Ma i bravi ragazzi non erano molti. I Lunari non credevano a quella storia. Passaporti? Chi ne aveva mai sentito parlare?

C’era uno dei nuovi soldati di Alvarez quella mattina alla Stazione Sud. Indossava l’uniforme gialla di guardia del corpo, invece che la sua divisa militare kaki, e si vedeva che odiava i panni che aveva indosso e odiava tutti noi. Io non stavo andando da nessuna parte, ero là a guardare la scena.

Fu annunciata la capsula per Novylen. Una trentina di viaggiatori si diressero al cancello d’ingresso. Giubba gialla chiese il passaporto al primo che gli si parò davanti. Quello cominciò a discutere. Il secondo viaggiatore superò a passo deciso il cancello. La guardia si volse e lanciò un grido. Altri tre o quattro passarono. A questo punto, la guardia fece per imbracciare il fucile. Glielo strapparono di mano e partì un colpo. Non era a raggi laser, ma un fucile a cartucce.

Il colpo finì sul pavimento. Io mi misi al riparo. Ci fu un ferito… la guardia. Quando il primo gruppo di passeggeri fu salito a bordo della capsula, il poliziotto giaceva a terra, immobile. Nessuno gli badava. Gli camminavano intorno o lo scavalcavano. Solo una donna, con un bambino in braccio, gli si fermò accanto, lo colpì deliberatamente con un calcio in faccia, poi salì a bordo. Forse era già morto. Non attesi di scoprirlo. Seppi poi che il corpo era rimasto là fino al secondo turno di guardia.

Il giorno successivo c’era una squadra di poliziotti alla Stazione Sud. Ma la capsula per Novylen partì vuota.

La situazione si appianò da sé. Quelli che dovevano viaggiare per lavoro ottennero il passaporto, gli irriducibili rinunciarono a viaggiare. Il servizio di guardia alle stazioni fu portato a due uomini, uno per il controllo dei passaporti, l’altro, a qualche passo di distanza, con il fucile imbracciato. La guardia che controllava i passaporti non era troppo meticolosa. Fu un bene, dato che la maggior parte erano falsi. Dopo qualche tempo venne rubata la carta con la quale si fabbricavano i passaporti autentici e quelli falsi erano in tutto e per tutto uguali a quelli ufficiali. Costavano di più, ma i Lunari preferivano i prodotti della libera iniziativa.

La nostra organizzazione non si mise a fabbricare passaporti falsi; ci limitavamo a incoraggiare l’attività dei falsari. Sapevamo con esattezza chi li aveva falsi, dato che Mike aveva l’elenco dei passaporti emessi regolarmente dall’Ente. La cosa ci serviva per dividere i nostri concittadini in liste bianche e nere, anche queste archiviate da Mike sotto il codice Bastiglia, dato che pensavamo che un uomo con un passaporto falso era già per metà dalla nostra parte. Impartimmo a tutte le cellule l’ordine di non reclutare mai nessuno che avesse il passaporto autentico. Se il compagno che doveva reclutare il nuovo membro della cellula non era sicuro, bastava che chiedesse, e dall’alto gli sarebbe venuta la risposta.

Ma i guai delle guardie non venivano solo dai passaporti. Non giova alla dignità di un poliziotto, né alla sua serenità, avere davanti agli occhi o, peggio ancora, alle spalle, una squadra di ragazzini che scimmiottano ogni suo gesto… o che corrono avanti e indietro urlando insulti e oscenità e facendo con le braccia gesti di significato universale. Per lo meno, le guardie prendevano quei gesti come insulti.

Una volta un poliziotto diede uno schiaffo a un bambino e l’intemperanza gli costò una mezza dozzina di denti. Risultato: due guardie e un cittadino morti. Dopo quell’episodio, i poliziotti ignorarono i bambini.

La nostra organizzazione non era la causa nemmeno di questo: ci limitavamo a incoraggiare i bambini. Chi avrebbe pensato che una signora distinta e amorosa come mia moglie Mum suggerisse ai bambini di comportarsi da mascalzoni? Eppure lo faceva.

