Sentì d’improvviso correrle un formicolio per tutto il corpo e a un tratto il mondo parve farsi ai suoi occhi più netto e più vivido.

— Posso — affermò.

Gulta guardò prima lei poi la verga, a occhi socchiusi. Ed esclamò, con un calcio violento: — Vecchio bastone!

Alla bambina sembrò di vedere un porcellino arrabbiato.

Gli urli di Cern richiamarono la Nonnina e i genitori prima alla porta sul retro e poi li fecero arrivare correndo giù per il sentiero.

Appollaiata sulla biforcazione del melo, Esk aveva sul viso un’espressione sognante. Cern si nascondeva dietro l’albero, la bocca spalancata nell’urlo così che si vedevano le tonsille vibrare.

Gulta sedeva attonito dentro un mucchio di vestiti che non gli calzavano più e arricciava il grugno.

La Nonnina si avvicinò a grandi passi all’albero finché il suo naso adunco non si trovò alla stessa altezza di quello di Esk.

— Trasformare le persone in maiali non è permesso - sibilò. — Perfino i fratelli.

— Non sono stata io, è soltanto successo. A ogni modo, devi riconoscere che questa forma gli va meglio — disse calma la bambina.

— Che succede qui? — domandò il fabbro. — Dov’è Gulta? Che ci fa qui questo maiale?

— Questo maiale — rispose Nonnina Weatherwax — è tuo figlio.

Con un sospiro la madre di Esk si accasciò all’indietro, ma il marito era un po’ meno impreparato di lei. Spostò lo sguardo da Gulta, che era riuscito a tirarsi fuori dai suoi indumenti e stava grufolando con entusiasmo tra i primi frutti caduti a terra, alla sua unica figlia.

— È lei che ha fatto questo?

— Sì. Oppure è suo tramite che è stato fatto — disse la Nonnina, con uno sguardo sospettoso alla verga.

— Oh! — Il fabbro fissò il suo quinto figlio. Doveva ammettere che la nuova forma gli si addiceva. Senza guardare, allungò una mano e mollò uno scappellotto sulla testa dell’urlante Cern.

— Puoi farlo tornare come prima? — chiese. La Nonnina si voltò e con un’occhiata girò la domanda a Esk, che si strinse nelle spalle.

— Lui non ci credeva che ero capace di fare un sortilegio — disse calma la bambina.

— Già. Be’, credo che gli hai dimostrato di avere ragione. E adesso lo farai tornare normale, signora. All’istante. Mi senti?

— Non voglio. È stato sgarbato.

— Capisco.

Esk fissò la nonnina con aria di sfida. Lei la ricambiò con uno sguardo severo. Le loro due volontà cozzarono come cimbali e tra di loro l’aria si fece spessa. Ma la Nonnina aveva trascorso una vita a piegare creature recalcitranti e, sebbene Esk fosse un’avversaria straordinariamente forte, era ovvio che avrebbe ceduto prima della fine del paragrafo.

— Oh, va bene — disse in tono querulo. — Non so perché uno si dovrebbe scomodare a trasformarlo in un maiale, quando lui lo era già per conto suo.

Non sapeva da dove le fosse venuta la magia, ma mentalmente si voltò da quella parte e fece un suggerimento. Gulta riapparve, nudo, con una mela in bocca.

— Che c’è? — farfugliò.

La Nonnina si rivolse al fabbro.

— Adesso mi crederai? — domandò aggressiva. — Credi davvero che lei possa sistemarsi quaggiù e dimenticarsi tutto della magia? Riesci a immaginarti il suo povero marito se si sposasse?

— Ma tu hai sempre detto che per le donne era impossibile fare i maghi — protestò lui. In realtà era piuttosto impressionato. Non si era mai saputo che Nonnina Weatherwax avesse trasformato una persona in un’altra cosa.

— Adesso non pensarci — ribatté la vecchia, un po’ più calma. — Lei ha bisogno di addestramento. Ha bisogno di sapere come controllarsi. Per pietà, metti qualcosa addosso a quel ragazzino.

— Gulta. rivestiti e piantala di piagnucolare — gli ordinò il padre e si rivolse di nuovo alla Nonnina.

