Un'ora era andata. Quante altre ne sarebbero trascorse?

Cercò di leggere, ma presto gli passò la voglia e finì per trovarsi seduto sulla sedia meno scomoda, con gli occhi chiusi e i piedi sul tavolo, fingendo che quella stanza silenziosa fosse una cabina a bordo di un'astronave. Diretta verso l'immensità.

Due sere dopo era seduto sulla stessa sedia, occupato soltanto a digerire una cena un po' troppo pesante, quando il cicalino della porta emise un ronzio.

Sorpreso, Miles si alzò per andare ad aprire di persona. Difficile che fosse un plotone d'esecuzione, rifletté, anche se non si poteva mai dire.

Ma per un attimo il suo ottimismo s'incrinò di brutto alla vista dei due ufficiali della Sicurezza Imperiale che si trovò di fronte, un capitano e un maggiore, rigidi e impettiti. — Mi scusi, alfiere Vorkosigan — borbottò il capitano entrando senza complimenti, e cominciò a sondare mobili e pareti con uno scandaglio elettronico. Miles sbatté le palpebre. Poi vide la persona che era dietro di loro in corridoio, con una scatola in mano, e gli sfuggì un — Oh! — di comprensione. A un cenno del capitano alzò le braccia con ubbidienza e si lasciò scandagliare anche i vestiti.

— Pulito, signore — riferì l'ufficiale al collega, e Miles poté stare tranquillo che era così. Quegli uomini non avrebbero mai, mai trascurato un angoletto, neppure nel cuore del Quartier Generale della Sicurezza Imperiale.

— Grazie. Lasciateci soli, per favore. Potete aspettare qui fuori — disse l'altra persona. I due ufficiali annuirono e si disposero in atteggiamento marziale di fronte all'alloggio.

Dato che entrambi indossavano l'uniforme, Miles salutò militarmente il suo visitatore, che pure non portava alcun grado o mostrina sul petto. Era giovane, di altezza media, con corti capelli neri e occhi di un verde intenso. Un sorriso un po' amaro piegò gli angoli di una bocca che non aveva avuto molte occasioni di ridere.

— Altezza — disse formalmente Miles.

L'Imperatore Gregor Vorbarra fece un cenno col capo e lui chiuse la porta, con uno sguardo di scusa ai due della Sicurezza. Soltanto allora il giovanotto snello parve rilassarsi. — Ehilà, Miles.

— Ehilà a te. Uh… — Miles gli indicò la stanza con un gesto circolare. — Benvenuto nella mia modesta cella. Le nostre parole stanno passando alla storia?

— Ho chiesto a Illyan di spegnere gli apparati d'ascolto, ma non sarei sorpreso se facesse a modo suo. Per il mio bene, ovviamente. — Con un sogghigno Gregor cambiò mano alla scatola, dal cui interno provenne un lieve tintinnio, e seguì Miles. Si lasciò cadere sulla sedia che lui aveva appena scaldato, alzò una gamba sulla spalliera della sedia accanto e sospirò stancamente, come se quella che lasciava uscire fosse l'ultima aria del mondo. Gli porse la scatola. — Un po' di anestesia per le tue pene.

Miles la aprì. Due bottiglie di vino pregiato, già fredde al punto giusto. — Che tu sia benedetto e amen, ragazzo mio. Da un po' di tempo sto pensando che soltanto una vera sbronza può togliere un uomo da un vero guaio. Come hai avuto questa felice ispirazione? E già che ci siamo, cosa ti ha ispirato a venire in questa tetra quarantena? Credevo d'essere troppo contagioso per chiunque. — Andò a mettere una bottiglia nel frigo, trovò due bicchieri e li ripulì dalla polvere.

Gregor scrollò le spalle. — Hanno capito che non potevano tenermi fuori a lungo. Io so essere molto insistente, lo sai. Illyan ha voluto fare in modo che la mia visita privata fosse veramente privata. E posso stare qui solo fino al 2500. — Le sue spalle si abbassarono, come schiacciate dal peso dei suoi fitti impegni giornalieri. — Comunque, la religione di tua madre garantisce un buon karma per chi visita i malati e i carcerati, e ho sentito dire che tu sei entrambe le cose.

