Gregor ebbe un sogghigno, poi sospirò. — Troppe cerimonie, troppe ore in piedi… qualche volta penso che se mettessi al mio posto un manichino di plastica a grandezza naturale non se ne accorgerebbe nessuno. E non ti dico il tempo che spreco ad ascoltare i verbosi suggerimenti di quelli che si sono autonominati miei consiglieri matrimoniali.

— In effetti, non hanno torto di preoccuparsi — dovette osservare Miles. — Non puoi sederti a un tavolino da tè senza che qualcuno ti presenti, assolutamente per caso, una delle dozzine di giovani donne che per pura coincidenza si trovano fra gli invitati. Io potrei nominare almeno sei candidate che hanno forti schiere di seguaci a spingerle avanti, e altre ne arrivano di continuo sulla scena. E tutto ciò mentre quelle prive dei requisiti complottano ugualmente con incrollabile ferocia per impedire ad altre di comparirti davanti. Fatto che, secondo me, è il primo motivo per cui tu non hai ancora un erede.

Gregor inclinò la testa. — Anche tu sei nel mirino di chi fa i suoi calcoli sulla successione al trono. Lo sai.

— Con questo corpo? — Miles sbuffò. — Dovrebbero proprio… odiare una ragazza, per presentarla a me. E a quel punto sarebbe il momento di andarmene da casa. Lontano e in fretta. Fammi un favore, sposati, sistemati e metti al mondo cinque o sei piccoli Vorbarra.

Gregor parve ancor più depresso. — Potrebbe essere una buona idea, sai? Andarmene da casa. Mi chiedo quanto lontano potrei arrivare prima che Illyan mi ritrovi.

Entrambi guardarono involontariamente verso il soffitto, anche se Miles non aveva idea di dove fossero nascoste le microspie. — Meglio augurarsi che a trovarti sia Illyan prima di qualcun altro. — Dio, la conversazione si stava facendo morbosa.

— Non saprei. Non ci fu un Imperatore, in Cina, che finì a lavare i pavimenti da qualche parte? E migliaia di esuli d'alto rango… Contesse a servire nei ristoranti… la fuga è possibile.

— Fuga dal fatto d'essere un Vor? È più probabile… riuscire a fuggire dalla propria ombra. — Ci sarebbero stati momenti, chissà dove, in cui sarebbe parso di avercela fatta. Ma poi… Miles scosse il capo. Guardando la scatola si accorse che dentro c'era qualcos'altro. — Ah! Hai portato una mini-tattica. — Non aveva la minima voglia di giocare a mini-tattica, anche se fino ai quattordici anni era stato uno dei suoi passatempi preferiti, ma era pur sempre meglio di quei discorsi. Tirò fuori le due tavolette elettroniche collegate dal filo e le piazzò sul tavolo, deciso a mostrarsi di buonumore. — Come ai vecchi tempi, eh? — Pensiero non molto felice per molti versi.

Gregor tirò giù la gamba dalla spalliera dell'altra sedia e fece la sua mossa di apertura. Fingendo di essere interessato per divertire Miles, che fingeva di divertirsi per stimolare il suo interesse, mentre entrambi pensavano a tutt'altro. Miles, distratto, sconfisse l'amico troppo in fretta nella prima battaglia e cercò di fare più attenzione. Nella seconda rese l'esito più incerto e fu ricompensato da una scintilla di genuina attenzione — o di provvisoria amnesia circa altri pensieri — da parte di Gregor. Aprirono anche l'altra bottiglia di vino. A quel punto Miles cominciò a sentirne gli effetti: lingua ispessita, sonnolenza, difficoltà di concentrazione. Gli costò un vero sforzo lasciare che Gregor arrivasse vicino alla vittoria nella terza partita.

— Non riesco a batterti da quand'eri un ragazzino — sospirò Gregor accennando al display del punteggio globale, sempre più a favore dell'avversario. — Tu dovresti essere un ufficiale, dannazione.

— Questo gioco non richiede vere capacità tattiche, secondo mio padre — commentò Miles. — Non ci sono abbastanza fattori casuali e possibilità di sorpresa per simulare la realtà. A me piace anche l'imprevisto. — La mini-tattica era invece una routine monotonamente logica, di controlli e conteggi, con catene di mosse inevitabili e possibilità di scelta nitide e precise.