— Hai detto che c’era una specie di scuola? — azzardò.

— L’Università Invisibile, sì. Per formare i maghi.

— E sai dov’è?

— Sì — mentì lei, la cui conoscenza della geografia era ancora peggiore di quella della fisica sub-atomica.

Il fabbro guardò prima lei e poi la figlia, che se ne stava con l’aria imbronciata.

— E faranno di lei un mago?

La Nonnina sospirò.

— Non so che cosa faranno di lei — rispose.

Fu così che, una settimana più tardi, la Nonnina chiuse la porta del cottage e appese la chiave al suo gancio nel gabinetto. Aveva mandato le capre da una sua collega strega che viveva più lontano nelle colline e che aveva anche promesso di tenere d’occhio il cottage. A Cattivo Somaro non restava che fare a meno di una strega per un po’.

La Nonnina era vagamente conscia che era possibile trovare l’Università Invisibile soltanto se questa lo voleva. E l’unico luogo dove cominciare a cercare era la città di Ohuian Cutash, una manciata di circa un centinaio di case a una ventina di chilometri di distanza. Era là che si andava una o due volte l’anno se si era un Cattivo Somarese veramente cosmopolita.

La vecchia ci era andata soltanto una volta in vita sua e non le era piaciuto affatto. L’odore dell’abitato non era quello giusto, lei si era persa e diffidava della gente di città con i loro modi pieni di ostentazione.

Lei ed Esk ottennero un passaggio sul carro che arrivava periodicamente con il metallo per la fucina. Era traballante ma sempre meglio che camminare, tanto più che la Nonnina aveva impacchettato i loro pochi averi in un grosso sacco, sul quale si sedette per sicurezza.

Esk stringeva tra le braccia la verga e contemplava i boschi che scorrevano lungo la via. Quando furono a diversi chilometri dal villaggio, osservò: — Mi pareva che tu avessi detto che nelle altre terre le piante sono differenti.

— Infatti.

— Questi alberi sembrano proprio gli stessi.

La vecchia li guardò con aria sprezzante.

— Nemmeno un po’ belli come i nostri.

In realtà cominciava a provare un certo sgomento. La sua promessa di accompagnare Esk all’Università Invisibile era stata fatta senza pensare. Il poco che sapeva del resto del Disco lo aveva ricavato per sentito dire e dalle pagine dell’Almanacco, ed era convinta che loro due andassero incontro a terremoti, maremoti, flagelli e massacri, di cui molti "diversi" o anche peggio. Ma era decisa ad andare fino in fondo. Una strega faceva troppo assegnamento sulle parole per rinnegare mai la propria.

Era vestita di nero, come si conviene, e nascondeva sulla sua persona un certo numero di spilloni e un coltello per tagliare il pane. Il piccolo gruzzolo, prestatole a malincuore dal fabbro, era celato nei misteriosi strati della sua biancheria intima. Le tasche della sua gonna tintinnavano di amuleti e un ferro di cavallo appena forgiato, mezzo di prevenzione sempre potente nei momenti difficili, le appesantiva la borsa. Si sentiva pronta al massimo per affrontare il mondo.

Il sentiero si snodava giù per le montagne. Per una volta tanto il cielo era limpido e le alte cime delle Ramtop si stagliavano nette e bianche come le spose del cielo (con i corredi zeppi di temporali) e i tanti ruscelletti, che scorrevano ai lati o attraverso il sentiero, fluivano pigri tra gli arbusti delle olmarie e delle spiree.

All’ora di colazione giunsero al sobborgo di Ohulan (consistente in una locanda e una manciata di cottage appartenenti a gente incapace di sopportare lo stress della vita urbana). Pochi minuti dopo, il carro le depositò nella piazza principale (e del resto l’unica) della città.

Era giorno di mercato.

Nonnina Weatherwax si fermò incerta sul selciato, stringendo forte la spalla di Esk, mentre la folla turbinava intorno a loro. Aveva sentito raccontare di cose tremende che potevano accadere alle campagnole appena arrivate nelle grandi città, e teneva la borsetta così stretta da averne le nocche sbiancate. Se un forestiero si fosse azzardato anche soltanto a farle un cenno di testa, se la sarebbe passata brutta.


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