— La Nonnina mi porta all’Università Invisibile — spiegò la bambina.

Hilta inarcò le sopracciglia. — Sai dove si trova?

La Nonnina aggrottò la fronte. — Non esattamente — ammise. — Speravo che tu potessi darmi delle indicazioni più precise, visto che hai più familiarità di me con i mattoni e roba del genere.

— Dicono che abbia molte porte, ma quelle che si trovano in questo mondo sono nella città di Ankh-Morpork — disse Hilta. Vedendo che la Nonnina non capiva, aggiunse: — Sul Mare Circolare. — E poi, davanti allo sguardo interrogativo dell’altra: — A quasi mille chilometri da qui — concluse.

— Oh! — esclamò la Nonnina.

Si raddrizzò e spazzò via dal suo vestito un immaginario granello di polvere.

— Faremmo meglio a muoverci — dichiarò.

Hilta scoppiò a ridere. A Esk la sua risata piacque molto. La Nonnina non rideva mai, si limitava semplicemente a sollevare un po’ gli angoli della bocca. Ma Hilta rideva come una persona che aveva riflettuto molto sulla Vita e aveva capito che era tutta uno scherzo.

— Partite domattina, comunque — consigliò. — A casa mia c’è posto, potete stare da me e domani ci sarà la luce.

— Non vorremmo disturbare — disse la Nonnina.

— Sciocchezze. Perché non fate un giretto mentre chiudo bottega?

Ohulan era la città centro di mercato di una regione agricola molto estesa e il commercio non terminava con il tramonto. Al contrario, le torce brillavano su ogni banco e ogni baracchino e la luce si diffondeva dalle porte aperte delle locande. Perfino i templi mettevano fuori delle lanterne colorate per attirare i fedeli serali.

Hilta si muoveva tra la folla come uno svelto serpente tra l’erba secca, l’intero suo banco e la merce ridotti a un fagotto incredibilmente piccolo sulla schiena, i gioielli tintinnanti come un gruppetto di ballerini di flamenco. La Nonnina camminava pesantemente dietro di lei, con i piedi che le dolevano perché non abituati al selciato cittadino.

Ed Esk si perse.

Ci volle un po’ di tempo, ma ci riuscì. Aveva dovuto intrufolarsi abbassandosi tra due bancarelle poi sfrecciare via per un vicolo laterale. La Nonnina l’aveva ammonita più che abbondantemente sulle cose innominabili in agguato nelle città. Il che dimostrava come la vecchia non conoscesse bene la "menteologia", poiché ora Esk era decisa a vederne una o due di persona.

In realtà, dato che Ohulan era un luogo barbaro e incivile, le sole cose che succedevano al calar della notte erano dei furtarelli, un po’ di commercio alla buona nei luoghi del piacere, e sbronzarsi fino a cadere per terra o mettersi a cantare o entrambe le cose…

Secondo i canoni poetici, uno dovrebbe muoversi in una fiera come il cigno bianco si muove a sera sopra la baia. Ma a causa di certe difficoltà tecniche Esk finì per muoversi tra la folla come un carretto traballante, urtando le persone con la punta della verga ondeggiante alta sopra la sua testa. Delle teste si voltarono e non soltanto perché erano state colpite. Qualche volta i maghi passavano in città ed era la prima volta che se ne fosse visto uno alto un metro e trenta e con i capelli lunghi.

Un osservatore attento avrebbe notato strane cose al passaggio della bambina.

Prendiamo, per esempio, l’uomo con le tre ciotole capovolte che invitava un gruppetto di gente a esplorare insieme a lui il mondo eccitante della fortuna e delle probabilità correlato alla posizione di un pisello secco. Il tizio si era reso vagamente conto di una figuretta rimasta ad osservarlo solennemente per qualche momento; subito dopo una cascata di piselli era rotolata giù da ognuna delle ciotole che lui aveva sollevato. E dopo pochi secondi si era trovato immerso nei legumi fino alle ginocchia. Ma si era anche ritrovato in un guaio peggiore: a un tratto doveva un sacco di soldi a tutti.

C’era anche una disgraziata scimmietta che per anni aveva ballonzolato legata a una catena mentre il suo proprietario strimpellava un organetto. D’improvviso l’animale si voltò, socchiuse gli occhietti rossi, morse la gamba dell’uomo, ruppe la catena e si dileguò su per i tetti con il ricavo della serata in una tazza di stagno. La storia non dice come i soldi furono spesi.

