Doverosamente Ethan entrò nell’atrio dell’ambasciata betana, con l’idea di cominciare a informarsi da lì. Per sua sfortuna l’interfaccia computerizzato dietro il banco della portineria era manovrato da un’impiegata femmina. Lui si ritrasse in fretta, senza rivolgerle la parola. Forse ci avrebbe riprovato più tardi, si disse, la prossima volta che sarebbe passato da quelle parti. Poi ignorò con una smorfia le targhe degli uffici commerciali delle grandi Case del Gruppo Jackson. Prima di partire, decise, avrebbe spedito una lettera al rappresentante locale di Casa Bharaputra per lamentarsi aspramente della loro disonestà.

Al confronto degli edifici davanti a cui passava, l’albergo in cui aveva preso alloggio gli sembrava ora alquanto modesto. Ethan calcolava di aver percorso oltre due chilometri, attraverso vari livelli, fino alla zona più lussuosa; ma una curiosità che ad ogni cosa nuova si rinfocolava invece di placarsi lo indusse a uscire dalla Passeggiata dei Viaggiatori, per proseguire nei quartieri interni dove abitavano i cittadini della stazione. Qui l’aspetto degli edifici passava da sgargiante a utilitaristico.

Gli odori di un piccolo locale pubblico, stretto fra una fabbrica di contenitori plastici e un’officina per la riparazione di tute pressurizzate, ricordarono a Ethan che non aveva mangiato da prima di sbarcare dalla nave. Ma guardando nell’interno vide che c’erano molte femmine sedute ai tavoli. Represse gli impulsi dello stomaco e proseguì il cammino, sentendosi sempre più affamato. Un giro a caso in quella zona lo portò, dopo esser sceso in due pozzi antigravità, in una piccola sezione poco pulita e d’aspetto modesto. Un cartello lo informò che distava poco dal molo d’ormeggio dal quale era entrato a Stazione Kline. Il suo vagabondare fu arrestato dall’odore intenso di grasso fritto che usciva dalla porta di un locale. Lui sbirciò nell’interno poco illuminato.

Una ventina di clienti, quasi tutti con le tute d’ogni colore degli operai addetti ai moli, sedevano ai tavoli o stavano appoggiati al banco di mescita in atteggiamenti rilassati. Evidentemente si trattava di una sala di riposo frequentata dai lavoratori del posto durante le pause nell’orario quotidiano, e non di una trappola per turisti. Inoltre non c’erano donne, neppure una. Il morale di Ethan si risollevò. Qui sarebbe riuscito a rilassarsi un poco, e magari a rifocillarsi lo stomaco senza spendere troppo. Forse avrebbe anche potuto attaccare utilmente discorso con qualcuno. In effetti, viste le istruzioni che gli erano state date dall’Ufficio Immigrazione Athosiano. aveva il dovere di farlo. Perché non cominciare da lì?

Ignorando una sensazione di disagio a livello subliminale — non era il momento di lasciarsi dominare dalla sua timidezza — Ethan entrò, socchiudendo gli occhi per adattarli a quella penombra. Era qualcosa di più di una sala di riposo. A giudicare dall’odore alcolico di quelle bevande, i clienti dovevano considerare conclusa la loro giornata di lavoro. Era una specie di locale di ricreazione, dunque, anche se non aveva alcuna somiglianza con un club athosiano. Ethan si chiese speranzosamente se lì non vendessero anche la birra di carciofi. Ma su una stazione spaziale era molto più probabile che avessero birra di alghe coltivate o qualcosa del genere. Soppresse un fremito di nostalgia, si umettò le labbra, e s’avviò a passi fermi verso la mezza dozzina di uomini in tuta da lavoro che stavano al banco. I cittadini locali dovevano essere abituati a vedere turisti con abiti assai più bizzarri dei suoi, in stile athosiano: maglia a maniche traforate, pantaloni gialli col risvolto e morbidi mocassini bianchi, ma per un momento lui provò il bisogno d’essere in completo bianco da medico come al Centro di Riproduzione, con la sua medaglia d’identità sul petto, abbigliamento questo che gli aveva sempre dato sicurezza e personalità nel trattare con i clienti e specialmente coi lavoratori come costoro.

