— Ha qualche minuto per me, Shevek?

— Sì. Andiamo nella mia stanza? — Adesso era abituato all’uso continuo degli aggettivi possessivi, e riusciva a pronunciarli senza imbarazzo.

Chifoilisk parve avere un attimo di esitazione. — Che ne direbbe della biblioteca? Dobbiamo passarle davanti, e devo entrare a prendere un libro.

Si diressero verso il lato opposto del quadrilatero, verso la Biblioteca della Nobile Scienza (vecchio termine per indicare la fisica, che in certi usi si era conservato anche su Anarres), camminando a fianco a fianco nell’oscurità interrotta dal picchiettio della pioggia. Chifoilisk aveva aperto l’ombrello, ma Shevek camminava nella pioggia come gli iotici camminavano al sole, con gioia.

— Si bagna — brontolò Chifoilisk. — E ha già la tosse, no? Dovrebbe fare più attenzione.

— No, adesso sto bene — disse Shevek, e sorrise mentre camminava a grandi passi nella pioggia fine e fresca. — Il dottore del Governo, lei l’ha visto, mi ha dato varie cure, inalazioni. Funzionano; non tossisco più. Ho chiesto al dottore di descrivere il procedimento e i farmaci usati, per radio, al Gruppo dell’Iniziativa di Abbenay. E lui l’ha fatto. Era contento di farlo. È una cosa molto semplice, e può alleviare molte sofferenze causate dalla tosse da polvere. Ma perché, perché non è stato fatto prima? Perché noi non lavoriamo insieme, Chifoilisk?

Il thuviano emise un brontolio ironico. Erano giunti alla sala di lettura della biblioteca. Corridoi di vecchi libri, sotto delicati doppi archi di marmo, erano fermi nella serenità e nella semioscurità; le lampade poste sui lunghi tavoli di lettura erano delle semplici sfere di alabastro, disadorne. Non c’erano altri lettori, ma un bibliotecario si affrettò a seguirli e ad accendere il fuoco nel caminetto di marmo e a chiedere loro se desiderassero altro, poi si ritirò nuovamente. Chifoilisk, fermo davanti al caminetto, osservò il fuoco che si propagava lentamente alla legna. Al di sopra dei suoi occhi piccoli, le sopracciglia erano ispide; il suo viso ordinario, scuro, intelligente, pareva più anziano del solito. — Desidero dirle delle cose antipatiche, Shevek — esordì con la sua voce roca. E aggiunse: — Non che questa sia una novità, penso… — Un’umiltà che Shevek non aveva mai cercato in lui.

— Cosa sarebbe?

— Desidero sapere se lei sa cosa sta facendo, qui.

Dopo una pausa, Shevek rispose: — Credo di sì.

— Lei si rende conto, quindi, di essere stato comprato?

— Comprato?

— Diciamo assunto, se preferisce. Ascolti. Per quanto sia intelligente, un uomo non può vedere le cose che non sa come guardare. Come può lei capire la sua situazione, qui, in un’economia capitalista, in uno stato plutocratico, oligarchico? Come può riconoscerla, lei che viene da una piccola comune di idealisti morti di fame, lassù nel cielo?

— Chifoilisk, ci sono molti idealisti su Anarres, glielo assicuro. I Primi Coloni erano degli idealisti, certo, a lasciare questo mondo per il nostro deserto. Ma questo accadde sette generazioni fa! La nostra società è pratica. Forse troppo pratica, troppo preoccupata della semplice sopravvivenza. Che cosa c’è di idealistico nella cooperazione sociale, nella reciproca assistenza, quando si tratta dell’unico modo per rimanere vivi?

— Non posso discutere i valori dell’Odonianismo con lei. Anche se la cosa mi piacerebbe! Sa, conosco abbastanza il vostro movimento. Siamo molto più vicini ad esso, nel mio paese, che non questa gente dell’A-Io. Siamo entrambi dei prodotti del grande movimento rivoluzionario dell’ottavo secolo… siamo socialisti, come voi.

— Ma voi siete archisti. Lo Stato di Thu è ancor più centralizzato che lo Stato dell’A-Io. Una singola struttura di potere controlla ogni cosa: il governo, l’amministrazione, la polizia, l’esercito, l’istruzione, le leggi, i commerci, la produzione. E mantenete un’economia monetaria.

— Un’economia monetaria basata sul principio che ciascun lavoratore viene pagato come merita, per il valore del suo lavoro… non dai capitalisti che è costretto a servire, ma dallo stato di cui è un membro!

— È lui che fissa il valore del proprio lavoro?

— Perché non viene in Thu, a vedere come funziona il vero socialismo?

— Conosco già come funziona il vero socialismo — disse Shevek. — Potrei spiegarvelo, ma il vostro governo me lo lascerebbe spiegare, in Thu?

