— Spazzatura, a quanto hai detto. In tutti gli scatoloni.
— Sì, però…
Tre deboli note musicali, come quelle di un telefono portatile, uscirono da una tasca della blusa bianca e grigia di Quinn. Lei si frugò addosso mormorando: — Cosa diavolo… oh, no. Teki, ti avevo detto di non chiamarmi mai… — Quello che tirò fuori non era però un portatile, ma un minuscolo apparecchio sul cui display palpitava un numero.
— Cos’è? — domandò Ethan.
— Un rintracciatore. Poche persone hanno il mio codice. Non lo si ottiene dai computer della stazione, ma Millisor ha un’attrezzatura che potrebbe… uh, questo però non è il numero telefonico di Teki, neppure quello del suo ufficio.
Quinn andò a sedersi alla consolle di comunicazione e usò ancora la carta di credito di Cee. — Tu non parlare, dottore, e stai fuori dal campo della telecamera.
Compose il numero e la persona che aspettava la sua chiamata apparve subito sulla piastra olovisiva. Si trattava di una femmina giovane dai capelli biondi, vide Ethan, vestita con una tuta azzurra.
— Oh — disse Quinn, sollevata. — Sei tu, Sara. — Le sorrise. — Che c’è di nuovo?
La bionda non rispose al suo sorriso. — Salve, Elli. Teki è lì con te?
Una goccia di caffè uscì dal tubicino quando la mano di Quinn strinse convulsamente il bulbo. Il suo sorriso s’incrinò. — Con me? Ti ha detto che veniva a cercarmi?
Gli occhi di Sara si strinsero.
— Non fare questi giochetti con me, Elli. Puoi riferire a quel signore che io ero alla Felce Azzurra, puntuale come sempre. E che nessuno può farmi aspettare tre ore come una stupida, specialmente dopo che una persona di mia fiducia, non dico chi, lo ha visto insieme a tu-sai-chi.
Guardò la blusa bianca e grigia di Quinn e si accigliò. — Comunque l’ho sempre saputo che gli piacciono le uniformi. Ora devo andare. Ah… già che ci sei, digli pure che una certa festicciola, stasera, non avrà bisogno della sua presenza, perché è una festicciola fra amici. — E mosse una mano verso il pulsante di spegnimento.
— Aspetta, Sara! Non staccare. Teki non è qui con me. Lo giuro! — Quinn, che s’era piegata in avanti come per entrare nell’olovideo, si rilassò quando vide la mano della bionda fermarsi. — Che significa questa storia? L’ultima volta che io ho visto Teki è stato questa mattina, prima che andasse al lavoro. So che poi è andato all’Ufficio Ecologico. Aveva appuntamento con te, oggi pomeriggio?
— Doveva portarmi a cena fuori, e poi a un balletto zero-G, per il mio compleanno. Lo spettacolo è cominciato un’ora fa. — La ragazza fece un respiro per calmarsi, ma era sempre più irritata. — Ho pensato che avesse da fare sul lavoro, e ho telefonato là. Ma mi hanno detto che è uscito alla solita ora.
Quinn guardò l’orologio. — Capisco. — Le sue mani si strinsero sul bordo della consolle. — Hai provato a chiamare casa sua, o qualcuno dei suoi amici?
— Ho chiamato dappertutto. Il tuo numero me l’ha dato tuo padre. — La ragazza si accigliò ancora, sempre insospettita.
— Ah. — Le dita di Quinn tamburellarono sulla fondina del suo storditore, ora sostituito da un modello non militare. — Ah. — Ethan, distratto per un momento dal pensiero che anche Quinn avesse un padre, si sforzò di prestare attenzione.
Lo sguardo di Quinn tornò sulla ragazza bionda inquadrata sullo schermo. La sua voce si fece secca e autoritaria, con una nota dura.
Involontariamente Ethan pensò che quello doveva essere il suo modo di fare in battaglia, da comandante militare. — Hai già informato la Sicurezza della Stazione?
— La Sicurezza della Stazione! — si stupì la ragazza. — Elli, perché dovrei farlo?
— Chiamali subito, e denuncia la scomparsa di Teki. Chiedi che diano subito inizio alla procedura per le persone scomparse.
— Per un giovanotto che è in ritardo a un appuntamento? Elli, li farò ridere. Non è che mi stai prendendo in giro, per caso? — disse Sara, incerta.
— No, sto parlando molto sul serio, credimi. Fatti passare il capitano Arata. Digli che la comandante Quinn appoggia la tua denuncia. Lui non riderà.