— Buongiorno, signori. Come state? — li interpellò educatamente. — Io sono un delegato dell’Ufficio Immigrazione e Naturalizzazione del pianeta Athos. Se posso avere per qualche minuto il piacere della vostra attenzione, vorrei parlarvi delle possibilità di lavoro e di inserimento che il mio mondo apre agli immigrati nelle zone appena terraformate…

Il poco promettente silenzio che quelle parole avevano fatto calare sui presenti fu interrotto da un operaio corpulento in tuta verde. — Athos? Il pianeta dei finocchi? Tu sei uno di loro?

— Non può essere — disse un altro, in tuta azzurra. — Quella gente non mette mai il naso fuori dal suo buco.

Un tipo seduto a un tavolo lì accanto, in tuta gialla, disse una cosa estremamente volgare che fece ridere qualcuno.

Ethan trasse un lungo respiro e decise di insistere, anche se non gli sembrava che quegli uomini fossero molto recettivi. — Io vengo da Athos, ve l’assicuro. Sono un athosiano in tutto e per tutto. Il mio nome è Ethan Urquhart, e sono uno specialista in biologia della riproduzione. Mi trovo qui perché recentemente c’è stato un calo nella nostra percentuale delle nascite…

Tuta Verde esplose in una risata. — Posso crederci, ragazzo! Lascia che ti dica una cosa, tesoruccio. qui sei capitato nel posto sbagliato…

L’individuo volgare seduto al tavolo, dalla cui bocca esalavano vapori alcolici ad alta concentrazione, berciò un commento ancor più grossolano del primo e sollevò un dito in quello che sembrava un gesto offensivo. Tuta Verde ridacchiò e batté un indice sul petto di Ethan. — Kline non è il posto giusto per te, athosiano. È su Colonia Beta che devi andare, se vuoi farti operare per cambiare sesso. Poi, quando hai fatto, torna pure qui e magari possiamo organizzare qualcosa insieme… tieni presente che a me piacciono le poppe belle grosse.

— Vedendolo così da dietro, magari questo signorino mi sta bene anche subito! — gracidò Tuta Gialla.

Ethan si girò verso il tavolo, mentre i suoi sentimenti confusi e offesi lasciavano il posto a una freddezza formale. — Signore, lei sembra avere dei pregiudizi dolorosamente ristretti circa il mio pianeta. Le relazioni sentimentali sono questione di preferenze personali, e del tutto private. In realtà vi sono alcuni che per interpretare rigidamente i precetti dei Padri Fondatori fanno voto di castità. Essi sono i più rispettati…

— Yaaak! — gridò Tuta Verde, accanto a lui. — Questo è ancora peggio! — Il suo commento scatenò un coro di risate e di fischi fra gli altri lavoratori.

Ethan sentì un afflusso di rossore al volto. — Scusatemi. Io sono uno straniero, qui. Questo è il solo posto privo di femmine che ho visto finora su Stazione Kline. e così ho pensato che vi avrei trovato persone capaci di apprezzare un discorso razionale. La possibilità che si apre per voi su un pianeta civile…

— Apri questa possibilità! — latrò Tuta Gialla, e si alzò in piedi afferrandosi con gesto osceno la cerniera dei pantaloni.

Ethan girò su se stesso e lo colpì con un pugno alla mascella.

Subito dopo l’orrore e la vergogna per aver perso il controllo fino a quel punto lo paralizzarono. Non era quello il comportamento adatto a un rappresentante dell’Ufficio Immigrazione di Athos… doveva subito scusarsi e…

— Un posto senza femmine, eh? — grugnì Tuta Gialla tirandosi in piedi. I suoi occhi arrossati, pieni d’alcool, mandavano lampi d’ira. — È per questo che sei entrato qui… alla ricerca di pervertiti come te. Ora ti faccio vedere io!

Ethan stava per alzare un dito ammonitore quando s’accorse che non poteva. Due robusti amici di Tuta Gialla l’avevano afferrato da dietro per le braccia. S’irrigidì, lottando contro il terrorizzato impulso di divincolarsi da quella presa e liberarsi. Se fosse rimasto fermo esibendo un’espressione pacata, forse avrebbe potuto…

— Ehi, ragazzi, prendetevela con calma — intervenne Tuta Verde, in tono improvvisamente ansioso. — Dopotutto è un turista ignorante, pensate a cosa… aspetta!


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