Non riuscivo a parlare. Si aprì una porta e Campbell torreggiò su di me.

— Diavolo — disse Hubbley — due mesi fa abbiamo perfino avuto un gruppo di scienziati che effettuavano modificazioni genetiche che si sono uniti a noi volontariamente senza essere torturati, niente. Lei ha realmente fatto la differenza più grande del mondo, figliolo.

"E adesso ci dobbiamo proprio muovere. La porterà Campbell. Se quell’anca comincerà a farle troppo male mi raccomando di farsi sentire. Abbiamo altri antidolorifici e dove stiamo andando c’è anche un dottore. Non vogliamo per niente che lei soffra, non dopo tutto l’aiuto che ci ha dato, signor Arlen. Lei sta dalla giusta parte. Solo che a certe persone ci vuole più tempo che ad altre per capirlo.

"Portalo con attenzione, Campbell. Andiamo."

Campbell mi portò in spalla attraverso la palude per circa due ore, per l’impressione che ne ebbi. Mi è difficile essere sicuro sul tempo perché continuavo a svenire. Mi aveva caricato in spalla come un sacco di soia, ma capivo che stava cercando di essere delicato. La cosa non mi aiutò.

Procedemmo in fila indiana, circa dieci persone, condotti da Jimmy Hubbley. Hubbley conosceva le paludi. I suoi camminavano a volte su strettissimi crinali di terreno semisolido con pozze melmose su entrambi i lati, il genere di sabbie mobili che, da piccolo, avevo visto inghiottire un uomo in meno di tre minuti. In altre occasioni avanzammo a fatica attraverso acque salmastre pullulanti di tartarughe e serpenti. Tutti indossavano stivaloni alti fino all’anca. Si tenevano vicini a fitti grovigli di rampicanti, sotto il muschio grigio che scendeva gocciolante dagli alberi. Non sarebbe comunque servito a nulla, non appena l’ECGS avesse portato un robot da rintracciamento che è dieci volte migliore del miglior cane da fiuto nel cogliere i feromoni, non soltanto seguendone la traccia, ma anche analizzandone il contenuto. Mi aspettavo di essere nuovamente con l’ECGS nel giro di due ore.

Vidi quindi che l’ultima persona della fila era la donna, Abigail, che aveva mandato in fumo l’aereo di salvataggio con un lanciarazzi che aveva poi lasciato all’avamposto. Portava al suo posto un macchinario curvo, dal colore opaco che assomigliava a un arco metallico, tenendolo sopra la testa, parallelo al terreno. Sapevo che cos’era: un Cancellatore di Feromoni Harrison. Rilasciava molecole che si attaccavano a qualsiasi traccia molecolare umana e la neutralizzavano. Era uno strumento militare segretissimo che avevo avuto modo di conoscere soltanto attraverso Huevos Verdes e non era assolutamente possibile che l’Avamposto di Liberazione Francis Marion ne possedesse uno. Tuttavia lo avevano.

Per la prima volta cominciai a credere a Jimmy Hubbley quando aveva detto che il suo movimento non era costituito da fanatici isolati.

Abigail era incinta. Con le braccia sollevate sopra la testa, riuscivo chiaramente a scorgere la curva del suo ventre sotto la tuta, forse era al quinto mese. Mentre camminava, canticchiava fra sé, una canzoncina allegra priva di ritornello. I suoi pensieri sembravano distanti interi chilometri e interi paesaggi.

La palude si fece più densa e soffocante. I rami mi graffiarono il volto mentre pendevo, impotente, da sopra la spalla di Campbell. Serpenti grossi quanto il polso di un uomo strisciavano in pozze poco profonde. Un tronco affiorò, scivolò sotto l’acqua nera e scomparve in una fila di sibilanti bollicine. Alligatore.

Chiusi gli occhi. L’aria umida era carica della fragranza cerea delle orchidee fantasma che crescevano sui tronchi di strani alberi. Non erano parassiti. Vivevano d’aria.

Gli insetti ronzavano e pungevano, in una nuvola costante.

— Be’, eccoci arrivati — disse Jimmy Hubbley. — Signor Arlen, signore, come vanno le cose?

Non risposi. Ogni volta che lo guardavo la mente mi si riempiva delle forme dell’odio, fredde e ruotanti come lame. Leisha era morta. Jimmy Hubbley aveva ucciso Leisha Camden. Lei era morta. Io l’avrei distrutto.

