— Grazie, ma sto bene così.

Lei versò le due pastiglie nel gin, e io decisi di forzare i tempi, perché fra poco non sarebbe stata più in grado di rispondere lucidamente alle mie domande.

— Parlami di te — le dissi. — Come ve la siete cavata con quelli della Mannix?

— Eh? Non se ne fece niente, non lo sapevi? — E accalorandosi d’improvviso: — La colpa è stata tutta tua!

— Mia? Ma se dormivo, io!

— Ti dico che fu tutta colpa tua… Quel coso orribile che avevi fatto con il fondo di una poltrona a rotelle, era quello che quelli della Mannix volevano, e non c’era più.

— Cosa dici? Dov’era?

Lei mi fissò con occhi sospettosi: — Tu dovresti saperlo dov’era, dal momento che l’avevi portato via.

— Io? Sei pazza, Belle! Come avrei potuto fare una cosa simile, se ero irrigidito e raggelato nel sonno? Dov’è finito? E quando è scomparso? — Il fatto che il prototipo del Servizievole Sergio fosse stato rubato da qualcuno s’accordava con le idee che m’ero già fatto in proposito, visto che Belle e Miles non se ne erano serviti. Certo era, comunque, che di tutti i miliardi di persone che abitano sulla faccia della Terra io ero proprio l’unico a non averlo potuto portar via. Non avevo più visto il mio Sergio dopo la disastrosa notte in cui quei due mi avevano intrappolato. — Spiegati meglio, Belle. Cosa ti fa pensare che sia stato io a portarlo via?

— Devi essere stato per forza tu! Nessun altro sapeva che si trattava di una cosa importante, e non di un ammasso di ferraglia. L’avevo detto a Miles di non metterlo nel garage!

— Ma se anche qualcuno lo rubò, è improbabile che abbia potuto servirsene. Gli appunti, i progetti li avevate ancora voi.

— No, non è vero nemmeno questo. Quel cretino di Miles aveva messo tutte le carte insieme in un vano dell’apparecchio, quella sciagurata notte.

Non insistetti, convinto che vaneggiasse. Ormai era storia vecchia di trent’anni. Chiesi invece cosa ne fosse stato della Domestica Perfetta, dopo che l’accordo con la Mannix era sfumato.

— Continuammo a mandarla avanti io e Miles finché il capotecnico non ci lasciò. Miles perdette la testa e decise di cedere l’azienda. Così facemmo, e la Ditta passò alla Geary che la possiede tuttora. — Infatti la ragione sociale per esteso della Domestica Perfetta era Società Geary per la Costruzione di Apparecchi Automatici Domestica Perfetta, anche se tutti chiamavano la società solo col suo vecchio nome.

— E il vostro pacchetto azionario? — chiesi. — Cosa ne avete fatto? L’avete venduto cedendo l’azienda?

— Chi ti ha messo in testa questa stupida idea? — mi rimbeccò lei, con le lacrime agli occhi, tormentando un fazzolettino. — Quel porco mi ha imbrogliato. — Si soffiò il naso con aria pensosa, poi ripeté: — Tutti, sì, e il peggiore sei stato tu, Danny… Dopo tutto il bene che ti avevo fatto!

Dovetti constatare che l’euforion non manteneva le promesse, a meno che Belle non godesse a piangere. — In che modo ti ho ingannata, Belle?

— Cosa? Ma se lo sai… E anche Miles mi ha ingannato. Ha lasciato tutto a quella stupida. Dopo tante promesse, dopo che l’ho curato quando si fece male! E non era nemmeno sua figlia! Questo ti basti a provare che mi ha imbrogliato.

Era la prima buona notizia delle serata: anche se quei due erano riusciti a mettere le mani sulle azioni che io avevo affidato a Ricky, tuttavia la piccola aveva avuto, più tardi, la sua parte.

— Belle — ripresi — cerca di ricordare come si chiamava la nonna di Ricky, e dove abitava.

— Dove abitava, chi?

— La nonna di Ricky.

— E chi è Ricky?

— La bambina di Miles. Cerca di pensare, Belle. È importante.

Questo finì di sconvolgerla. Puntandomi contro l’indice, si mise a strillare: — Ti conosco, sai? Tu eri innamorato di lei, quella piccola orribile viperetta… di lei e di quel gatto ripugnante.

