E per questo che lei non c’è, pensò Orr. Non poteva essere nata grigia. Il suo colore scuro era una parte essenziale di lei, non un elemento casuale. La sua collera, la sua timidezza, la sua aggressività, la sua gentilezza erano elementi della sua essenza mista, della sua natura mista: scura, ma chiara e trasparente come ambra del Baltico. Non poteva esistere nel mondo degli esseri grigi. Non era mai nata.

Lui era nato, invece. Lui poteva nascere in qualsiasi mondo. Lui non aveva personalità. Era un pezzo di creta, un blocco di legno grezzo.

E il dottor Haber: Haber era nato. Nulla poteva evitarlo. Egli diventava più grande ad ogni reincarnazione.

Durante la terribile giornata del ritorno a Portland bombardata, mentre sobbalzavano su una strada non asfaltata nella Hertz a vapore, Heather gli aveva detto che gli aveva suggerito di sognare uno Haber migliorato, come erano già d’accordo. E, da allora, Haber era stato sincero con Orr per ciò che riguardava le sue manipolazioni. Anche se «sincero» non era la parola giusta: Haber era una persona troppo complicata per essere completamente sincera. La cipolla si poteva pelare, una buccia dopo l’altra, ma non ne veniva fuori altro che cipolla.

Questa perdita di un singolo strato era l’unico vero cambiamento avvenuto in Haber, e forse non era dovuto a un sogno efficace, ma soltanto al cambiamento delle circostanze. Era. così sicuro di sé, ormai, che non aveva bisogno di cercare di nascondere le proprie intenzioni o di ingannare Orr; bastava che lo costringesse a fare ciò che voleva. Orr non aveva alcuna possibilità di sfuggirgli. Il Trattamento Terapeutico Volontario si chiamava adesso Controllo della Salute Personale, ma aveva gli stessi addentellati legali, e nessun avvocato si sarebbe sognato di mettersi contro Haber sulla base delle accuse di un paziente. Haber era un uomo importante: importantissimo. Era direttore del SURA, il fulcro del Centro di Pianificazione Mondiale, il posto dove venivano prese le grandi decisioni. Aveva sempre desiderato il potere per compiere del bene. Ora l’aveva.

Sotto questo aspetto, Haber era rimasto pienamente fedele all’uomo che Orr aveva incontrato inizialmente: l’uomo gioviale e lontano che visitava nell’ufficio da quattro soldi della East Tower Willamette, sotto la fotografia murale di Monte Hood. Non era cambiato; era semplicemente cresciuto.

La caratteristica della volontà di potenza, infatti, è quella di crescere. Il successo è la sua cancellazione. Per continuare a esistere, la volontà di potenza deve aumentare con ogni successo, facendo di questo successo soltanto un passo verso un successo più vasto. Più grande è il potere raggiunto, più grande è il desiderio di ulteriore potere. Come non pareva esserci limite al potere conferito a Haber dai sogni di Orr, così non c’era fine al suo desiderio di cambiare il mondo.

Un Alieno che passava per via urtò leggermente Orr nella folla di Viale Morrison, e si scusò con voce priva di tono, alzando il gomito sinistro. Gli Alieni avevano imparato a non puntare le estremità in direzione delle persone, perché si erano accorti che quel gesto impressionava la gente. Orr alzò gli occhi, sorpreso: si era quasi dimenticato degli Alieni, dopo la crisi del primo aprile.

Nel presente stato di cose — o continuum, come Haber si ostinava a chiamarlo — a quanto ricordava, l’atterraggio degli Alieni era stato molto meno disastroso per l’Oregon, la NASA e l’Aviazione. Invece di dover inventare il loro computer traduttore in fretta, sotto una pioggia di bombe e di napalm, se l’erano portato dietro dalla luna, e, prima di atterrare, avevano sorvolato a lungo il Paese, informando la popolazione delle loro intenzioni pacifiche, scusandosi per la Guerra Spaziale, che era stata un malinteso, e chiedendo istruzioni. C’era stato allarme, naturalmente, ma non panico. Era stato quasi commovente ascoltare quelle voci senza tono, che, da ogni banda della radio e da ogni canale della TV, ripetevano che la distruzione della cupola lunare e della stazione orbitante russa erano state il frutto, non voluto, dei loro tentativi di entrare in contatto e della loro ignoranza; che avevano creduto che i missili della Flotta Spaziale terrestre fossero il nostro tentativo di entrare in contatto; che erano molto dispiaciuti, e che, adesso che avevano finalmente la padronanza dei mezzi di Comunicazione umana, come ad esempio la parola, avevano l’intenzione di rimediare come potevano.