— È vero. — Gregor alzò lo sguardo. — Non ho mai capito perché ti abbiano mandato all'isola Kyril. Tu hai già comandato una vera flotta spaziale, anche se erano solo una banda di mercenari.

— Ssssh. Quell'episodio ufficialmente non esiste, nel mio fascicolo personale. Per fortuna, perché non piacerebbe ai miei superiori. Mi è stato dato un ordine, e io non ho ubbidito. Comunque, più che comandare i Mercenari Dendarii si può dire che li avessi ipnotizzati. Senza il capitano Tung, che aveva deciso di sfruttare i miei desideri per i suoi scopi, sarebbe finito tutto in modo molto spiacevole. E molto prima.

— Dopo quel fatto ho spesso pensato che Illyan avrebbe potuto utilizzarli — disse Gregor. — Senza forse saperlo, avevi portato al servizio di Barrayar un'organizzazione militare, in segreto.

— Sì, ma senza che neppure loro lo sapessero. E il segreto era questo. Assegnarli al dipartimento di Illyan fu una finzione legale, tutti lo sapevano. — E sarebbe stata una finzione legale anche il suo trasferimento agli ordini del capo della Sicurezza? — Illyan è troppo cauto per lasciarsi trascinare in qualche avventura galattica perché non ha di meglio da fare. Temo che il suo solo proposito verso i Mercenari Dendarii sia di tenerli il più possibile alla larga da Barrayar. I mercenari ingrassano sulle difficoltà politiche degli altri.

«Inoltre hanno le dimensioni sbagliate: neanche una dozzina di navi e da tre a quattromila combattenti. Troppi per farli funzionare come quinta colonna in territorio nemico, e troppo pochi per situazioni a livello planetario. Buoni nello spazio, difettosi in superficie. La loro specialità erano le imboscate nei corridoi di transito: con le spalle coperte, ben equipaggiati, e per la maggior parte splendidi nel fare i gradassi coi civili disarmati… fu così che io ebbi occasione di conoscerli, quando bloccarono il nostro mercantile e i loro soprusi oltrepassarono il segno. Mi vengono i brividi se penso al rischio che corsi. Anche se spesso, sapendo quello che so oggi, mi chiedo se avrei potuto… — Miles tacque e scosse il capo. — Forse è come il fascino delle grandi altezze: meglio non guardare giù troppo spesso, o ti viene un attacco di vertigini e fai una brutta fine. — A lui i luoghi alti non piacevano.

— Come esperienza militare aveva qualcosa in comune con la Base Lazkowski? — chiese Gregor, con l'aria di fare una battuta.

— Oh, c'erano alcuni paralleli — riconobbe Miles. — Né l'uno né l'altro erano lavori per cui fossi stato addestrato, entrambi erano letali, e da nessuno dei due sono uscito con la salute che avevo prima. La faccenda dei Dendarii è stata… peggiore. Ho perduto il sergente Bothari. E in un certo senso ho perduto Elena. A Campo Cessofreddo, almeno, non ho avuto perdite.

— Forse stai migliorando — commentò Gregor.

Miles scosse il capo e bevve. Avrebbe dovuto mettere su un po' di musica. Il silenzio di quella stanza era opprimente, nelle pause della conversazione. Gli veniva da chiedersi se il soffitto non fosse idraulicamente strutturato per abbassarsi e schiacciarlo nel sonno, anche se la Sicurezza aveva sistemi assai più contorti per occuparsi dei detenuti recalcitranti. Che incombesse su di lui era solo una sua impressione. Be', io sono piccolo. Magari con me non funzionerebbe.

— Presumo che sarebbe… inopportuno — disse, esitante, — chiedere a te di tirarmi fuori di qui. Sembra sempre piuttosto imbarazzante chiedere un favore imperiale. Un po' come barare, o una cosa del genere.

— Cosa? Un prigioniero della Sicurezza chiede la libertà a un altro carcerato? — Gli occhi verdi di Gregor erano ironici, sotto le sopracciglia scure. — Per me è imbarazzante scontrarmi coi limiti del mio potere imperiale. Sono chiuso fra tuo padre e Illyan come fra due parentesi. — E accennò con un pollice verso il soffitto.

Quella stanza aveva un effetto subliminale, decise Miles. Anche Gregor lo subiva.

— Vorrei, se potessi — aggiunse l'Imperatore in tono di scusa. — Ma Illyan ha specificato molto chiaramente che vuole tenerti fuori vista. Per un po' di tempo, comunque.


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