Non sembrò importargli che non gli avessi risposto. Si era fermato sotto una enorme farnia carica di muschio grigiastro. Altri alberi si infittivano nelle vicinanze. Un antico cipresso caduto si era mezzo disfatto in poltiglia, coperta dai risucchianti viticci di un fico strangolatore. Nell’opaca mezza luce vidi una lucertola a strisce scendere velocemente lungo un viticcio. Dall’altra parte della farnia c’era una distesa verde scuro di muschio, soffice e livellato come il prato di un’enclave. Quel luogo puzzava pesantemente di marciume da giungla.

— Ora, figliolo, la prossima parte potrà sembrarle un po’ sconcertante. È davvero importante che si ricordi che non corre nessunissimo pericolo. Ecco, faccia un bel respiro, chiuda la bocca e si tappi il naso. Sa che le dico, andrò prima io per rassicurarla. Solitamente, va prima Abby, ma questa volta andrò io. In parte per rispetto alla sposa.

Sogghignò verso Abigail, facendo scintillare i denti rotti. Lei gli sorrise di rimando e abbassò gli occhi, ma un attimo dopo la colsi lanciare un’occhiata furtiva a uno degli altri uomini, un’occhiata dura e significativa come una granata. Jimmy Hubbley non la vide. Lanciò un grido da ribelle e balzò nella distesa di muschio.

Ansimai, il che mi inviò un inaspettato dolore lungo il fianco sinistro. Jimmy sprofondò immediatamente fino alla vita in una melma nera e gelatinosa che giaceva sotto al muschio. La sua unica speranza ora era di rimanere assolutamente immobile e lasciare che Campbell lo tirasse fuori. Scosse invece leggermente la parte superiore delle spalle, tenendosi tappato il naso con una mano e mantenendo l’altro braccio serrato lungo il fianco, con disinvoltura. Rimase immobile forse per circa dieci secondi e por qualcosa lo risucchiò dentro la fanghiglia. Il suo petto scomparve, quindi sparirono le sue spalle e infine la testa. Il muschio, con qualche macchietta di malta, gli si chiuse sopra.

Il cuore mi martellò contro i polmoni.

Abigail fu la successiva. Infilò il Cancellatore di Feromoni Harrison in una sacca di sintoplastica e la sigillò. Balzò quindi nel muschio e scomparve.

— Tappati il naso, tu — disse Campbell, le prime parole che avesse pronunciato.

— Aspetta. Aspetta. Io…

— Tappati il naso, tu. — Mi scagliò nella fanghiglia.

Il mio fianco sinistro provò un dolore lancinante. I piedi colpirono il muschio, ma lì non provavo alcuna sensazione, non la provavo da decenni. Soltanto quando fui sprofondato fino alla vita avvertii l’appiccicosa melma, incollata addosso come feci, fresca dopo l’aria afosa. Puzzava di marcio, di morte. Forme nere mi fluttuarono nella mente e mi divincolai, anche se una parte di me sapeva che dovevo rimanere assolutamente immobile, che non ci sarebbe stato alcun aiuto a meno che non fossi rimasto assolutamente immobile, "Leisha"… Qualcuno ridacchiò.

Qualcosa mi afferrò da sotto, qualcosa di incorporeo ma potente, come un vento. Mi risucchiò verso il basso. La fanghiglia mi salì sopra le spalle e quindi fino alla bocca. Mi coprì gli occhi riempiendo il mondo delle stesse forme fecali che avevo nella mente. Sprofondai.

Per la terza volta, aspettandomi di morire, la grata color porpora scomparve.

Mi trovai quindi steso sul pavimento di una stanza sotterranea mentre mani guantate mi afferravano e trascinavano me e il mio corpo carico di melma. Il dolore mi attanagliava il fianco sinistro. Qualcuno mi ripulì il volto. Le mani mi tolsero i vestiti e mi infilarono, nudo, sotto una doccia sonar e la melma mi cadde dalla testa e dagli abiti in scaglie secche che vennero a loro volta risucchiate da una specie di aspirapolvere che si trovava sul pavimento della doccia. Qualcuno mi applicò un cerotto medico sulla spina dorsale e il dolore scomparve.

— Potrà anche farsi una doccia vera se vuole — disse gentilmente Jimmy Hubbley. — Alcuni ne hanno bisogno. Quanto meno pensano di averne bisogno. — Era in piedi davanti a me già vestito con una tuta pulita, niente affatto rattoppata, indistinguibile da qualsiasi altro Vivo se si eccettuavano i denti così poco curati.


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