— Vitamine. Guarda… vedi? — Quinn fece uscire altre due pillole dallo stesso tubetto, se le gettò destramente in bocca e le ingoiò accompagnandole con una lunga sorsata della sua birra. — Qui puoi considerarti al sicuro, per il momento. Mangia, bevi, datti una lavata, fai quello che ti pare.
Lui gettò un’occhiata speranzosa verso il bagno. — Il doppio uso non sarà registrato da qualche computer del riciclaggio? E se qualcuno facesse domande?
Lei alzò gli occhi al cielo. — Al massimo potranno pensare che la comandante Quinn sta intrattenendo un amico nella sua camera. Questi sono affari miei, e nessuno oserà certo ficcare il naso. Rilassati.
Le implicazioni di quell’intimità erano tutt’altro che rilassanti, ma Ethan era arrivato al punto che avrebbe rischiato la vita per una rasatura; il suo mento ispido era pericolosamente vicino a fingere prerogative di padre a cui egli non aveva alcun diritto.
Il bagno, ahimé, non aveva un’altra uscita che desse nel corridoio. Lui cedette e andò a lavarsi, portando con sé la birra. Se Millisor e Rau non avevano trovato il modo di spremergli informazioni utili molto probabilmente non ci sarebbe riuscita neppure la comandante Quinn, qualunque cosa gli avesse messo nella birra.
La faccia stravolta che lo guardò dallo specchio lasciò Ethan stupefatto e inorridito. Rigonfia, molliccia, pelle come carta vetrata, occhi iniettati di sangue e cerchiati di nero. Sembrava un criminale reduce da una nottata di bagordi. Se si fosse presentato sul lavoro in quelle condizioni, nessun cliente avrebbe permesso che un individuo così losco si occupasse del suo bambino. Fortunatamente qualche minuto di lavoro col rasoio a vibrazioni e con un pelle-schiuma gli restituirono un aspetto da persona civile, soltanto stanco, e non depravato. C’era perfino uno scomparto per il lavaggio a secco, che ripulì i suoi indumenti mentre lui si faceva la barba e glieli restituì un po’ umidi ma profumati.
Venti minuti dopo, quando uscì dal bagno, trovò la comandante Quinn semisdraiata sull’unica sedia della stanza e coi piedi nudi poggiati sul ripiano di uno scaffale. La mercenaria aprì gli occhi e gli accennò di sistemarsi sul letto gonfiabile. Ethan si distese nervosamente, spostando il cuscino per stare un po’ sollevato; ma non c’era altro posto in cui sedersi. Sul ripiano che fungeva da comodino accanto al letto lo aspettavano un’altra birra e un vassoio di fast-food, anonime confezioni fornite dai distributori della stazione. Lui cercò di non pensare agli impianti che riciclavano tutto, perfino i cadaveri, e di convincersi che quello era cibo e basta.
— Dunque — disse Elli Quinn, — sembra che ci siano interessi peculiari accentrati su quel carico di materiale biologico che Athos ha ordinato all’estero. Supponiamo che tu cominci da qui.
Ethan inghiottì il boccone che stava masticando e fece appello alla sua risolutezza. — No. Ci scambieremo le informazioni. Supponiamo che lei cominci da qui. — Quella sua pretesa di assumere una posizione di forza produsse nella mercenaria l’ironico sollevarsi di un sopracciglio, e lui aggiunse debolmente: — Se non le spiace.
Quinn si passò una mano sulla faccia; anche lei era stanca. — E va bene. — Fece una pausa per mangiare un boccone di sandwich. — La vostra ordinazione di materiale biologico fu trasmessa, a quanto mi risulta, alla squadra genetica del laboratorio principale di Casa Bharaputra. La squadra lavorò un paio di mesi buoni su questa fornitura, circondata da strette misure di sicurezza. Questo servì probabilmente a salvare parecchie vite, in seguito. Il materiale fu quindi spedito con una nave mercantile non-stop fino a Stazione Kline. dove dovette sostare due mesi in un magazzino in attesa dell’arrivo della nave del censimento diretta ad Athos. Si trattava di nove grosse scatole da imballaggio refrigerate, di colore bianco. — La mercenaria le descrisse nei particolari, e ricordò perfino alcuni dei numeri di serie. — È questo ciò che avete ricevuto?
