Forse sarebbe morto.

Asciugò con cura un boccale quasi pulito passandoci il pollice e lo riempì al rubinetto. Si accorse che parecchi dei suoi clienti se ne stavano andando alla chetichella. A nessuno piaceva la magia, specie nelle mani di una donna. Non si poteva mai sapere che cosa le sarebbe saltato in testa di fare in seguito.

— Il tuo latte — disse. E aggiunse: — Signorina.

— Ho del denaro — assicurò Esk. La Nonnina le aveva sempre detto che si doveva essere pronti a pagare senza poi essere obbligati a farlo, alla gente questo comportamento piace. Fa tutto parte della "menteologia".

— No, non me lo sognerei mai — si affrettò a protestare Skiller. Si chinò sul bancone. — Però, se tu potessi, ehm, far tornare il resto com’era? Da queste parti non c’è grande richiesta di latte.

Si scostò un po’ più in là. Per bere il latte, la bambina aveva appoggiato la verga al bar, e lui si sentiva a disagio. Esk lo guardò al disopra di due baffi di crema.

— Non l’ho trasformata in latte — affermò. — Sapevo soltanto che sarebbe stato latte perché era il latte che volevo. Secondo te, che cos’era?

— Ehm. Birra.

Esk rifletté. Ricordava vagamente di avere assaggiato della birra una volta e di non avere gradito il suo gusto. Ma si rammentava di una cosa che tutti a Cattivo Somaro reputavano assai meglio della birra. Era una delle ricette più segrete della Nonnina. Una bevanda che faceva bene, perché consisteva soltanto di frutta, più darsi da fare un sacco per raffreddarla e bollirla e provarne con attenzione poche gocce dandogli fuoco.

Nelle sere eccezionalmente fredde la Nonnina ne metteva un cucchiaino nel suo latte. Doveva essere un cucchiaio di legno, per via di ciò che faceva al metallo.

La bambina si concentrò. Riusciva con la mente a raffigurarsi il sapore e, con quel po’ di facoltà che cominciava ad accettare senza comprenderla scoprì di potere isolare il sapore in piccole forme colorate…

La moglie di Skiller, una donnetta magra, venne fuori dal retro per vedere come mai c’era tanta calma. A un cenno del marito, non aprì bocca e restò scioccata a osservare Esk che ondeggiava leggermente, con gli occhi chiusi e muovendo le labbra.

…piccole forme che non ti servivano si confondevano di nuovo nel grande insieme delle forme, e poi tu trovavi quelle che ti servivano e le riunivi, e poi c’era una specie di uncino a significare che avrebbero trasformato un oggetto in un’altra cosa simile a loro, e poi…

Skiller si voltò con cautela e guardò il barile dietro a lui. L’odore del locale era cambiato e lui riusciva a sentire l’oro puro che trasudava dal vecchio fusto.

Preso con attenzione un bicchierino dalla riserva sotto il banco, fece uscire dal rubinetto un piccolo getto del liquido d’oro scuro. Lo contemplò pensieroso alla luce della lampada, rigirò il bicchiere tra le dita, lo annusò più volte e ne ingollò il contenuto in un solo sorso.

Il suo viso rimase lo stesso, sebbene gli occhi gli si inumidissero e la gola gli tremasse un po’. Sotto lo sguardo attento della moglie e di Esk, la sua fronte s’imperlò di goccioline di sudore. Passati dieci secondi, era evidente che era sul punto di battere un record eroico. Forse dalle orecchie gli uscivano nuvolette di vapore, ma poteva trattarsi di una chiacchiera. Le sue dita tamburellavano uno strano ritmo sul bancone.

Alla fine deglutì, sembrò giungere a una decisione, si rivolse solennemente a Esk e farfugliò una filza di suoni inarticolati.

Con la fronte aggrottata, ripensò mentalmente la frase e fece un secondo tentativo. Senza miglior successo.

Si arrese.

— Bharrgsh nargh!

La moglie sbuffò e gli tolse il bicchiere di mano senza che lui protestasse. Lo annusò. Guardò i fusti, uno a uno. Il suo sguardo incontrò quello incerto di lui. Perduti in un paradiso privato per due, calcolarono senza parlare il prezzo di vendita di seicento galloni di brandy di pesca bianca di montagna distillato tre volte, e persero il conto.