Al ricordare Pete mi sentii avvampare d’ira. Cercando di dominarmi afferrai Belle per le spalle e la scossi un poco: — Calmati, Belle. Io voglio solo sapere una cosa. Qual era l’indirizzo?

— Non voglio più parlare con te — strillò lei, sferrandomi un calcio. — Non lo so — aggiunse poi, calmandosi. E infine: — La nonna si chiamava Hanaker, o qualcosa di simile. La vidi solo una volta, in tribunale, quando vennero per il testamento.

— E cioè quando?

— Subito dopo la morte di Miles, no?

— E Miles quando morì?

— Oh, quante cose vuoi sapere! — sbuffò. — Sei peggio dello sceriffo. Domande, domande! Dimentichiamo tutto e pensiamo solo a noi, caro. Abbiamo tutta la vita. A trentanove anni una donna non è vecchia. Schultz diceva che io ero la creatura più giovane che avesse mai visto… e quel vecchio caprone se ne intendeva, lasciamelo dire. Potremmo essere così felici, amore.

Ero giunto al limite della sopportazione. — Devo andarmene, Belle — mi limitai a dire.

— Cosa? Ma è ancora presto! Io credevo…

— Me ne infischio di quello che credevi. Ti saluto e me ne vado.

— Che peccato! Quando ci rivedremo? Domani? Ho un mucchio di impegni, ma cercherò di trovare qualche momento libero.

— Noi due non ci vedremo più, Belle.

Me ne andai. E non la rividi mai più.

Non appena a casa feci il bagno, strofinandomi forte. Poi mi misi in poltrona e cercai di ricapitolare quanto di utile era emerso dal penoso colloquio con quella specie di donna. Di sicuro non c’era niente, salvo che l’iniziale del nome della nonna di Ricky doveva essere «H» e che viveva in qualche città del deserto, in Arizona, o forse in California. Chissà che un investigatore non riuscisse a trovare qualcosa, con quegli indizi… Comunque dovevo aspettare, perché al momento non avevo i mezzi per pagare indagini che sarebbero state più costose quanto più lunghe e difficili.

E d’altro, cos’avevo scoperto?

Che Miles era morto verso il 1972, se Belle non aveva mentito. Ma se era morto nel circondario avrei potuto trovare traccia del suo decesso negli archivi municipali, senza troppa fatica. Chissà che dal certificato non potessi scoprire anche l’indirizzo di Ricky.

Se, se, se… Quanti se! E se anche l’avessi trovata? Ormai Ricky aveva quarantun anni, e certo era sposata e madre… cosa se ne sarebbe fatta del vecchio zio Danny? Almeno, conclusi per consolarmi, ci saremmo scambiati gli auguri a Pasqua e a Natale.

La mattina seguente, venerdì 4 maggio, invece di andare in ufficio mi recai all’archivio del Municipio. Ma poiché stavano facendo trasloco, mi dissero di tornare dopo un mese. Allora mi recai alla sede del Times dove, torcendomi il collo al microvisore, esaminai il microfilm delle annate 1972-’73. Ma se Miles era morto in quel periodo, come aveva detto Belle, non era morto a Los Angeles. Rimandando a più tardi ulteriori indagini, feci colazione e andai in ufficio. Trovai due chiamate telefoniche, tutt’e due da parte della signora Schultz, e mi affrettai ad avvertire la centralinista di non mettermi mai in comunicazione con la suddetta signora, qualora avesse richiamato. Quindi mi recai al reparto contabilità per informarmi se fosse possibile risalire al proprietario di un pacchetto di azioni vendute da anni. Il capocontabile disse che avrebbe tentato, e io gli diedi i numeri, che ricordavo a memoria, del pacchetto azionario che mi era appartenuto alla fondazione della Domestica Perfetta. Non c’era da sbagliarsi: avevamo infatti emesso mille azioni e io avevo tenuto le prime cinquecentodieci. Centodieci le avevo poi cedute a Belle come regalo di fidanzamento.

Un’ora circa più tardi, mentre meditavo su uno sgradevole colloquio avuto nel frattempo con il capo del reparto pubblicità della Ditta, il quale avrebbe voluto continuare a servirsi di me per articoli e fotografie in veste di vecchio inventore, mi fu recapitato un appunto del capocontabile Reuther. Diceva:

Egregio signor Davis,


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