— Che cosa avevano detto di fare? — chiese. — Avevano detto molte cose che tu non hai tradotto. Mi hanno dato la spada, ci hanno mandati quassù, in quel prato…

— Il Nobile Horn non aveva detto niente. Sark aveva detto di andare alla pietra piatta. Immagino che alludesse a quel mucchio di rocce accanto alle quali ci siamo seduti.

— No — disse Hugh, ma non spiegò.

— Immagino sapessero che se andavamo là saremmo… quello sarebbe venuto… — Irena rimase per un po’ in silenzio poi disse, con un filo di voce. — L’esca.

Lui non disse nulla.

— Li ho amati — disse lei. — Per tanto tempo. Credevo…

— Hanno fatto quel che dovevano fare. E noi… noi non siamo venuti qui per caso.

— Siamo venuti qui fuggendo.

— Sì. Ma siamo venuti qui. Siamo arrivati qui.

Questa volta lei non rispose.

Dopo un po’ Hugh disse: — Sento che dovevo essere qui. Persino ora. Ma tu hai fatto quel che avevi promesso. Ora dovresti proseguire, scendere e tornare alla porta.

— Sola?

— Non potrei difenderti se fossi con te.

— Non si tratta di questo!

— È pericoloso per te, star qui. Non ho bisogno di te, adesso. Se fossi solo, potrei… potrei agire liberamente.

— Ti ho già detto che non sei responsabile per me.

— Non posso farne a meno. Due persone, in un certo senso, sono sempre responsabili l’una per l’altra.

Lei restò seduta in silenzio, stringendosi le ginocchia con le braccia. Quando parlò, lo fece senza toni di sfida. — Hugh. Che cosa potresti far meglio, solo? Se non farti uccidere?

— Non so — disse lui.

Dopo un po’ lei disse: — Dovremmo mangiare qualcosa — e s’insinuò di nuovo sotto i rododendri per prendere il suo fardello. Estrasse i pacchetti dei viveri e li fissò.

— Il mio zaino è rimasto vicino a quelle rocce — disse lui.

— Non voglio tornare là!

— No. Questo basterà.

— Beh, potrebbe bastare per un paio di giorni. Se staremo attenti.

— Basterà. — Non aveva importanza. Nulla aveva importanza. Hugh si sentiva sconfitto. Era fuggito e si era nascosto, ancora una volta, ed era in salvo, e sarebbe stato sempre in salvo, mai libero. — Andiamo — disse. — Non ho fame.

— Andar dove?

— Giù, alla porta. E andarcene di qui.

Lei levò gli occhi per guardarlo, mentre lui si alzava. Aveva un’espressione triste, indecisa. Hugh affibbiò di nuovo la cintura, si assestò la giubba di pelle sulle spalle. Aveva i muscoli indolenziti, si sentiva oppresso dal malessere e dalla pesantezza. — Andiamo — ripeté.

lrena arrotolò il suo fardello rosso e lo legò, ma tenne da parte una striscia di carne affumicata, che si mise fra i denti mentre infilava le braccia nelle cinghie. Hugh si avviò, risalendo il ripido pendio fittamente alberato che avevano disceso, fino a quando raggiunse il sentiero che entrava nella foresta dal Gradino Alto. E svoltò sulla sinistra.

Raggiungendolo tra un considerevole fruscio di foglie e lo scricchiolio dei ramoscelli, lrena disse: — Dove stai andando?

— Alla porta. — Lui indicò, con sicurezza, un po’ a sinistra rispetto alla direzione del sentiero. — È laggiù.

— Sì, ma questo sentiero…

Hugh sapeva che lei pensava, e non voleva dirlo, che era il sentiero percorso, creato dalla bianca cosa urlante.

— Va nella direzione giusta. Quando smetterà di andare nella direzione giusta, taglieremo attraverso la campagna, verso l’asse del sentiero, la strada del sud.

Lei non ribatté. Sembrava ancora preoccupata, ma era inutile preoccuparsi, non contava affatto come procedessero o dove andassero. Proseguì, e lei gli andò dietro.

