I due cominciarono a chiacchierare dei fatti loro e di argomenti spiccioli, mentre Ethan, che non era stato presentato, cercò di non agitarsi troppo nervosamente e di non aprir bocca o rischiare di agire come uno straniero. Le prime due cose erano abbastanza semplici, ma quali erano le azioni che rivelavano l’estraneo agli occhi degli abitanti della stazione? Rimase accanto alla barella antigravità e fece il possibile per non compiere movimenti, innocui o meno che fossero.

Quinn concluse quello che a Ethan parve un discorso inutilmente lungo sui Mercenari Dendarii esclamando: — E sai una cosa? Quei soldati non hanno mai assaggiato le zampe di tritone fritte!

Negli occhi del tecnico balenò un divertimento i cui motivi erano del tutto oscuri per Ethan. — Ma non mi dire! Possibile che nel grande cosmo esista un’anima tanto scalognata? Allora bisogna supporre che non conoscano neppure la zuppa di tritone.

— Né i filetti di tritone marinati — rincarò la dose Quinn alzando le mani con divertito orrore, — né la tritonata al formaggio!

— Neppure i tortelli di tritone? — le fece eco il tecnico. — Neppure lo stufato di tritone all’aglio? Neppure il dessert verde? Neppure il goulash di mare? Neppure il sugo al tritone con cipolla e prosciutto?

— Fuori di qui non sanno niente sulle pietanze a base di anfibi — confermò Quinn. — Il caviale di tritone è del tutto sconosciuto.

— E le schiacciatine di tritone al basilico?

— Schiacciatine al basilico? — domandò la comandante Quinn, improvvisamente perplessa.

— Sono venute fuori un paio d’anni fa — spiegò il tecnico. — In realtà è zampa di tritone macinata, mescolata con riso e odori, e poi fritta nel burro.

— Ah — annuì la mercenaria. — Per un momento m’era sembrato che tu parlassi di un altro genere di polpettine di tritone.

I due scoppiarono a ridere per un motivo che conoscevano solo su Stazione Kline. Ethan si schiarì la gola e scrutò il locale, alla ricerca di qualche vasca o loculo in cui scaricare il contenuto del cilindro giallo. Un paio di snelli anfibi neri serpeggiarono fino alla parete e lo guardarono con pigro interesse.

— Comunque — disse infine Quinn, cambiando tono. — ho pensato che se ti occupassi tu della prossima raccolta potresti mettermene da parte qualcuno, da congelare e portare via con me. Se in questo periodo non siete a corto, naturalmente.

— Non siamo mai a corto! — esclamò lui. — A corto di tritoni? Che Dio ci scampi. — Guardò Ethan e il contenitore. — Ti servo subito: portane pure via cento chili. Duecento. Trecento, se hai posto.

— Un centinaio di chili sarebbe l’ideale. È tutto quel che posso permettermi di aggiungere al peso del bagaglio. Vorrei organizzare una dozzina di cene per soli ufficiali… uomini, magari, se mi spiego.

Il tecnico ridacchiò, poi la invitò a seguirlo e la precedette su per una scaletta metallica fino a un portello. Ethan colse al volo il rapido gesto di lei e si affrettò a tener loro dietro, manovrando la barella antigravità col telecomando.

A passi attenti il tecnico s’avviò lungo una sottile passerella metallica sostenuta da cavi. Sotto di loro, nel gorgoglio delle bolle d’ossigeno che emergevano alla superficie, l’acqua sibilava come una creatura vivente; la corrente fredda che saliva dal basso fece venire a Ethan la pelle d’oca e gli schiarì la mente. Alcuni gorghi regolarmente disposti facevano intuire la presenza di pompe d’aspirazione sul fondo verde-argento, fra le alghe. Dietro quella piscina se ne vedeva un’altra, e più lontano ce n’erano altre ancora, a perdita d’occhio.

La passerella li condusse a una piattaforma. Il rumore di bolle lasciò il posto a un forte sciacquio quando il tecnico sollevò il coperchio di una larga gabbia sommersa. Il contenitore di rete oscillava, fittamente ricolmo di forme nere e scarlatte che scivolavano una sopra l’altra.

— Oh, Dio, è già piena — esclamò l’uomo. — Inutile cercare di venderli tutti. Sei sicura di non volerne abbastanza per sfamare il tuo esercito?

