A quindici anni, Havzhiva e Iyan Iyan divennero dèi insieme.

Gli adolescenti di Stse fra i dodici e i quindici anni erano attentamente sorvegliati. Sarebbe stato un profondo dolore e un'onta difficile da dimenticare per la famiglia, il parentado, il clan, il popolo tutto, se uno dei suoi figli avesse mutato stato prima del tempo e senza rituale. Lo stato virginale era sacro, e non poteva essere abbandonato con leggerezza. L'attività sessuale era sacra, e con leggerezza non doveva essere intrapresa. Si tollerava che un ragazzo si masturbasse e facesse esperienze omosessuali, ma senza formare coppie. Gli adolescenti che formavano coppie fisse, o quelli che erano sospettati di cercare occasioni di solitudine con le ragazze, erano continuamente redarguiti, rimproverati, strigliati a dovere dagli anziani. Un uomo adulto che avesse fatto proposte sessuali a un vergine dell'uno o dell'altro sesso avrebbe rischiato posizione professionale, incarichi di culto, diritti di proprietà.

Il passaggio di stato richiedeva del tempo. Ai ragazzi e alle ragazze doveva essere insegnato come conoscere e controllare la propria fertilità che, nei processi fisiologici del popolo di Hain, è una questione di decisione personale. Il concepimento non accade: viene eseguito. Non può aver luogo senza che l'uomo e la donna lo abbiano deciso di comune accordo. A tredici anni i ragazzi cominciavano a essere edotti su come rilasciare a comando un potente getto di sperma. L'insegnamento prevedeva ammonizioni, minacce e rimproveri, ma i ragazzi non subivano mai punizioni vere e proprie. Dopo un anno o due si dovevano superare delle prove del potere conseguito: un rito di passaggio terrificante, determinante, rigorosamente segreto ed esclusivamente maschile. Aver superato la prova costituiva motivo di grande orgoglio, e quindi Havzhiva, come molti altri ragazzi, arrivò al compimento dei suoi riti di passaggio con molta apprensione, dissimulando la sua paura sotto un severo stoicismo.

Le ragazze erano state istruite diversamente. Il popolo di Stse riteneva che il ciclo di fertilità della donna rendesse loro facile imparare quando e come concepire, per cui anche l'insegnamento era facile. I riti di passaggio delle ragazze erano festosi, atti a suscitare orgoglio anziché vergogna, a creare attesa anziché paura. Le donne adulte avevano spiegato loro per anni, con dimostrazioni pratiche, ciò che un uomo desidera, cioè come provocargli un'erezione, come fargli comprendere quel che desidera la donna. Nel corso di queste lezioni preparatorie spesso accadeva che le ragazze chiedessero se potevano far pratica tra di loro, e venivano rimproverate e ammonite. No, che non potevano! Dopo aver mutato stato avrebbero potuto agire a loro piacimento, ma a ognuna di loro sarebbe prima toccato oltrepassare la soglia della "doppia porta".

I riti del passaggio di stato avevano luogo ogni volta che gli officianti a essi preposti avevano a disposizione un numero pari di quindicenni dei due sessi provenienti da un villaggio e dalle campagne circostanti. Spesso un ragazzo o una ragazza dovevano essere presi in prestito da un villaggio vicino sia per pareggiare il numero che per creare gli abbinamenti giusti fra membri di clan diversi. Splendidamente abbigliati e mascherati, in silenzio, i partecipanti danzavano ed erano festeggiati per tutto il giorno sulla piazza e nella casa consacrata alla cerimonia. La sera consumavano in silenzio un pasto rituale e venivano condotti via a coppie da officianti mascherati. Molti di loro continuavano a portare le maschere, occultando timori e pudori in quell'anonimità sacrale.

Poiché gli appartenenti all'Altro Cielo potevano avere rapporti sessuali solo con quelli degli Originari e del Cavo Sepolto, e all'interno del gruppo loro erano i soli di questi clan, Iyan Iyan e Havzhiva sapevano già che sarebbero stati accoppiati. Si erano riconosciuti fin dall'inizio delle danze. Quando furono lasciati soli nella stanza sacra, si tolsero le maschere di colpo. I loro occhi s'incontrarono. Distolsero lo sguardo.