La pista era vaga ma chiara, senza piste laterali o attraversamenti che la confondessero. Procedeva piuttosto pianeggiante, e la direzione era sud, sebbene si snodasse a destra e a sinistra in curve a u e a v, seguendo gli avvallamenti e la muscolatura del fianco della montagna. Gli alberi erano esili, vicini e alti. Spesso c’erano formazioni rocciose, sporgenze di granito pallido, e di tanto in tanto un nudo declivio di pietra, più in alto del sentiero. Dove il suolo era molle, sotto gli alberi, gli aghi degli abeti in certi punti erano stati spazzati via dal sentiero e il terriccio era sconvolto e segnato. Quando lo notò, Hugh pensò alle pesanti gambe pallide e grinzose, al corpo che si trascinava. Correva ritto, come un uomo. Ma era molto più grosso di un uomo e correva pesantemente ma molto svelto, trascinandosi e gridando come se soffrisse. Da quando la lasciò entrare nella sua mente, quell’immagine non l’abbandonò più. Gli sembrava che nell’aria, lungo il sentiero, ci fosse un odore vagamente familiare, no, intimamente familiare, ma non sapeva dargli un nome. C’erano i fiori bianchi di un arbusto, in estate, che avevano quell’odore, come il seme, ecco, l’odore dolce e spento. Lui continuava e continuava a camminare, e non aveva nella mente null’altro che l’interminabile momento in cui aveva intravvisto la cosa bianca che correva, più in alto di lui, su quel sentiero.

Un ruscelletto attraversava il percorso; nasceva da sorgente più in alto, sulla montagna. Hugh si fermò a bere, perché aveva molta sete. La ragazza lo raggiunse. Per lungo tempo, aveva dimenticato che era là, dietro di lui, e lo seguiva. Lo scintillio dell’acqua e la forma del viso di lei si frapposero tra lui e l’immagine della cosa bianca. Dopo aver bevuto, Irena si lavò la faccia, ripulendola dal terriccio, dal sale, dal sangue, facendosi scorrere l’acqua sulle braccia e sulla parte posteriore del collo. Hugh la imitò, e il contatto dell’acqua lo svegliò un poco, sebbene la sua mente lavorasse con lentezza e tutto gli sembrasse opaco e indistinto, senza significato e senza differenze.

Lei stava dicendo qualcosa.

— Non so — rispose lui, a caso.

Per un momento vide gli occhi della ragazza, scuri e luminosi nel crepuscolo informe sotto gli alberi.

— Se siamo ancora sul fianco orientale della montagna, allora il sud è là — disse lei, tendendo il braccio. Hugh annuì. — La porta. Ma il sentiero è così tortuoso. Mi confonde. Se dobbiamo abbandonarlo, forse è meglio che lo facciamo subito, finché ho ancora il senso di… dell’ubicazione della porta. — Lo guardò di nuovo.

— Dobbiamo restare sul sentiero — disse lui.

— Sei sicuro? — chiese lei in tono di sollievo.

Hugh annuì e si alzò. Attraversò il ruscelletto, e proseguirono. Era buio sotto gli alberi fitti e scuri. Non c’erano distanze, non c’era scelta, non c’era il tempo. Continuarono a camminare. La pista, adesso, scendeva gradualmente. Tutte le curve deviavano sempre più sulla destra che sulla sinistra, mentre li conducevano intorno alla massa possente della montagna, verso ovest. Diventerà più buio, se continueremo verso ovest, pensò Hugh.

Irena lo tirò per il braccio: voleva che si fermasse. Lui si fermò. Lei voleva che sedesse e dividesse i viveri. Lui non aveva fame e non poteva restare lì a lungo, ma era piacevole riposare un poco. Si alzò, e proseguirono. Ruscelli scoscesi attraversavano il sentiero, di tanto in tanto, nelle pieghe scure dei canaloni, e Hugh s’inginocchiava per bere a ognuno di essi, perché aveva sempre sete, e l’acqua lo scuoteva per un minuto. Alzava lo sguardo e vedeva il cielo fra i rami neri e sfrangiati, e poi lo girava sul quieto, dolce, severo volto della ragazza inginocchiata accanto a lui sul bordo del ruscello; sentiva il fruscio del vento, sopra e sotto di loro, sul fianco della montagna. Si accorgeva di queste cose, e magari delle piccole felci e delle piante acquatiche vicine alle sue mani. Poi si alzava e riprendeva a camminare.

C’era un posto dove l’aria era più leggera, un filare di alberi dal tronco pallido e dalle foglie rotonde. Lì la pista si biforcava. Un ramo svoltava a sinistra, scendendo il declivio; un altro proseguiva diritto.

— Quello potrebbe scendere alla strada del sud — disse Irena, ma quando lei pronunciò la parola «quello», lui comprese che non era veramente quello giusto.


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