Chifoilisk spostò col piede un ceppo che non aveva preso fuoco. L’espressione del suo volto, mentre fissava le fiamme, era amara; i solchi tra il naso e gli angoli delle labbra erano assai profondi. Non rispose alla domanda di Shevek. Dopo un po’, disse: — Non intendo giocare a botta e risposta con lei. Non serve; e comunque non voglio. La cosa che devo chiederle è la seguente: sarebbe disposto a venire in Thu?

— Non ora, Chifoilisk.

— Ma che cosa può riuscire a fare… qui?

— Il mio lavoro. E poi, qui sono vicino alla sede del Consiglio dei Governi Mondiali.

— Il Consiglio? Da trent’anni il Consiglio è una creatura dell’A-Io. Non conti su di esso per salvarsi!

Pausa. — Dunque, sono in pericolo?

— Non s’è accorto neppure di questo?

Altra pausa.

— Riguardo a chi, precisamente, intende avvertirmi? — chiese Shevek.

— Riguardo a Pae, in primo luogo.

— Oh, sì, Pae. — Shevek appoggiò le mani sulla cappa scolpita, intarsiata in oro, del caminetto. — Pae è un ottimo fisico. È molto servizievole. Ma non mi fido di lui.

— Perché?

— Be’… evade.

— Sì. Un giudizio psicologico molto acuto. Ma Pae non è pericoloso per lei perché è una persona sfuggente, Shevek. Pae è pericoloso perché è un agente leale e ambizioso del Governo lotico. Fa rapporto su di lei, e su di me, con regolarità, al Ministero della Sicurezza Nazionale… la polizia segreta. Non intendo sottovalutare le sue capacità, Shevek, Dio sa, ma lei non si accorge che la sua abitudine di accostarsi a ciascun individuo come a una persona, un individuo a sé, non funziona, qui, non può funzionare? Lei deve comprendere i poteri che stanno alle spalle dei singoli individui.

Mentre Chifoilisk parlava, l’atteggiamento rilassato di Shevek si era irrigidito; adesso stava dritto come Chifoilisk, e fissava il fuoco. Disse: — Come fa a sapere di Pae?

— Esattamente come so che la sua stanza, Shevek, contiene un microfono nascosto, al pari della mia. Lo so perché è il mio mestiere saperlo.

— Anche lei è un agente del suo governo?

Il volto di Chifoilisk si abbassò; poi egli si voltò bruscamente verso Shevek, e disse piano, con odio: — Sì, naturalmente. Se non lo fossi, non sarei qui. Lo sanno tutti. Il mio governo invia all’estero soltanto persone delle quali si può fidare. E di me si fida! Perché io non mi sono lasciato comprare, come tutti questi maledetti ricchi professori iotici. Io credo nel mio governo, nel mio paese. Ho fede in loro. — Forzava le parole a uscire, come in una specie di tormento. — Lei deve guardarsi intorno, Shevek! Lei è come un bambino in mezzo ai ladri. Sì, sono gentili con lei, le danno una bella stanza, lezioni da tenere, studenti, denaro, visite ai castelli, visite alle fattorie modello, visite ai graziosi paesini. Soltanto il meglio di ogni cosa. Tutto bello, graziosissimo! Ma per quale motivo? Perché l’hanno portata qui dalla Luna, le fanno dei complimenti, le stampano i libri, la tengono così bene nella bambagia, al calduccio, in aule scolastiche e laboratori e biblioteche? Crede che lo facciano per disinteresse scientifico, per amore fraterno? Qui siamo in una economia di profitto, Shevek!

— Lo so. E sono venuto per contrattare con essa.

— Contrattare? Dare cosa?… E in cambio di che?

Il volto di Shevek aveva assunto la stessa espressione fredda, grave, che aveva nel lasciare il Forte di Drio. — Lei sa che cosa voglio, Chifoilisk. Voglio che il mio popolo esca dall’esilio. Sono venuto qui perché non credo che vogliate la stessa cosa, in Thu. Voi avete paura di noi, laggiù. Voi temete che noi possiamo riportare in vita la rivoluzione, la vecchia rivoluzione, quella vera, la rivoluzione per la giustizia che voi avete cominciato e poi fermato a mezza via. Qui nell’A-Io hanno meno paura di me, perché hanno dimenticato la rivoluzione. Qui non credono più ad essa. Qui pensano che quando il popolo può possedere abbastanza cose, è contento di vivere in prigione. Ma io non lo crederò mai. Io voglio che i muri cadano. Io voglio la solidarietà, la solidarietà umana. Voglio il libero scambio tra Urras e Anarres. Ho lavorato per esso come ho potuto su Anarres, ora lavoro per esso come posso su Urras. Laggiù ho agito. Qui, scambio.


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