Il Centro di Programmazione Mondiale, fondato a Portland al termine degli Anni della Peste, aveva preso contatto con gli Alieni, ed era riuscito a mantenere calmi la popolazione e i generali. Ora che ci pensava, Orr ricordò che questo non era successo il primo aprile, due settimane prima, bensì l’anno scorso, in febbraio: quattordici mesi fa. Gli Alieni avevano avuto il permesso di atterrare; avevano instaurato dei rapporti soddisfacenti con la razza umana; e alla fine avevano avuto il permesso di lasciare il loro punto di atterraggio, attentamente sorvegliato, vicino a Monte Steens, nel deserto dell’Oregon, e di mescolarsi con la popolazione. Alcuni Alieni adesso si trovavano insieme con gli scienziati della Federazione dei Popoli, nella ricostruita Cupola Lunare, e circa duemila di essi erano sulla terra. Erano tutti quelli che esistevano, o, almeno, tutti quelli che erano venuti nel sistema solare; questo tipo di informazioni non veniva comunicato al pubblico. Nativi di un pianeta della stella Aldebaran, con atmosfera di metano, dovevano indossare costantemente quella tuta a forma di tartaruga quando si trovavano sulla terra o sulla luna, ma pareva che la cosa non desse loro fastidio. Il loro vero aspetto, sotto la tuta, non era noto a Orr. Gli Alieni non potevano uscirne, e non facevano disegni o fotografie. Anzi, la loro comunicazione con gli esseri umani, limitata alle emissioni vocali del gomito sinistro e a qualche specie di ricevitore acustico, era piuttosto limitata; Orr non sapeva neppure se potevano vedere, se avevano un organo di senso per lo spettro visibile. C’erano delle vastissime zone della conoscenza in cui ogni comunicazione era impossibile: come il vecchio problema dei delfini, ma straordinariamente più complesso. Comunque, una volta accettate dal Centro di Programmazione le loro intenzioni pacifiche, e vista l’esiguità del loro numero e dei loro desideri, erano stati accolti con molto interesse nella società umana. Era piacevole mettere finalmente gli occhi su qualcuno che era diverso da noi. Parevano intenzionati a fermarsi sulla terra, se gli umani concedevano il permesso; alcuni di essi avevano già avviato delle piccole attività commerciali, perché parevano molto abili nel commercio e nell’organizzazione, oltre che nel volo spaziale (avevano immediatamente diviso con gli scienziati terrestri le loro conoscenze in questo campo, superiori a quelle umane). Non avevano ancora spiegato chiaramente cosa speravano di ottenere in cambio, né il motivo che li aveva portati sulla terra. Pareva, semplicemente, che il pianeta fosse di loro gusto. E con l’andar del tempo, visto che la loro condotta era quella di cittadini industriosi, pacifici e timorati delle leggi, le voci di «Conquista Aliena» e «Infiltrazione non umana» si erano relegate ai politicanti paranoici dei gruppi dissidenti nazionalistici e alle persone che affermavano di avere visto i veri occupanti dei Dischi Volanti.

L’unico ricordo di quel terribile primo aprile, in effetti, pareva essere il ritorno di Monte Hood alla condizione di vulcano attivo. Nessuna bomba lo aveva colpito, perché nessuna bomba era stata gettata, questa volta. Si era destato, nient’altro. Un lungo pennacchio di fumo grigio si levava ora dalla sua vetta e piegava a nord. Le comunità di Zigzag e Rododendro erano finite come Pompei ed Ercolano. E recentemente si era aperto un fumaiolo vicino al piccolo cratere del Parco Monte Tabor, entro i limiti cittadini. Gli abitanti di Monte Tabor si stavano trasferendo in massa nei nuovi, ricchi sobborghi di West Eastmont, Chestnut Hills Estates e Sunny Slopes Subdivision. Si poteva vivere con il Monte Hood che, all’orizzonte, fumava lentamente, ma trovarsi un’eruzione sotto casa era un po’ troppo.


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