miei progetti nei suoi riguardi erano andati in fumo a causa dell’intervento di Belle. Perciò tolsi la pratica Miles-Belle dal cestino delle in sospeso per metterla in quello delle urgentissime. Quei due furfanti avevano fatto peggio che uccidere il povero Pete, l’avevano reso pazzo di dolore e di spavento abbandonandolo poi a se stesso… Nel frattempo sarebbe morto lo stesso, erano passati trent’anni e Pete ne aveva già nove nel 1970, ma chissà com’erano stati desolati e amari i suoi ultimi giorni, solo, affamato, derelitto! Quei due me l’avrebbero pagata cara!
Mi riscossi. Ero in piedi accanto al letto, col solo pigiama addosso, aggrappato alla spalliera per reggermi meglio.
Mi guardai intorno e potei constatare che le camere di ospedale non erano molto cambiate, negli ultimi trent’anni. Non c’erano finestre, né riuscivo a vedere la sorgente della luce che inondava la stanza, il letto era alto e stretto, come sempre negli ospedali, in più era snodato e aveva incorporato un tavolino e alcuni aggeggi a uso dei medici. Su un lato del tavolino c’erano alcuni pulsanti, ne premetti uno, e sul tavolino comparve una scritta luminosa: Un momento, prego.
Dopo pochi istanti la porta scivolò lentamente nella parete per lasciare entrare un’infermiera. A parte i capelli rosa viola, nemmeno le infermiere erano cambiate molto dal 1970. Questa aveva la solita aria linda a precisa delle infermiere di tutto il mondo, e se anche l’uniforme era di un taglio per me insolito, chiunque, in qualunque epoca, avrebbe capito chi era.
— Tornate immediatamente a letto — ordinò in tono perentorio.
— Vorrei sapere dove sono i miei vestiti.
— Vi ho detto di rimettervi subito a letto! — ribatté l’infermiera.
— Sentite, infermiera — le dissi, cercando di essere ragionevole — sono un libero cittadino, maggiorenne e incensurato. Non potete obbligarmi a tornare in quel letto se non ne ho l’intenzione. E adesso volete dirmi dove sono i miei vestiti, o devo mettermi a cercarli io?