— Perché? — Il medico allargò le braccia. — Se aveva deciso di fare quest'idiozia il motivo lo sapeva soltanto lui, no?

— Lei non desidera scoprirlo?

— A che scopo?

— Be'… per saperlo, suppongo. Per esser certo di aver stabilito esattamente la causa del decesso.

Il medico corrugò le sopracciglia.

— Non sto discutendo le sue conclusioni, signore — aggiunse in fretta Miles. — Però è una faccenda dannatamente strana. Lei non è curioso?

— Non più — rispose lui. — Mi basta aver stabilito che non è un suicidio o un omicidio. Per gli altri particolari, quali che siano, si può parlare di semplice stupidità. Non le pare?

Miles si chiese se l'uomo avrebbe commentato con quell'epitaffio anche la sua morte, se non fosse riuscito a tirarsi fuori dalla tenda-bolla. — Suppongo di sì, signore.

Fuori dall'infermeria, nel vento umido che soffiava dal mare, Miles si fermò a riflettere. Quel cadavere non era affar suo, dopotutto. Lui l'aveva trovato e rimesso nelle mani dell'autorità competente. E l'ufficiale medico aveva fatto la sua diagnosi. Eppure…

C'erano ancora parecchie ore di luce. In quei giorni dalla durata interminabile Miles aveva sempre difficoltà a prendere sonno. Tornò nel suo alloggio, indossò la tuta da ginnastica e le scarpette acquistate allo spaccio, e uscì per fare un po' di corsa.

La strada che costeggiava i silenziosi campi da addestramento era deserta. Il sole si spostava di traverso, una ventina di gradi sopra l'orizzonte. Miles rallentò a un'andatura più cadenzata, e infine al passo. I rinforzi metallici, sotto i pantaloni, gli stavano irritando la pelle. Un giorno o l'altro avrebbe dovuto trovare un po' di tempo per farsi sostituire le fragili ossa lunghe delle gambe con altre sintetiche. Un intervento chirurgico poteva essere una discreta scusa per andarsene dall'isola Kyril prima dello scadere dei sei mesi, se le cose si fossero fatte troppo difficili. Ma gli sarebbe sembrato di imbrogliare.

Si guardò attorno, cercando di immaginare la zona immersa nel buio e sotto la pioggia battente. Se lui fosse stato quel soldato, lì sulla strada e intorno alla mezzanotte, cos'avrebbe visto? Cosa poteva aver attirato la sua attenzione verso la conduttura? E prima di tutto, perché diavolo era uscito a un'ora simile? Quella strada non portava che a un percorso a ostacoli e al tiro a segno.

Si accostò allo scarico… no, la conduttura era quella più avanti. Ce n'erano quattro che sfociavano sul canaletto a cielo aperto sul lato esterno della strada, lunga circa mezzo chilometro. Miles trovò quella giusta e si fermò a guardare il rivolo d'acqua che ne sgocciolava fuori. Non c'era niente di interessante lì, decise. Perché, allora? Perché?

Percorse la strada fino in fondo esaminando l'asfalto, la recinzione del campo e le attrezzature consunte del percorso a ostacoli. Quando giunse alla curva tornò indietro lungo il lato opposto, ma arrivò di nuovo all'altezza della conduttura senza aver visto nulla di particolare.

Si appoggiò al recinto e meditò sul mistero della cosa. Una logica doveva pur esserci, si disse. Quale irresistibile emozione aveva spinto il soldato a cacciarsi dentro lo scarico, malgrado l'evidente pericolo di quell'iniziativa? Rabbia? Ma a cosa stava dando la caccia? Paura? Cosa poteva dare la caccia a lui? Uno sbaglio? Miles poteva fare diverse ipotesi su certi sbagli. E se il soldato fosse entrato nella conduttura sbagliata…

D'impulso Miles saltò giù nel primo canaletto scoperto. Il soldato poteva aver avuto l'intenzione di entrare in una conduttura ben precisa, una fra quattro, ma essersi sbagliato a causa del buio, o dell'acquazzone, o della fretta. Se fosse stato necessario lui era disposto a esplorarle tutte e quattro, ma preferiva indovinare al primo colpo, anche se nei dintorni non c'era nessuno a curiosare. La conduttura davanti al cui sbocco si chinò aveva un diametro leggermente maggiore della seconda, quella che s'era rivelata fatale. Tolse di tasca la torcia elettrica, si spinse nell'interno e cominciò a esaminarla centimetro per centimetro.

