Cee annuì senza esitare.

— Ehi, no… no, aspetti. Lei non capisce. Io qui sono un turista, un viaggiatore di passaggio. Non ho nessuna ambasciata o niente del genere. Voglio dire, le ambasciate hanno impiegati e guardie, una intera organizzazione per la sicurezza dei cittadini del loro paese e la tutela dei loro diritti, mentre invece io non…

Cee ebbe un sorrisetto incredulo. — L’uomo che ha eliminato Okita, un sicario addestrato e pericoloso, ha davvero bisogno di tutto questo apparato?

Ethan restò a bocca aperta, troppo stupito da quel malinteso per riuscire a rispondere.

Cee continuò: — Loro sono in molti. Millisor ha a disposizione le risorse dell’intero Cetaganda contro di me… e io sono solo. L’unico rimasto, L’unico superstite. Ormai non ò più questione di se riusciranno a uccidermi, ma di quando. — Le sue mani ben strutturate si aprirono in un gesto di supplica. — Io ero sicuro di aver fatto perdere le mie tracce a quella gente, e mi illudevo che avrei potuto trovare un passaggio su un’astronave diretta molto lontano da qui. ma… l’ultima via di fuga che mi restava è stata sbarrata da quel vampiro di Millisor. un cacciatore di uomini assetato di sangue… — La bocca del giovanotto si torse in una smorfia amara. — Non mi lasceranno scampo. Io la prego, signore, mi dia asilo politico.

Ethan si schiarì nervosamente la gola. — Ah. uh… cosa intende con "cacciatore di uomini", esattamente?

— È così che lui vede se stesso. — Cee scrollò le spalle. — Per Millisor, perfino i delitti più feroci sono atti di eroismo compiuti al servizio di Cetaganda, in base al principio che qualcuno deve fare anche i lavori sporchi… lui stesso lo pensa con grande convinzione. Ed è orgoglioso di ciò che fa. Ma non ha avuto il fegato di fare personalmente il suo lavoro sporco su di me. Nel profondo della sua anima meschina quell’uomo mi odia e mi teme più dell’inferno… ah! Come se i suoi piccoli segreti personali fossero più importanti o più vergognosi di quelli degli altri. Come se a me importasse qualcosa dei suoi segreti, o della sua anima.

Ethan stava cercando, vanamente, di capire cosa ci fosse dietro quelle dichiarazioni piuttosto oscure. Qualcosa c’era. Ma gli sarebbe piaciuto che la conversazione restasse più sul concreto. — Insomma, lei chi è? Anzi, cosa è?

Il giovanotto fece un passo indietro, mentre il suo sguardo si faceva improvvisamente sospettoso e guardingo. — Asilo politico. Prima mi garantisca asilo politico, e poi potrete avere tutto.

— Uh? In che senso?

Sul volto di Cee la disperazione tornò a sostituire il sospetto. La speranzosa eccitazione con cui aveva avvicinato Ethan per chiedergli aiuto lasciava il posto a una truce amarezza. — Già, capisco. Lei mi vede come mi vedono loro. Una mostruosità biologica messa insieme con pezzi di cadavere, un essere non del tutto umano partorito da un utero artificiale. Ebbene… — Sospirò, risolutamente. — Sia pure. Ma prima di morire io mi vendicherò sul capitano Rau. Questo l’ho giurato a Janine. fosse l’ultima cosa che farò.

Ethan riiletté sull’unica cosa abbastanza comprensibile di quel discorso, e con tutta la dignità che poté trovare disse: — Se per "utero artificiale" intende un replicatore uterino, sappia che io stesso sono stato incubato nove mesi in un replicatore, e che questo metodo di gestazione è lecito e giusto quanto l’altro. Di più, anzi. Così la prego di non definire "non del tutto umane" le mie origini, o il lavoro a cui ho dedicato la mia vita.

Un po’ della confusione che lui sentiva di avere nella testa era leggibile anche sulla faccia di Cee. E perché no, del resto? La miseria pensò Ethan con acida soddisfazione, ama la compagnia.

Il giovanotto — il ragazzo, in realtà, perché la tensione e la stanchezza gli aggiungevano qualche anno, mentre doveva essere più giovane di Janos — parve sul punto di dire qualcos’altro, poi scosse il capo, gli volse le spalle e si allontanò.