Ah, così era stata sua madre a suggerire a Gregor quell'iniziativa. Avrebbe dovuto immaginarlo dall'etichetta delle bottiglie, una marca praticamente privata dei Vorkosigan. Girò la bottiglia e controllò la data, maneggiandola con grande rispetto. Diavolo, erano proprio quelle dell'annata migliore. Stava cominciando a sentirsi così solo che provò un impeto di commozione per quella piccola premura. Stappò la bottiglia e mescé il vino; poi, secondo l'etichetta barrayarana, bevve per primo. Nettare. Si sedette su un'altra sedia, in una posa simile a quella di Gregor. — È bello rivederti, in ogni modo.

Miles contemplò il suo vecchio compagno di giochi. Se Gregor avesse avuto qualche anno di meno sarebbero stati ancora più vicini, quasi come fratelli; il Conte e la Contessa Vorkosigan avevano svolto il ruolo di tutori di Gregor fin dai tempi caotici e sanguinosi della guerra contro il Pretendente Vordariano. Dover crescere insieme li aveva comunque uniti molto, fra loro e con altri compagni «sicuri» come Ivan ed Elena, anch'essi più giovani di Gregor, il quale si adattava pazientemente ai loro giochi anche quando ne avrebbe preferito altri meno infantili.

Gregor raccolse il bicchiere e sorseggiò il vino. — Mi spiace che le cose non vadano bene per te — disse, con goffo imbarazzo.

Miles sollevò le spalle. — Breve il soldato, breve la carriera. — Buttò giù un sorso più lungo. — Avevo sperato di essere imbarcato su un'astronave. Andare nello spazio.

Gregor s'era diplomato all'Accademia Imperiale due anni prima che Miles si iscrivesse. Inarcò un sopracciglio. — Non è quello che volevamo tutti?

— Tu un anno a bordo l'hai fatto — puntualizzò Miles.

— Quasi tutto in orbita. A fingere di fare servizio di sorveglianza circondato da navette della Sicurezza. Dopo un po' cominciava già a farmi star male, tutta quella scenografia. Recitare la parte dell'ufficialetto, far finta di occuparmi di un lavoro vero quando in realtà la mia presenza rendeva più difficile il lavoro altrui… a te, almeno, è stato permesso di affrontare dei pericoli.

— Per la maggior parte non pianificati, posso assicurartelo.

— Mi sto convincendo sempre più che questo è il guaio principale — continuò Gregor. — Tuo padre, il mio, entrambi grandi uomini… loro sono sopravvissuti a situazioni militari reali. È così che sono diventati ufficiali veri. Non questo… addestramento. — La sua mano libera ebbe un gesto come a spazzar via ricordi sgradevoli.

— No. Tutti ci troviamo cacciati in qualche situazione — obiettò Miles. — La carriera militare di mio padre cominciò il giorno in cui la squadra della morte di Yuri il Folle fece saltare in aria metà della sua famiglia… credo che lui avesse undici anni, più o meno. A me è stata risparmiata un'iniziazione così dura, grazie al cielo. Voglio dire, una vera esperienza formativa è proprio quella che uno non si augurerebbe di fare, se potesse scegliere.

— Mmh — annuì cupamente Gregor. Quella sera sembrava oppresso dal suo leggendario genitore, il Principe Serg, come lui aveva sempre sentito il peso del Conte Vorkosigan. Miles rifletté brevemente su ciò che era arrivato a chiamare dentro di sé «i due Serg». Uno — forse la sola versione che lui conoscesse? — era l'Eroe-Morto, il coraggioso che aveva sacrificato la vita sul campo di battaglia, o quantomeno era stato pulitamente disintegrato in orbita. L'altro era il Serg Sconosciuto-Alla-Storia, il comandante isterico e il sadico sodomita la cui prematura morte nella sventurata invasione di Escobar poteva esser stato il miglior colpo di fortuna per le sorti politiche di Barrayar… Che una traccia di quella personalità così multiforme fosse filtrata anche in Gregor? Nessuno di quanti avevano avuto rapporti con Serg parlava mai di lui, e il Conte Vorkosigan ancor meno di altri. Miles aveva conosciuto una delle vittime del Principe, una volta. Si augurava che a Gregor non accadesse.

Decise di cambiare argomento. — Be', cos'è successo a me ormai lo sappiamo tutti, ma tu che hai fatto negli ultimi tre mesi? Mi spiace esser mancato alla festa, per il tuo compleanno. Sull'isola Kyril l'hanno celebrato ubriacandosi, il che l'ha reso indistinguibile da ogni altro giorno.


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