Poi c’era un’altra cosa che rendeva nervosi questi uomini così soli e così lontani da casa: gli Arditi delle forze di pace erano stati inviati sulla Luna senza un’adeguata organizzazione di conforto.

Alcune delle nostre donne erano estremamente belle e cominciarono a farsi vedere nelle stazioni con indosso abiti più succinti del solito, cioè quasi nude, e profumate all’inverosimile, con essenze a lunga portata. Non parlavano con le giubbe gialle né le degnavano di uno sguardo, semplicemente passavano e ripassavano davanti a loro, ancheggiando come solo le ragazze della Luna sanno fare. Le donne sulla Terra non possono camminare così: sono incollate al suolo da una gravità sei volte superiore.

Ciò causava naturalmente assembramenti di uomini, vecchi, adulti e ragazzi, e c’erano fischi e applausi per la bellezza delle donne e risate di scherno all’indirizzo dei soldati in giallo. Le prime a dedicarsi a quest’attività furono ragazze da strada assoldate da noi, ma il fenomeno del volontariato si estese tanto in fretta che il Professore ben presto decise che era inutile spendere quattrini. Aveva ragione. Perfino Ludmilla, che era timida come un gattino, voleva provare, e non lo fece soltanto perché Mum le disse di non farlo. Ma Lenore, che aveva dieci anni di più ed era la bellezza di famiglia, ci provò e Mum non le rivolse alcun rimprovero. La prima volta tornò a casa rossa d’eccitazione, fiera di sé e ben decisa a prendere di nuovo in giro il nemico. Fu un’idea tutta sua: Lenore non sapeva che la rivoluzione stava covando.

Durante questo primo periodo vidi il Professore molto di rado e mai in pubblico; ci tenevamo in contatto per telefono. Una difficoltà iniziale era rappresentata dal fatto che la nostra casa aveva solo un telefono per venticinque individui, molti dei quali erano ragazzi che sarebbero rimasti incollati per ore all’apparecchio se non venivano costretti a smettere. Mum impose una regola molto rigida. Ai ragazzi fu permesso di fare una sola telefonata al giorno, per un massimo di novanta secondi, e fu stabilito un sistema di punizione progressivo, temperato solo dalla bontà di Mum nel concedere eccezioni. Ogni concessione era accompagnata dalla predica di Mum. "Ai miei tempi non c’erano telefoni privati, sulla Luna. Voi ragazzi non sapete nemmeno quanto sia dolce la vita, ora che…"

Eravamo stati fra gli ultimi a mettere il telefono. Quando fui optato io, l’apparecchio era una novità in famiglia. Ed eravamo una famiglia prospera, dato che non compravamo mai prodotti che potessero essere coltivati nella fattoria. Mum odiava il telefono perché una grossa fetta del canone versata alla Cooperativa Comunicazioni di Luna City finiva nelle tasche dell’Ente. Non riuscì mai a capire perché non fossi in grado di rubare il servizio telefonico con la stessa facilità con cui sottraevo l’elettricità. Che il telefono facesse parte di una rete controllata da un centralino, era un argomento che non la interessava né la convinceva.

Alla fine riuscii a rubare anche il servizio telefonico. Il problema dei telefoni clandestini è come fare a ricevere le chiamate. Dato che l’apparecchio pirata non è nell’elenco, anche se si informano le persone da cui si vogliono ricevere telefonate, il centralino non sa che il clandestino esiste e pertanto non ha nessun modo di collegare la linea.

Ma con Mike nella cospirazione, anche il problema del centralino fu risolto.

Nella mia officina avevo quasi tutto l’occorrente e comprai quel poco che mi mancava. Perforai la parete che separava l’officina dall’attacco con la rete telefonica e feci un secondo foro nella parete della stanza di Wyoh. Era di roccia vergine, spessa un metro, ma la perforatrice a raggi laser fece in breve un lavoro perfetto. Isolai bene il telefono ufficiale e feci una derivazione che nascosi nella parete. Poi fu sufficiente installare microfono e ricevitore nella stanza di Wyoh e nella mia, e inserire un circuito per innalzare la frequenza sopra il livello audio, in modo da non avere interferenze con il telefono normale. La sola difficoltà fu di lavorare senza essere visti, e di questo si occupò Mum con molta abilità.


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