— Pensi che non ne avrai bisogno?

— Averne bisogno? — Lui la guardò, piuttosto stupidamente.

— A che serve? Contro cosa dovresti combattere, con quella?

— Non so.

— E se non dovessi neppure combattere… se non servisse? Se c’è qualcosa, quassù, una specie di essere potentissimo o qualcosa di simile, perché non ci hanno detto che cos’è? E se fosse inutile tentare di combattere?

— Perché ci avrebbero ingannati? — chiese Hugh.

— Perché non possono fare altro. Non voglio dire che il Nobile Horn sia malvagio. Non so cosa sia. Non puoi dire che quello che fanno sia bene o male. Come hai detto tu, fanno ciò che devono fare. Il Padrone parlava di fare un patto, di pagare. Intendeva… non so cosa intendeva. Non capisco, ecco, non so cosa stiamo cercando di fare, qui.

Hugh si passò di nuovo la mano tra i folti capelli sudati. — Ma non dovevi venire quassù — disse con quel suo modo di fare gentile e ostinato.

— Sì, dovevo venire. Non so. Dovevo. Era tempo di andare.

— Ma perché da questa parte? Avresti potuto andare semplicemente a casa.

— A casa! — disse lei.

Lui non rispose, per un po’. Poi annuì. — Immagino — disse. E dopo un momento: — Proseguiamo. Continuo a pensare che presto verrà buio.

7.

L’erba era alta, folta, aggrovigliata, e non mostrava alcun sentiero. La ragazza si avviò a passo sicuro, tagliando di sbieco verso le balze lontane, attraverso la grande terrazza d’erba. Non c’era bisogno di procedere uno dietro l’altra, lì, come sugli stretti viottoli della foresta. Hugh le camminava al fianco, ma a un paio di metri di distanza, perché lei aveva fatto capire chiaramente che non lo voleva vicino. L’erba fitta gli si aggrovigliava intorno alle caviglie, e lui stava imparando a posare direttamente il piede a ogni passo, come per camminare sulla neve. La spada ingombrante gli batteva contro la coscia, ma era piacevole poter andare a un passo ritmico e allungato, invece di brancolare e di inerpicarsi. Ed era piacevole e raro, in quella terra di foreste, avere in vista la destinazione, vedere le vette che lentamente torreggiavano più alte.

Dopo un lungo tempo, Hugh parlò. — Ora continuo a pensare che sia mattina.

La ragazza annuì. — Perché quassù è più chiaro, credo. Non ci sono alberi.

— Ed è aperto verso est.

Continuarono a camminare, in silenzio. In quell’immensa prateria vuota, sembrava naturale che non vi fosse altro suono che il lieve fruscio sferzante dell’erba contro le loro gambe e talvolta il mormorio del vento negli orecchi. Una blanda esultanza pervase il corpo e la mente di Hugh, un ritmo euforico intonato al suo passo. Stava facendo ciò che era venuto per fare, andava dove doveva andare. Aveva guadagnato il diritto di stare lì, il diritto di amare Allia.

Non aveva importanza che lei non conoscesse la lingua in cui le aveva detto «Ti amo». Non aveva importanza se non si fossero incontrati mai più. Era il suo amore che contava, che lo portava avanti, senza angoscia e senza paura. Non poteva aver paura. La morte è la sorella dell’amore, la sorella dal volto velato.

Mentre procedevano e, lentamente, la parete di roccia torreggiava più alta, e le pieghe e le cicatrici e i piani inclinati della sua superficie si rivelavano, e l’erba selvatica frusciava sferzante al ritmo del suo passo, e le profondità del cielo si stendevano come acque sopra di lui, Hugh sentì ancora una volta che sarebbe stato felice di continuare a camminare per sempre in silenzio attraverso quell’altopiano. Ora non c’era stanchezza in lui. Non si sarebbe stancato mai. Avrebbe potuto continuare così per sempre, volgendo le spalle a tutto.

La ragazza stava dicendo il suo nome. Lo aveva pronunciato più di una volta. Lui non voleva fermarsi. Non c’era nulla per cui valesse la pena di fermarsi. Ma la voce di lei risuonava esile, come il richiamo lamentoso di un uccello marino, e Hugh si fermò e si voltò indietro.