Su una bancarella lì vicino le papere di marzapane contenute in una scatola si animarono, passarono frullando davanti all’attonito venditore per approdare, schiamazzando felici, nel fiume (dove, all’alba, si erano liquefatte. A dimostrazione della selezione naturale).

Quanto alla bancarella, scivolò giù per un vicolo e non fu più vista.

Esk, in realtà, si spostava attraverso la fiera piuttosto simile all’incendiario che si muove in un campo di grano o a un neutrone che rimbalza nel reattore. Tuttavia i poeti, e l’ipotetico osservatore, avrebbero potuto individuare il suo passaggio zigzagante seguendo le manifestazioni d’isteria e di violenza. Ma, come ogni buon catalizzatore, lei non era coinvolta nei processi cui dava inizio. E quando ormai i non ipotetici potenziali osservatori avevano distolto lo sguardo, la ragazzina era già lontana.

Cominciava anche a sentirsi stanca. Per principio alla Nonnina Weatherwax la notte andava bene, ma era contraria a condividere con un’altra persona la luce della candela. Così, se a sera doveva leggere, generalmente persuadeva il gufo a venire ad appollaiarsi sulla spalliera della sua seggiola, e leggeva attraverso i suoi occhi. Quindi Esk era abituata ad andare a letto verso il crepuscolo, e questo era passato da un pezzo.

Davanti a lei vide un portone illuminato che le ispirava simpatia e dal quale proveniva un allegro vociare. Vi si diresse, stanca ma decisa, con la verga che ancora irradiava una magia intermittente come un faro soprannaturale.

Il proprietario dell’Indovinello del Violinista si considerava un uomo di mondo. Il che era vero, perché era troppo stupido per essere davvero crudele, troppo pigro per essere davvero spregevole; e benché con il corpo avesse girato parecchio, con la mente non era mai andato oltre la propria testa.

Non era abituato a essere interpellato da un bastone. Specie quando parlava in una vocetta lamentosa e chiedeva latte di capra.

Conscio che tutti nella locanda lo guardavano e sogghignavano, si sporse con precauzione al di sopra del bancone per guardare giù. Esk lo fissò. "Guardali dritto negli occhi" aveva sempre detto la Nonnina. "Concentra il tuo potere su di loro, fagli abbassare gli occhi, nessuno può sostenere lo sguardo di una strega eccetto, naturalmente, una capra."

L’albergatore, che si chiamava Skiller, si ritrovò davanti una bambina che lo guardava con gli occhi socchiusi.

— Che cosa? — le domandò.

— Latte — rispose lei, sempre con lo sguardo fisso. — Lo ottieni dalle capre. Lo sai?

Skiller vendeva soltanto birra che, secondo i clienti, otteneva dai gatti. Nessuna capra che si rispetti avrebbe sopportato l’odore dell’Indovinello del Violinista.

— Non ne abbiamo — affermò. Osservò attentamente la verga e corrugò le sopracciglia.

— Potresti dare un’occhiata — ribatté Esk.

Skiller si raddrizzò, in parte per evitare lo sguardo della piccola, che per simpatia gli faceva lacrimare gli occhi, e in parte perché un orribile sospetto si stava facendo strada nella sua mente.

Anche i baristi di seconda categoria tendono a risuonare con la birra che servono. E le vibrazioni, provenienti dalle grosse botti alle sue spalle, non gli trasmettevano più il fremito del luppolo e della schiuma. Emettevano invece una nota che aveva molto più del latteo.

Per fare una prova l’uomo girò il rubinetto e vide un rivolo di latte colare nel recipiente.

La verga sporgeva sempre, simile a un periscopio, al di sopra dell’orlo del bancone. Lui avrebbe giurato che anch’essa lo stesse fissando.

— Non sprecarlo — disse una voce. — Un giorno potresti ringraziare di averlo.

Era lo stesso tono di voce usato dalla Nonnina quando Esk faceva i capricci davanti a un piatto di nutriente verdura, bollita fino a diventare gialla, fino a perdere anche le ultime tracce di vitamine. Ma all’orecchio ipersensibile di Skiller risuonò non come una ingiunzione, ma come una predizione. Rabbrividì. Non riusciva nemmeno a immaginare come ridursi per dovere ringraziare di bere un boccale di birra stantia e di latte cagliato. Piuttosto avrebbe preferito morire.


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