La signora Skiller era più svelta di comprendonio del marito. Si chinò a sorrìdere a Esk, che era troppo stanca per ricambiarla con un’occhiataccia. Non era un sorriso particolarmente riuscito; perché la signora Skiller mancava di pratica.

— Come hai fatto a venire qui, ragazzina? — La sua voce suggeriva casette di zenzero e il tonfo dello sportello di un grande forno.

— Mi sono persa dalla Nonnina.

— E dov’è adesso la Nonnina, cara? — Lo sportello del forno si chiuse di nuovo con fracasso. Si annunciava una notte difficile per tutti coloro che vagavano in foreste metaforiche.

— Da qualche parte, suppongo.

— Ti piacerebbe andare a dormire in un grande letto di piume, tutto morbido e caldo?

La bambina la guardò riconoscente, anche se si rendeva vagamente conto che la donna aveva la faccia di un astuto furetto, e fece cenno di sì.

Avete ragione. Ci vorrà più di un tagliaboschi di passaggio per sistemare questa faccenda.

In quel momento la Nonnina si trovava a due strade di distanza. Si era anche persa, secondo il criterio di certa gente. Lei non la pensava così. Lei lo sapeva dove si trovava, era tutto il resto che lo ignorava.

Si è già accennato come sia molto più difficile individuare una mente umana di quella, diciamo, di una volpe. La mente umana, che considera il fatto come una specie di affronto, vuole sapere perché. Ecco perché.

La mente degli animali è semplice e perciò acuta. Gli animali non perdono mai tempo a dividere l’esperienza in tante piccole parti e a speculare su quelle che gli sono sfuggite. Per loro l’intero apparato dell’universo consiste nettamente in cose quali: a) accoppiarsi, b) mangiare, c) sfuggire, d) rocce. Ciò libera la mente da inutili pensieri e la rende perspicace, quando occorre. Un animale normale, infatti, non cerca mai di camminare e masticare gomma allo stesso tempo.

L’essere umano medio, d’altro lato, pensa ogni sorta di cose, ventiquattro ore su ventiquattro, a ogni sorta di livelli, con interruzioni risultanti da una quantità di calendari biologici e di orologi. Ci sono pensieri che si esprimono e pensieri privati, pensieri reali, pensieri riguardanti pensieri, e un’intera gamma di pensieri subconsci. Per un telepatico la mente umana è una confusione di rumori. Una stazione ferroviaria con tutti gli altoparlanti contemporaneamente in funzione. Una vera e propria lunghezza d’onda FM (e certe di quelle stazioni non sono rispettabili, stazioni pirate su mari proibiti che trasmettono a tarda notte le registrazioni di musica sentimentale).

Tentando di localizzare Esk soltanto con la magia della mente, la Nonnina cercava di trovare l’ago nel pagliaio.

Infatti non le riusciva. Le giunsero invece da migliaia di cervelli, che tutti pensavano simultaneamente, abbastanza segnali da convincerla che il mondo era davvero stupido come lei aveva sempre ritenuto che fosse.

Incontrò Hilta all’angolo della strada. L’amica aveva con sé la sua scopa in modo da condurre meglio una ricerca aerea (ma in grande segretezza; infatti gli uomini di Ohulan, consumatori convinti dell’Unguento di Lunga Durata, erano assolutamente contrari alle donne volanti). Hilta era agitata.

— Non la minima traccia di lei — la informò la Nonnina.

— Sei stata giù al fiume? Potrebbe esserci caduta.

— In questo caso, ne sarebbe ricaduta fuori. E a ogni modo, Esk sa nuotare. Io penso che si nasconda, accidenti a lei.

— Cosa facciamo?

La vecchia la fulminò con lo sguardo. — Hilta Trovacapra, mi vergogno di te, che ti comporti da vigliacca. Ti sembro preoccupata? L’altra la guardò.

— Lo sei. Un po’. Quasi non ti si vedono più le labbra.

— Sono semplicemente arrabbiata, ecco tutto.

— Gli zingari vengono sempre qui alla fiera, può darsi che l’abbiano presa.

La Nonnina era preparata a credere qualsiasi cosa della gente di città, ma in quel caso si trovava su terreno più sicuro.


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