— Io non potrei mai battere Peter. Non importa quel che ho detto o fatto. Non ci sono mai riuscito.

E così torniamo a Peter. - Lui era parecchio più grande di te, e più forte.

— Anche gli Scorpioni lo sono.

Lei riusciva a sentire il suo modo di pensare. O piuttosto, l’ostacolo che glielo bloccava. Ender sapeva di poter vincere tutto, ma in fondo al cuore era certo che sarebbe rimasto qualcuno capace di distruggerlo. E non era mai stato convinto d’aver vinto davvero, perché alle sue spalle era rimasto Peter, il campione imbattuto.

— Vuoi sconfiggere Peter?

— No — rispose lui.

— Sconfiggi gli Scorpioni, e poi torna a casa e guarda chi si ricorda ancora dell’esistenza di Peter Wiggin. Guarda i suoi occhi quando tutto il mondo ti amerà e ti onorerà. Soltanto in essi, e soltanto allora, potrai leggere la sua sconfitta. E la tua vittoria.

— Tu non capisci — disse lui.

— Sì, che capisco.

— Non è così. Io non voglio distruggere Peter.

— E allora cos’è che vuoi?

— Desidero che lui mi voglia bene.

A questo Val non poté rispondere. Da quel che ne sapeva lei, Peter non aveva mai voluto bene a nessuno.

Ender non disse nient’altro. Si limitò a restare sdraiato, senza muoversi e senza riaprire gli occhi.

Dopo un po’ di tempo Valentine si accorse che era quasi il tramonto, e che sciami di zanzare si stavano alzando in volo nelle zone in ombra. Raccolse la pagaia e la affondò nell’acqua, cominciando lentamente a spingere la zattera verso riva. Ender non diede segno d’accorgersi di quel che stava facendo, ma dal suo respiro Val capì che non dormiva. Quando furono allo scivolo delle barche saltò sul molo e si volse a guardarlo. — Io ti voglio bene, Ender. Te ne vorrò sempre, qualunque cosa tu decida di fare.

Lui non rispose, e Val si disse che non aveva creduto una parola di quell’ultima frase. Si avviò su per il sentiero che risaliva la collina, angosciata e furibonda contro quelli che l’avevano costretta ad incontrare Ender lì e in quei termini. Perché, alla fine, lei aveva fatto proprio ciò che loro volevano. Aveva ancora risucchiato nel loro ingranaggio suo fratello, e sapeva che stavolta lui non l’avrebbe perdonata facilmente.

Ender rientrò dalla porta posteriore, ancora bagnato dopo il suo ultimo tuffo nel lago. All’interno della villa non c’era una luce accesa, e nell’oscurità del soggiorno trovò Graff ad aspettarlo.

— Possiamo andarcene da qui? — chiese Ender.

— Se è questo che vuoi — annuì Graff.

— Quando?

— Appena sei pronto.

Ender si fece una doccia e si vestì. Gli era parso piacevole riabituarsi a maneggiare e indossare abiti civili, ma ancora non si sentiva a suo agio senza un’uniforme o una tuta da battaglia. Non indosserò mai più una tuta da battaglia, rifletté. Quelle erano le gare della Scuola di Guerra, una cosa con cui ho chiuso. Dalla finestra entrava il coro dei grilli che frinivano nel prato; in distanza ci fu il crepitio della ghiaia sotto i pneumatici di un’auto che usciva lentamente dalla rimessa.

Cos’altro avrebbe potuto portare con sé? Aveva letto parecchi dei libri contenuti nella piccola biblioteca, ma appartenevano alla casa e dovevano esser lasciati lì. La sola cosa di sua proprietà era la zattera, e anche quella sarebbe rimasta lì.

Al pianterreno le luci erano accese, e Graff si alzò nel vederlo comparire. Anche lui s’era cambiato. Indossava di nuovo l’uniforme.

Sedettero sul divano posteriore della macchina, e l’autista guidò a velocità moderata per le oscure strade di campagna verso l’aereoporto. Dopo un po’ Graff disse: — Un tempo, quando la popolazione aumentava ancora, mantennero questa zona a boschi e fattorie. È una terra ben irrigata, con una quantità di sorgenti e fiumiciattoli e molta acqua nel sottosuolo. Gli alberi hanno affondato le radici fin nel cuore della terra, rendendola viva. Ma noi ne abitiamo solo la superficie, come gli insetti che scivolano sul pelo dell’acqua in riva al lago.

Ender non disse nulla.

— Noi addestriamo i nostri ufficiali perché imparino a pensare in un certo modo, e questo richiede che molti elementi della vita normale scompaiano dalla loro mente, perciò li isoliamo. Voi. Vi teniamo appartati. E la cosa funziona. Ma è così facile, quando non incontri mai gente, quando non senti il profumo della terra, quando vivi fra pareti metalliche oltre le quali c’è il gelo dello spazio, è così facile dimenticare che vale la pena di combattere e morire per questa Terra. Perché il nostro pianeta e la sua gente meritano che si paghi qualunque prezzo per salvarli.