Ethan accennò di sì, accigliato.
Lei continuò: — All’incirca nel periodo in cui questa fornitura lasciava Stazione Kline sulla nave diretta ad Athos, Millisor e i suoi uomini arrivarono sul Gruppo Jackson. La loro incursione nei ben protetti laboratori di Casa Bharaputra fu un vero e proprio raid militare, eseguito con notevole abilità professionale. — Le sue labbra si contrassero in una smorfia con cui esprimeva un giudizio personale d’altro genere. — Millisor e la sua squadra travolsero l’opposizione armata dei sorveglianti di Casa Bharaputra e se ne andarono, facendo saltare in aria il laboratorio e tutto il suo contenuto. Nel contenuto era compresa la squadra genetica, alcuni innocenti clienti, e le registrazioni tecniche del lavoro fatto sul vostro materiale. Io presumo che abbiano investito un po’ del tempo di cui disponevano interrogando il personale di Bharaputra, prima di eliminarlo, perché vennero a sapere parecchie cose. Fatto questo, dopo una sosta nelle vicinanze durante la quale uccisero la moglie di un genetista e gli bruciarono la casa. Millisor e compagni scomparvero dal pianeta del Gruppo Jackson. Poco tempo dopo fecero la loro comparsa qui, sotto false identità, mossi dallo scopo di bloccare le nove casse prima che ripartissero per Athos, ma erano in ritardo di tre settimane.
«Nel frattempo io ero arrivata sul Gruppo Jackson, fornita di informazioni molto frammentarie. Senza immaginare i fatti accaduti feci in giro qualche innocente domanda su una richiesta commerciale pervenuta da Athos. Gli agenti di Casa Bharaputra, che stavano ancora cercando di capire come avesse fatto Millisor a sparire così in fretta, piombarono su di me come falchi. Per fortuna alla fine riuscii a convincerli che io non avevo niente a che fare coi cetagandani. In effetti, al momento sono convinti che io stia lavorando per loro.
— Il bharaputrani?
Il suo sorriso si spense in una smorfia. — Già. Mi hanno assoldata per rintracciare e assassinare Millisor e la sua squadra. Questa è stata una fortuna, perché avrebbero potuto lasciarmi andare e mettermi alle calcagna i loro killer, contando che io li portassi fino al bersaglio. Invece mi hanno fatto l’onore di mettermi sul loro libro paga. E stanotte ho fatto una parte del lavoro per cui mi hanno assunta. Saranno molto compiaciuti di me. — Ebbe un sospiro e bevve un sorso di birra. — Tocca a te, dottore. Cosa c’era in quelle scatole, da causare la morte di tanti innocenti?
— Nulla, glielo assicuro! — Ethan scosse il capo, sbalordito. — Materiale biologico costoso, certo, ma non al punto che qualcuno possa voler uccidere per averlo. Il Consiglio della Popolazione di Athos aveva ordinato 450 colture ovariche vive, ovvero il tessuto che produce le cellule uovo fertilizzando le quali…
— So come nascono i bambini, sì — mormorò lei.
— Dovevano essere garantite esenti da difetti genetici, e prelevate da almeno venti diversi esseri umani di sesso femminile appartenenti alla razza bianca. Non erano state richieste altre caratteristiche. Il lavoro di una settimana al massimo, per una squadra di genetisti come quella di cui ha parlato lei. Semplice routine. Invece, ciò che noi abbiamo ricevuto era spazzatura! — Ethan le descrisse il contenuto di quei refrigeratori con fervore sempre più indignato, finché lei lo interruppe.
— E va bene, dottore! Va bene, ti credo. Ma ciò che partì dal Gruppo Jackson non era affatto spazzatura, bensì qualcosa di molto speciale. Qualcuno, di conseguenza, ha intercettato il vostro materiale in qualche punto del tragitto e lo ha sostituito con degli avanzi di macelleria…
— Avanzi piuttosto strani, se ci pensa un momento — cominciò Ethan in tono perplesso, ma lei stava già parlando.
— Chi è questo qualcuno, e dove e quando ha agito? Tu non sei, e io neppure… anche se suppongo che tu debba accontentarti della mia parola. E ovviamente non si tratta di Millisor, a cui sarebbe piaciuto ma non c’è riuscito.