La necessità, rifletté ad un tratto Ethan, era il replicatore uterino dell’inventiva. — Aspetti! — esclamò. — Farò in modo che Athos le dia asilo politico! — Per quanto stava nei mezzi di cui disponeva avrebbe potuto promettergli anche la remissione dei peccati e la salvezza eterna, visto che le sue possibilità di offrirgli l’una o l’altra cosa si equivalevano. Ma Cee tornò subito verso di lui, così ribollente di speranza che quell’emozione sembrava schizzar fuori come un vapore dai suoi occhi azzurri. — Solo a un patto — proseguì Ethan. — Lei dovrà dirmi cosa ne ha fatto delle colture ovariche che il Consiglio della Popolazione aveva ordinato ai Laboratori di Casa Bharaputra.

Stavolta fu Terrence Cee a restare a bocca aperta per lo stupore. — Vuol dire che Athos non le ha ricevute?

— Nossignore.

L’imprecazione che scaturì fra i denti del giovanotto biondo fece voltare un paio di turiste indignate, ma lui non se ne accorse neppure. — Millisor! Dev’essere stato lui a rubarlo! Ma… no, come avrebbe potuto… non sarebbe riuscito a…

Ethan gli accennò di abbassar la voce e scosse il capo. — Credo che il colonnello Millisor non c’entri con quel furto, infatti. A meno che lei non pensi che mi abbia interrogato per ben sette ore, e in modo molto sgradevole, solo per convincermi che lui era estraneo al fatto.

È quasi un sollievo vedere qualcun altro agitato e confuso come me, pensò Ethan. Questo aveva l’effetto di renderlo più freddo e lucido, per reazione, e lui aveva bisogno d’essere freddo e lucido. Cee espresse uno stupore teatrale allargando le braccia.

— Ma, dottor Urquhart… se voi non avete quelle colture, e gli uomini di Millisor non le hanno, e neppure io le ho… dove sono finite?

Ethan sentì che finalmente capiva quella frase di Elli Quinn sul fatto che era stanca di stare sulla difensiva. Lui non ne poteva più d’essere un giocattolo in balia di eventi messi in moto da altri. Aggredisci la realtà, prendila a calci pensò selvaggiamente, accorgendosi che il più piccolo seme di risolutezza sbocciato nel suo cuore poteva fiorire in un poderoso albero capace di resistere agli scrolloni di ogni bufera. Il sorriso che rivolse all’attraente giovanotto biondo fu tranquillo. Cee era più snello di Janos, ma gli somigliava davvero. Anche nell’incarnato pallido, e nel colore dei capelli. Ma la bocca di Cee non assumeva quella piega petulante che a volte guastava l’espressione di Janos, quand’era irritato o stanco.

— Supponiamo di mettere insieme ciò che sappiamo e di scoprirlo — propose Ethan. — Che ne pensa?

Cee alzò lo sguardo su di lui (era qualche centimetro più basso) e domandò: — Lei è davvero un agente segreto del suo governo?

— In un certo senso — annuì Ethan, riflettendo che fra i suoi doveri di rappresentante di Athos all’estero poteva benissimo esserci anche quello, — lo sono, sì.

Terrence Cee annuì. — Allora sarà un piacere, signore. — Trasse un lungo respiro. — In questo caso mi occorrerà una certa quantità di tyramina. Ho usato l’ultima che avevo per sondare Millisor, tre giorni fa.

La tyramina era un aminoacido legato a un certo numero di attività chimiche del cervello, ma Ethan non aveva mai saputo che la si potesse usare anche come droga della verità. — Le serve… a cosa? — domandò, perplesso.

— Per la mia telepatia — spiegò Cee, sottovoce.

La strada, le piante e la fontana si fecero evanescenti intorno a Ethan. che aveva l’impressione d’essere sospeso nell’aria. — Tutte le teorie sulla psionica sono state definitivamente scartate molti secoli fa, prima ancora dei viaggi spaziali — sentì dire dalla sua voce, come di lontano. — Non c’è mai stato un potere mentale chiamato telepatia.

Terrence Cee si toccò la fronte in un gesto che gli fece pensare a un paziente che descrivesse la sua emicrania.

— Adesso c’è — disse semplicemente.

Accecato dalla luce dell’alba di una nuova era, Ethan guardava negli occhi il giovane che aveva davanti. — Senta, noi siamo in mezzo alla pubblica strada — disse alla fine, con voce rauca, — in uno dei luoghi meno intimi e più monitorati che esistano nella galassia. Prima che il colonnello Millisor e quel pazzoide di Rau saltino fuori da dietro una siepe, non sarebbe meglio trovare un posto, uh, più tranquillo per fare due chiacchiere?


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