Un po’ prima erano arrivati direttamente sotto le pareti a strapiombo, e da quel momento avevano camminato verso nord, sull’erba più bassa, a fianco di enormi frane e cascate di roccia frantumata, invase per metà da erbe e saggina. La ragazza era parecchio più indietro di lui, alla piega esterna di una fenditura nella base delle pareti, e quando Hugh tornò indietro vide che era l’accesso di un sentiero. Appariva stretto e buio.

— Questa è la via per arrivare al Gradino Alto — disse lei.

Hugh guardò il sentiero con scarso entusiasmo.

— Voglio fare una sosta prima di cominciare a salire. È ripido — disse lei. Sedette sull’erba, che lì era secca e bassa, dorata e consunta. — Hai fame?

— Non molta. — Hugh non voleva perdere tempo a mangiare, anche se, ripensandoci, sapeva che avevano percorsa molta strada, avevano camminato a lungo, che la via scura dove s’era fermata Allia era molto lontana, dietro di lui, laggiù. Voleva proseguire. Ma la ragazza aveva ragione di fermarsi, e aveva l’aria stanca, il viso contratto e aggrondato. Hugh lasciò cadere la giubba e la cintura e la spada e lo zaino accanto a lei, e andò a orinare dietro una distesa di enormi macigni caduti; tornò indietro, piacevolmente conscio del calore e dell’elasticità del proprio corpo, non stanco ma lieto di poter riposare un po’; e si issò su un macigno rossastro accanto alla ragazza seduta sull’erba. Lei stava mangiando. Gli porse una striscia di carne secca e alcuni frutti secchi; e avevano un buon sapore.

C’era un unico suono: il vento che fischiava tra l’erba bassa, o tra le pietre sparse, un esile pigolio freddo, rasente al suolo.

La ragazza avvolse di nuovo i viveri.

— Va meglio? — chiese Hugh.

— Sì — disse lei, e sospirò. Lui vide il volto rotondo e olivastro volgersi verso il sentiero oscuro.

— Ascolta — le disse. Avrebbe voluto chiamarla per nome. — Non è necessario che tu prosegua.

Lei scrollò le spalle. Si alzò, assestandosi lo zaino grossolano, un rotolo di lana rossa.

— Il posto dove devo andare è in cima a quel sentiero?

Lei annuì.

— Bene. Nessun problema.

La ragazza si alzò con quella sua aria cupa e poi, sorprendendolo, lo guardò e sorrise. — Ti perderesti — gli disse. — Continui a perderti. Hai bisogno di un navigatore.

— Non posso perdermi su un sentiero largo poco più di mezzo metro…

— Lo hai fatto, quando siamo venuti, hai lasciato la strada del sud. — Il sorriso si allargò in una risata, brevissima. — Quando io mi spavento, tu ti perdi. Si direbbe che vada così.

— E adesso hai paura?

— Un po’ — disse lei. — Sta ricominciando. — Ma la risata non era svanita del tutto.

— Allora non dovresti continuare. Non è necessario. Me ne sento responsabile. Se non fosse per me, non lo faresti.

Ma lei s’era già avviata per il sentiero. Hugh la seguì subito, assestandosi frettolosamente lo zaino sulle spalle. Entrarono nella fenditura, una scabra cicatrice verticale nella parete della montagna. Alte, asciutte muraglie di roccia rossa e brunonerastra si chiusero sopra le loro teste. Il percorso era pietroso, e immediatamente scosceso.

— Tu non sei responsabile di quello che faccio — disse lei, girando la testa.

— Allora tu non hai la responsabilità d’impedirmi di perdere la strada.

— Ma dobbiamo arrivare là — disse lei.

Continuarono a salire. Il sentiero svoltava bruscamente, avanti e indietro. Dovettero inerpicarsi per un tratto, dove le rocce erano franate. Hugh guardò la mano della ragazza, mentre si aggrappava a un macigno tagliente. Era una mano piccola, esile e scura, e le mezzelune delle unghie erano bianche.

— Ascoltami — le disse. — Voglio… Non ho mai capito il tuo nome.

Lei si voltò a guardarlo. — Irena — disse chiaramente, e lo scandì lettera per lettera.

Hugh lo ripeté, e ancora una volta l’ampio, dolce, segreto sorriso passò sul volto di lei mentre lo guardava dall’alto, tenendosi salda tra le aspre rovine della terra e della roccia. Poi prosegui, leggera.


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