— Vuole essere così gentile da dirmi cosa diavolo stiamo facendo? — la esortò Ethan.

— Trasformiamo un problema piuttosto difficile in uno molto più facilmente risolvibile. Ora. invece di un contenitore per merci spaziali il cui contenuto potrebbe farci incriminare per omicidio, dobbiamo soltanto liberarci di uno uno dentro cui c’è un’ottantina di chili di tritoni storditi.

— Ma non ci siamo ancora liberati del cadavere — obiettò lui, indicando uno degli scatoloni. Guardò le acque colme di bollicine. — Stai pensando di rimettere là dentro una parte dei tritoni? — domandò, incerto. — Potranno riprendere a nuotare, svenuti come sono?

— Ma niente affatto! — esclamò Quinn, stupita dalla sua ignoranza. — Questo sbilancerebbe il sistema. L’entrata-uscita della biomassa è calcolata con estrema precisione. Lo scopo di questa operazione è invece quello di far combaciare le registrazioni dei computer. In quanto al cadavere… fra poco vedrai.

— Tutto fatto? — disse il tecnico quando li vide entrare dal portello nel salone di controllo, seguiti dalla barella fluttuante su cui il contenitore e i tre scatoloni erano fissati con qualche giro di nastro.

— No, non proprio — rispose Quinn. — Quand’ero a metà lavoro mi sono accorta di aver portato con me un contenitore troppo piccolo. Dovrò tornare qui più tardi. Senti, dammi la ricevuta, così mi fermo all’Assimilazione e gli lascio questa roba a tuo nome. Del resto devo passare di là in ogni caso, per vedere Teki.

— Oh, sicuro, benissimo — annuì il tecnico, soddisfatto. — Ti ringrazio. — Inserì i dati nel computer, registrò qualcosa su un dischetto e glielo diede. La comandante Quinn se lo mise in tasca e salutò l’amico.

— Bene — mormorò accigliata quando la porta a pressione si chiuse con un lieve sibilo alle loro spalle. Sul suo volto c’era il primo segno di stanchezza che Ethan avesse visto in lei. — Dell’ultimo, atto di questa faccenda devo occuparmene io personalmente. — Notando l’espressione perplessa di lui, aggiunse: — Avrei potuto lasciare che fosse Dale a mandare il tutto giù al Reparto Vendite, ma avevo l’orribile dubbio che arrivasse un’ordinazione dell’ultimo minuto dalla Passeggiata dei Viaggiatori, e che Dale aprisse una scatola per mandargli un po’ di tritoni…

— I turisti chiedono questo cibo? — domandò Ethan.

Lei gli gettò un’occhiata. — Non esattamente. Di solito i tritoni che vengono serviti agli stranieri appaiono nel menu sotto la voce Zampe di Rana Fresche, importate dalla Terra. Così diventano una pietanza piuttosto cara.

— E questo è… uh, etico?

Quinn scrollò le spalle. — Devono pur fare il loro guadagno. Le specialità rare di provenienza terrestre hanno sempre successo coi ricchi turisti. E anche se i kliniani li apprezzano, in realtà ormai ne hanno fin sopra i capelli e non è facile vendere a loro i tritoni in sovrappiù. Ma l’ufficio del Bio-controllo rifiuta di sostituire i mangia-alghe con un altro sistema, dato che questo modo di riciclare l’ossigeno è economico e funziona perfettamente. I tritoni sono un sottoprodotto e nient’altro.

I due risalirono a cavalcioni del cilindro e fluttuarono via lungo il corridoio. Ethan guardò il profilo della femmina mercenaria seduta davanti a lui. Doveva cercare di sapere qualcosa…

— Che razza di progetto genetico è? — domandò, all’improvviso. — Questo complotto di Millisor, voglio dire. Lei non ne sa di più?

La mercenaria gli elargì uno sguardo pensoso. — Genetica umana. Ma a dire la verità io non so quasi niente. Conosco qualche nome, qualche parola in codice. Dio solo sa cosa si propongono di ottenere. Dei Mostri, forse. O magari vogliono allevare superuomini. Il governo cetagandano è sempre stato in mano a un branco di militaristi molto aggressivi. Forse vogliono allevare un esercito di super-soldati in vasche di crescita, un po’ come fate voi athosiani, e conquistare l’universo o qualcosa del genere.