— Ma Elli…
— Fallo subito! Io devo andare. Mi rimetterò in contatto con te appena potrò.
L’immagine della ragazza bionda si dissolse in una nevicata brillante. Quinn imprecò sottovoce.
— Cosa sta succedendo? — volle sapere Cee, che in piedi davanti alla porta del bagno si allacciava i polsini della tuta verde che aveva indossato.
— Credo che Millisor abbia prelevato Teki per interrogarlo — disse Quinn. — Se è così, la mia copertura è andata in fumo. Dannazione! Non c’era nessun motivo logico perché Millisor facesse una cosa simile. Ha cominciato a pensare con le gonadi? Questo non sarebbe da lui.
— La logica della disperazione, forse — disse Cee. — La scomparsa di Okita lo ha allarmato molto. E la ricomparsa del dottor Urquhart ancora di più. Lui ha… uh, alcune sue strane teorie sul dottor Urquhart.
— Sulla base delle quali — annuì Ethan. — lei si è dato la pena di venire a cercarmi. Mi spiace di non essere il superagente che lei si aspettava.
Cee lo guardò in modo strano. — Non se la prenda così.
— Io volevo fare pressione su Millisor. — Quinn si mordicchiò un’unghia con uno schiocco udibile. — Ma non fino a questo punto. Non gli ho dato nessun motivo di rapire Teki. Sono certa che non sarebbe successo nulla, se lui avesse seguito alla lettera le mie istruzioni senza cincischiare tanto… ma non avrei dovuto coinvolgere un non-professionista. Perché ho pensato soltanto alla nostra sicurezza? Quel povero Teki non sa neppure cosa gli è piombato addosso.
— Lei non ha avuto nessuno scrupolo anche quando si è trattato di coinvolgere me — le annotò Ethan, rigidamente.
— Tu eri già coinvolto. E inoltre non spettava a me farti da balia, visto che non è certo colpa mia se Athos è nel mirino di questi cetagandani. e… — Fece una pausa e lo guardò stranamente, come Cee poco prima. — Comunque, non devi sottovalutarti — concluse.
— Adesso dove sta andando? — la fermò Ethan allarmato, mentre lei attraversava la stanza.
— Ho intenzione di… — cominciò lei con fermezza. La sua mano, già alzata verso il pulsante della porta, esitò e si riabbassò. — Ho intenzione di pensarci bene.
Si volse e andò avanti a indietro, ai piedi del letto. — Perché lo stanno trattenendo così a lungo? — chiese. Ethan non capì se lo stesse domandando a lui, a Cee o all’aria. — Avrebbero dovuto tirargli fuori tutto quello che sapeva in quindici minuti, provocargli un vuoto di memoria e poi lasciare che si risvegliasse in un’auto a bolla, convinto di aver dormito per tutto il percorso. E nessuno avrebbe sospettato nulla, neppure io.
— Hanno scoperto tutto ciò che io sapevo in quindici minuti — la informò Ethan, — ma non per questo si sono fermati lì.
— Sì, però nel tuo caso avevano buoni motivi per sospettarti, dato che come sai ti avevo regalato una microspia con quel proiettore. Ma addosso a Teki non ho messo niente, proprio perché non volevo fargli correre lo stesso pericolo. Inoltre loro possono sapere chi è Teki esaminando le registrazioni di Stazione Kline fino al giorno della sua nascita. Tu eri un uomo senza passato, o almeno con un passato inaccessibile per i cetagandani, il che dava spazio alle loro fantasie paranoiche.
— Il risultato è stato che ci hanno messo sette ore per convincersi che potevano tranquillamente eliminarmi — disse Ethan.
— Tuttavia — intervenne Cee, — dopo la scomparsa di Okita si sono convinti che lei è un agente capace di resistere con successo a sette ore di interrogatorio. Forse ora sono molto meno disposti a crederci, quando uno gli risponde "io non so niente" anche con una dosa di penta-rapido nelle vene.
— In questo caso — disse cupamente Quinn, — prima riesco a tirare Teki fuori di là, meglio è.
— Mi scusi — disse Ethan, — ma fuori di dove?
— È probabile che si tratti dell’alloggio di Millisor. Dove hanno interrogato te. La loro camera "pulita", dove non ho mai potuto infiltrare una microspia. — Quinn si passò nervosamente una mano fra i capelli. — Come diavolo posso riuscirci? Un attacco frontale a un posto ben difeso, in mezzo a una quantità di innocenti indifesi e nell’ambiente delicato di una stazione spaziale… no, questo non sembra molto pratico.