Erano stati tenuti separati per gran parte del tempo durante gli ultimi due anni, e completamente durante gli ultimi mesi. Havzhiva era cresciuto, e ora era alto quasi quanto lei. Fu come un incontro tra sconosciuti. Con solenne serietà si avvicinarono l'uno all'altro, con lo stesso pensiero in mente, «Sbrighiamo presto questa faccenda!» Poi si toccarono, e il dio entrò in loro e divenne loro: il dio di cui loro erano il mezzo, la conoscenza di cui erano il verbo. Fu all'inizio un dio perplesso, impacciato, che si rivelò poi in tutta la sua allegria.

Quando lasciarono la casa sacra, il giorno seguente, si diressero insieme verso l'abitazione di Iyan Iyan. «Havzhiva vivrà qui!» affermò Iyan Iyan, forte della sua prerogativa di donna. Tutta la famiglia di lei gli dette il benvenuto, e nessuno sembrò sorpreso.

Quando lui tornò a prendere i suoi vestiti nella casa della nonna, nessuno palesò sorpresa, tutti si congratularono con lui, una vecchia cugina di Etsahin fece della battute salaci, e suo padre gli disse, «Adesso che sei un uomo di questa casa, verrai qui a cenare».

Così dormiva con Iyan Iyan a casa di lei, vi faceva colazione, cenava a casa sua, teneva da lei gli abiti di tutti i giorni, e a casa propria quelli per le danze, e procedeva nella sua istruzione, che adesso consisteva principalmente nella tessitura di tappeti su grandi telai meccanici, e nello studio della natura del cosmo. Sia lui che Iyan Iyan giocavano nella squadra di calcio degli adulti.

Cominciò a vedere più spesso sua madre, poiché quando Havzhiva ebbe diciassette anni, lei gli chiese se era interessato a istruirsi assieme a lei sulla tradizione del Sole, cioè sui riti e le regole del commercio, su come promuovere scambi paritari fra i coltivatori di Stse e su come contrattare con gli altri villaggi del clan e con la gente di fuori. I riti andavano imparati a memoria, le regole si apprendevano con la pratica. Havzhiva si recava con sua madre al mercato, nelle fattorie più distanti, e nei villaggi della terraferma al di là dello stretto. Era divenuto instancabile nella tessitura, che gli occupava la mente con modelli e forme che non lasciavano spazio ad altri pensieri. I viaggi erano piacevoli, il lavoro interessante, e ammirava l'autorevolezza, l'abilità e la diplomazia di Tovo. Stare ad ascoltare lei o un gruppo di vecchi mercanti e altra gente del Sole contrattare un affare era altamente istruttivo. Lei non lo forzava: nella conduzione delle trattative Havzhiva rivestiva un ruolo marginale. L'apprendistato in un'attività complessa come quella della tradizione del Sole richiedeva anni, e c'erano altri più avanti di lui nel praticantato. Ma lei aveva fatto la sua scelta. «Tu hai il dono della persuasione,» gli disse un pomeriggio mentre tornavano verso casa solcando l'acqua dai baluginii dorati e guardando da lontano il profilo della città di Stse prendere forma nell'incerta luce del tramonto. «Potresti essere tu l'Erede del Sole, se volessi».

Lo voglio? si chiese lui. Non trovò risposta, soltanto un oscuro senso di evanescenza, che non riusciva a comprendere. Il lavoro era di suo gusto, e lo sapeva. Non c'erano percorsi chiusi. Poteva uscire da Stse, recarsi in mezzo a gente diversa, e questo gli piaceva.

«La donna che ha vissuto con tuo padre sta per venire in visita,» disse Tovo.

Havzhiva ci rifletté su. Granito non si era mai sposato. Le donne che erano rimaste incinte di Granito vivevano, e avevano sempre vissuto, a Stse. Non fece domande, un educato silenzio era il modo in uso fra gli adulti di far capire che non si capiva.

«Erano giovani. Non arrivò nessun figlio,» disse sua madre. «Dopodiché lei partì. E divenne una storica.» «Ah!» esclamò Havzhiva, còlto di sorpresa.

Non aveva mai sentito dire di qualcuno che fosse divenuto uno storico. Non gli era mai passato per la mente che qualcuno potesse diventarlo, allo stesso modo che uno non diventa un abitante di Stse. Sei quello che nasci. Nasci quello che sei.


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