— Non è probabile — replicò Ethan. — Non un esercito, comunque.

— Perché no? Una volta ottenuto il tipo genetico desiderato lo si può clonare all’infinito, servendosi di replicatori uterini. È solo questione di avere l’attrezzatura sufficiente.

— Oh, sicuro, lei può produrre una gran quantità di bambini… anche se occorrono risorse economiche non indifferenti, migliaia di tecnici ben addestrati e grandi centri di riproduzione. Ma credo che lei non abbia capito che questo è solo l’inizio della spesa. E non è niente, paragonato a ciò che costa allevare questi bambini. Su Athos la cosa assorbe buona parte del prodotto planetario lordo. Nutrirli, alloggiarli, l’educazione, il vestiario, le cure mediche… a noi occorre un grande sforzo economico solo per mantenere stabile la popolazione, figuriamoci quando si parla di aumentarla. Nessun governo potrebbe tassare i cittadini quanto basta per allevare un esercito inizialmente non specializzato e del tutto improduttivo.

Elli Quinn inarcò un sopracciglio. — Strano, detto così. Sugli altri mondi gli esseri umani nascono a milioni, e questo non impoverisce necessariamente l’economia. Al contrario.

Distratto da quel ragionamento Ethan si stupì. — Dice davvero? Ma io non vedo come possano fare. Voglio dire, le spese di laboratorio per portare un feto dall’ovulo al parto sono molto alte, mi creda. Nel suo calcolo dev’esserci qualcosa di sbagliato.

Nello sguardo di lei si accese una scintilla ironica. — Ah, ma sugli altri mondi le spese di laboratorio non pesano sul governo. I loro laboratori funzionano gratis.

Ethan sbatté le palpebre. — Che assurdo punto di vista retrogrado! Gli athosiani non accetterebbero mai un incarico non pagato. Le femmine gravide non ottengono forse un credito da doveri sociali, come compenso della loro prestazione fisiologica?

— Penso che questo rientri nel cosiddetto lavoro non pagato delle casalinghe, anche quando si tratta di donne che lavorano — rispose lei, in tono seccato. — E la produzione di bambini generalmente supera la domanda. Per quanto riguarda il sesso non ci sono crumiri a mettere in crisi la ditta fornitrice di pargoletti.

Ethan era sempre più stupito. — Ma la maggior parte delle donne non sono militari combattenti, allora, come lei? Ci sono uomini fra i Dendarii?

Lei rise forte, poi abbassò la voce per non attrarre gli sguardi dei passanti. — I quattro quinti dei Dendarii sono uomini. E in quanto alle mie colleghe, tre su quattro svolgono mansioni tecniche, non combattenti. Queste percentuali sono all’incirca le stesse su tutti i pianeti umani, salvo in posti come Barrayar dove le forze armate non hanno donne neppure negli uffici.

— Ah — disse Ethan. Dopo una pausa, sconcertato, aggiunse: — Lei è un caso atipico, allora. — L’idea che s’era fatta delle Regole di Comportamento Femminile andava modificata, dunque…

— Caso atipico. — Lei ci rifletté un momento, poi sbuffò. — Già, suppongo che tu mi abbia definito bene.

Passarono in una galleria dove c’erano porte tutte etichettate UFFICIO ECOLOGICO — RICICLAGGIO. Mentre proseguivano in altri corridoi Ethan tirò fuori la sua carota e cominciò a mangiarla, non senza aver strappato via le radichette e le foglie che si mise in tasca, dopo un’occhiata alla perfetta pulizia del marciapiede.

Stava masticando l’ultimo boccone quando arrivarono a una porta su cui era scritto: ASSIMILAZIONE — STAZIONE B e sotto: SOLO PERSONALE AUTORIZZATO.

Nel vasto locale vivamente illuminato dove Quinn lo precedette. Ethan vide file di scaffali su cui erano allineate costose quanto incomprensibili attrezzature elettroniche. Al centro, un bancone da laboratorio gli apparve più familiare perché ospitava il necessario per le analisi organiche. Alcune decine di condotti forniti di portelli d’accesso ognuno di un colore-codice diverso costellavano la parete di fondo. Quella di destra era completamente nascosta da un grande macchinario d’aspetto strano, collegato ad altre apparecchiature tramite un intreccio di tubi; Ethan non si provò neppure a ipotizzare le sue funzioni.


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