Così è per questo che mi avete portato qui, pensò Ender. Con tutta la vostra fretta di agire, è per questo che mi avete regalato tre mesi in riva a un lago: per farmi amare la Terra. Be’, ha funzionato. Tutti i vostri trucchi hanno funzionato. Anche Valentine. Anche lei uno stratagemma, per ricordarmi che non vado a scuola solo per me stesso. Bene, me lo ha ricordato.

— Può darsi che io abbia strumentalizzato Valentine — disse Graff, — e che tu mi odi per questo, Ender. Ma non dimenticare una cosa: lei ha ottenuto un risultato perché quel che c’è fra voi due è importante, è autentico, è una cosa che vale. Miliardi di legami simili uniscono miliardi di esseri umani. È per questo che combattiamo.

Ender si volse al finestrino e guardò le luci degli aeromobili che decollavano o atterravano sul campo d’aviazione.

Un elicottero li portò allo spazioporto della F.I. a Stumpy Point. La base aveva un altro nome, quello di un Egemone morto anni addietro, ma tutti continuavano a chiamarla Stumpy Point, dalla piccola e misera cittadina che era stata spazzata via dalle distese di cemento e acciaio e plastica sorte sulla riva del Pamlico Sound. C’erano ancora stormi di anatre selvatiche che nidificavano nelle paludi salmastre, dove i salici si piegavano quasi ad abbeverarsi. Cominciò a cadere una pioggia leggera e le immense piste si fecero lucide e scure; era difficile capire dove lasciassero il posto alle acque della baia.

Graff lo condusse attraverso.un labirinto di controlli. L’autorità dell’ufficiale era contenuta in una pallina di plastica che si portava dietro: la lasciava cadere entro canaletti inclinati, le porte si aprivano, uomini in divisa si alzavano e salutavano, la macchina risputava fuori la pallina e Graff tirava via diritto. Ender notò che dapprima tutti guardavano Graff, ma quando furono penetrati abbastanza nelle strutture dello spazioporto la gente cominciò a prestare più attenzione a lui. All’esterno avevano badato solo all’uomo e alla sua autorità, ma più avanti, dove tutti avevano un’autorità, era il suo carico umano a destare maggiore interesse.

Soltanto quando s’accorse che Graff si stava allacciando la cintura di sicurezza, seduto accanto a lui nella cabina della navetta, Ender capì che anche l’ufficiale lasciava la Terra.

— Fin dove? — gli chiese. — Fin dove viaggerà con me?

Graff ebbe un breve sorriso. — Per tutta la strada, Ender.

— L’hanno promossa direttore della Scuola Ufficiali?

— No.

Così avevano rimosso Graff dal suo incarico alla Scuola di Guerra col solo scopo di accompagnare lui in quel trasferimento. Sono importante fino a questo punto, si meravigliò Ender. E insinuante come un sussurro di Peter un pensiero lo attraversò: che vantaggi posso trarne?

Con un brivido cercò di pensare a qualcos’altro. Peter poteva cullarsi nei suoi sogni di potere, ma lui non aveva simili fantasie. Eppure, ripensando ai suoi anni alla Scuola di Guerra, dovette dirsi che aveva sempre avuto del potere sugli altri. Un potere legato al fatto di eccellere, e non già alla sua capacità di dominare il prossimo. Dunque non aveva motivo di vergognarsene. Mai, salvo che con Bean, aveva usato quel potere per ferire qualcuno. E anche con Bean le cose s’erano volte al meglio, dopotutto. Bean era diventato suo amico, prendendo il posto di Alai, che a sua volta aveva sostituito Valentine. Valentine, che stava aiutando Peter nei suoi piani segreti. Valentine, che gli avrebbe voluto bene qualunque cosa fosse accaduta. E seguendo quei pensieri si lasciò trasportare di nuovo sulla Terra, di nuovo alle ultime quiete ore di sole al centro del piccolo lago, nell’abbraccio delle colline boscose. Ed è questa la Terra, pensò. Non un globo lontano sospeso nello spazio, ma gli alberi che succhiano la linfa dalle rive di un lago colmo di riflessi, una casa seminascosta dalla vegetazione in cima a un’altura, un pendio erboso su cui il sentiero si vede appena, i pesci che sfiorano un attimo la superficie dell’acqua, il guizzo del martin pescatore che vola a catturare un insetto fra le canne. E la voce di una fanciulla che gli parlava attraverso il sipario degli anni trascorsi. La stessa voce che un tempo lo aveva rassicurato e consolato. La stessa voce a cui lui avrebbe impedito di spegnersi ad ogni costo, anche tornando a scuola, anche lasciando la Terra per altri quattro o altri quattromila anni. Anche se lei vuole più bene a Peter.


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