— Mi piacerebbe, se potessi — ridacchiò Quinn. — Ti dico quello che farò: lascerò l’eccedenza giù all’Assimilazione, a tuo nome, quando avrò fatto la mia scelta. I ristoranti della Passeggiata del Viaggiatore hanno chiesto qualcosa?

— Nessuna ordinazione, oggi. Serviti pure.

Dale raccolse un telecomando e premette un pulsante; la trappola per tritoni si sollevò lentamente, con l’acqua che ruscellava giù da tutte le parti, e i tritoni restarono compressi in una massa compatta dove zampe e code continuavano a divincolarsi. Un altro pulsante del telecomando, un ronzio, e un lampo azzurro che pervase la gabbia. Ethan poté sentire sulla pelle il riverbero del potente storditore fin da dove stava. Gli anfibi smisero di agitarsi e giacquero immobili, tramortiti dalla scarica.

Il tecnico tolse uno scatolone di robusta plastica verde da una pila di altri identici e lo appoggiò su una bilancia digitale, sotto lo sportello di rete metallica sul fondo della gabbia. Azzerò la cifra sul display e aprì lo sportello. Dozzine di tritoni inerti scivolarono giù nello scatolone. Mentre il peso saliva verso i 100 chili rallentò il flusso, quindi prelevò a mano un ultimo corpo nero e chiuse lo sportello. Fatto ciò applicò un’etichetta, rimosse lo scatolone con un trattore a mano, ne mise al suo posto un’altro vuoto e ripeté l’operazione. Il contenuto della gabbia non bastò a riempire per intero il terzo scatolone. Fatto questo, il tecnico aprì il suo computer tascabile e registrò l’esatto totale della biomassa prelevata dal sistema.

— Vuoi che ti dia una mano a riempire il tuo contenitore? — domandò poi, indicando il cilindro di plastica gialla.

Ethan impallidì, ma la mercenaria disse allegramente: — Naah, torna pure giù ai tuoi monitor. Io sceglierò i miei tritoni uno per uno. Visto quel che costa il trasporto via nave, voglio soltanto i migliori.

Il tecnico sorrise e s’incamminò sulla lunga passerella. — Trovati i più succosi — disse. Quinn lo salutò con un cenno amichevole e attese di vederlo sparire oltre il portello d’ingresso.

— E ora veniamo a noi — disse, voltandosi verso Ethan. — Cerchiamo di far tornare queste cifre. Aiutami a spostare il caro estinto sulla bilancia.

Non fu facile. Okita s’era già irrigidito nel contenitore, e ciò che la mercenaria voleva fare richiedeva che fosse privato di tutti gli indumenti. Glieli tolsero con una certa fatica, insieme a un piccolo arsenale di armi letali, e quindi arrotolarono le sue proprietà terrene in un fagotto compatto.

Ethan aveva scacciato la paralisi dell’incertezza e della confusione per concentrarsi su un lavoro che capiva, almeno in parte. Mise il cadavere sulla bilancia e lo pesò. Qualunque fosse la situazione folle in cui era precipitato, lui aveva scoperto una grave minaccia per il pianeta Athos. L’istintiva prudenza che l’aveva spinto ad evitare la vicinanza della femmina mercenaria stava diventando, mentre la testa gli si schiariva sempre più, un altrettanto istintivo desiderio di non lasciarla sparire nel nulla prima di aver scoperto in qualche modo tutto ciò che lei sapeva sulla faccenda.

— Ottantuno virgola quarantacinque chilogrammi — le riferì nel suo miglior tono scientifico, quello che usava coi VIP in visita ai laboratori di Sevarin. — E ora?

— E ora metti il corpo in uno di quegli scatoloni, quindi aggiungi tritoni fino ai… uh, cento virgola sessantadue chilogrammi esatti — ordinò lei, dopo un’occhiata all’etichetta di uno dei contenitori. Quando Ethan ebbe finito (l’ultima frazione di chilo fu raggiunta accludendo mezzo tritone, grazie al taglio preciso di una vibrolama che lei si tolse di tasca) la mercenaria chiuse lo scatolone e lo sigillò con un nastro adesivo.

— Adesso ottantuno virgola quarantacinque chili di tritoni nel nostro contenitore per merci — disse. Quando anche quell’operazione fu terminata si trovarono con quattro contenitori (i tre scatoloni e il cilindro) il cui peso era lo stesso di prima.


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