— Ah! — sussurrò soddisfatto, a metà del percorso sotto la strada. Là c'era l'oggetto, fissato all'arco superiore del condotto con del nastro adesivo. Un pacco avvolto in plastica impermeabile. Molto interessante. Lo prese e indietreggiò all'esterno; poi sedette nell'alveo del canaletto, incurante di bagnarsi i pantaloni pur di tenersi il più possibile fuori vista.

Si appoggiò il pacchetto in grembo e lo esaminò senza fretta, pregustandone il contenuto come se fosse un regalo di compleanno. Droga? Materiale di contrabbando? Documenti segreti? Il bottino di un furto? L'ipotesi che lo eccitava di più era quella dei documenti segreti, anche se non riusciva a immaginare cosa potesse esserci di segreto sull'isola Kyril, a parte forse i rapporti sull'efficienza individuale. Un traffico di droga poteva essere interessante, ma un agente straniero in azione sarebbe stato meraviglioso. Questo gli avrebbe dato un momento di gloria… e la sua mente corse avanti, già escogitando la prossima manovra di quell'indagine, seguendo gli indizi a partire da un cadavere su fino al suo misterioso mandante, e chi poteva dire quanto in alto nella scala gerarchica? Poi il drammatico arresto, magari un elogio da parte di Simon Illyan in persona… Il pacchetto era umido, ma nell'interno si sentiva uno scricchiolio. Pellicole fotografiche?

Col cuore che gli batteva forte lo aprì… e la delusione fu così inattesa e sorprendente da paralizzarlo. Un'imprecazione stupefatta, quasi una mezza risata, gli scaturì dalle labbra.

Paste. Una dozzina di lisette: piccoli bignè coperti di zucchero e ripieni di frutta candita, tradizionalmente fatti per la festa di mezza estate. Dolciumi vecchi di un mese e mezzo. Che razza di motivo per morire…

L'immaginazione di Miles, alimentata dalla conoscenza dei dormitori militari, costruì quasi automaticamente il resto della cosa. Il soldato aveva ricevuto il pacco da una madre/fidanzata/sorella di buon cuore, e s'era preoccupato di proteggerlo dalla rapacità dei suoi commilitoni, che l'avrebbero fatto fuori in dieci secondi. Forse, attanagliato dalla nostalgia di casa, aveva voluto razionare quei bocconcini in una sorta di rituale masochistico, fatto di dolore e di piacere ad ogni morso. O forse voleva soltanto salvarli per qualche occasione speciale.

Poi erano venuti quei due giorni di pioggia intensa, e lui aveva cominciato a temere per l'integrità del suo piccolo tesoro. Era uscito a salvarlo, nel buio aveva sbagliato conduttura e s'era addentrato con disperata determinazione nella seconda mentre il livello dell'acqua saliva, senza accorgersi del suo errore finché non era stato troppo tardi…

Molto triste. Ma tormentarsi con immagini così penose e tragiche ormai non serviva a nulla. Miles incartò di nuovo le lisette e si avviò verso l'infermeria col pacco sottobraccio.

Il commento del medico-chirurgo, quando lui gli ebbe spiegato quel ritrovamento, fu: — Uh-hu. Morte per stupidità, infatti. — Con aria assente prese una lisette e la annusò.

La settimana di condanna ai servizi di manutenzione terminò il giorno successivo, senza che Miles trovasse nelle fognature nulla di più emozionante del cadavere. La lavanderia gli restituì la tuta da ginnastica tornata a nuovo, e quella sera andò a correre sul lato opposto della base. Il mattino dopo tornò dalle ferie il caporale assegnato ad Ahn. Miles venne a sapere che il giovanotto lavorava all'ufficio meteorologico già da due anni, e possedeva la maggior parte delle informazioni che lui aveva sudato due settimane per annotarsi o imparare a mente. Non aveva il naso di Ahn, però.

Il luogotenente Ahn lasciò Campo Cessofreddo da sobrio, dopo una lunga attesa della navetta da carico, come al solito in ritardo. Miles, che l'aveva accompagnato all'aeroporto, scoprì che vederlo partire non lo rallegrava affatto. Ma Ahn aveva un'aria serena, e quando si fermarono alla scaletta gli brillavano gli occhi.


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