— Ne avevo soltanto due — mormorò lei, spazientita. — Ecco, prendi il mio medikit. Tu sarai il medico.
Ethan esaminò con una smorfia la cassettina che s’era staccata dalla cintura, larga un palmo. — E cosa dovrei fare? Sbatterla in testa a Rau prima che lui usi il suo distruttore neuronico?
— Bravo, questo è lo spirito giusto — disse lei, con un brevissimo sorriso. — Se ne avrai l’occasione, certo. Ma Teki avrà bisogno di un antidoto per qualsiasi cosa gli abbiano propinato. Ad esempio quello contro il penta-rapido; lo troverai proprio accanto al penta-rapido stesso. A meno che le cose non degenerino di brutto; in tal caso usa la tua esperienza di medico.
— Ah — annuì Ethan, accontentandosi di questo. Sembrava una linea di condotta razionale.
Stava aprendo bocca per esprimere un’altra valida obiezione quando Quinn lo colpì con una spallata e lo spinse, senza complimenti, nel limitatissimo e inadeguato riparo della nicchia di una porta.
Da un ingresso in penombra all’altra estremità del corridoio, quello che comunicava direttamente coi pozzi antigravità, erano apparse tre figure seguite da una vettura a bolla sigillata sulla cui parte anteriore c’era lo stemma del Biocontrollo-Epidemiologia, una foglia stilizzata in un triangolo rosso di "pericolo".
Passando sotto il primo pannello illuminante del lussuoso corridoio d’albergo — Ethan aveva già riflettuto che qualcuno doveva aver fatto studi accurati sulle reazioni del cervello umano alle lunghezze d’onda, perché quella luce dava al corridoio un aspetto effettivamente "lussuoso" — le tre figure si rivelarono per un robusto agente della Sicurezza della Stazione, e due tecnici della sorveglianza ecologica, uno di sesso maschile e una di sesso femminile.
Una di sesso femminile corpulenta e ossuta, la cui andatura emanava il calore umano e la gentilezza di un bulldozer…
— Per Dio il Padre — ansimò Ethan, — è quell’infernale piantagrane di Helda!
— E tu mantieni la dannata calma — ringhiò Quinn, spingendolo più forte nella nicchia. Era profonda a malapena un palmo, inadatta a celare alla vista una persona adulta e tantomeno due. — Voltagli le spalle e fingi di fare qualcosa di normale. La porta di Millisor è a dieci metri da qui, e non arriveranno fino a noi. Girati, così, ora metti una mano al muro accanto alla mia testa — gli ordinò in fretta. — Appoggiati, tieni la voce bassa e fai come se mi baciassi il collo…
— Cosa devo fare? Questo contatto fisico è poco… è poco…
— Qualcuno direbbe che è molto. Ora chiudi la bocca e ascolta me. E non guardarmi così, o comincerò a ridere… anche se qualche calcolata risatina non guasterebbe per fare scena.
Fingere di fare qualcosa di normale? Appoggiato al corpo di una femmina? Ethan non s’era mai sentito più anormale in vita sua. Lo spazio fra le sue scapole fremeva nell’attesa di un raggio mortale scaturito dalla porta di Millisor, che era sul lato opposto del corridoio. Non vedere quel che stava accadendo lo aiutava solo a immaginare il peggio. Quinn, invece, da sotto il suo braccio sollevato aveva una vista completa del corridoio, senza parlare del fatto che lui la stava proteggendo col suo corpo.
— Soltanto un agente della Sicurezza di scorta? — mugolò Quinn con un lampo negli occhi. — È una fortuna che siamo venuti anche noi.
Alcune note musicali attutite uscirono da una tasca della sua blusa. La mercenaria si affrettò a far tacere il rintracciatore. Poi si contorse per tirarlo fuori di qualche centimetro, abbastanza da vedere il numero apparso sul display. Emise un fischio fra i denti.
— Che succede? — le sussurrò Ethan in un orecchio.
— Questo numero! È la consolle di comunicazione di quel bastardo di Millisor — mormorò lei, alzando l’altra mano fin dietro il collo di Ethan in una carezza realistica. — È riuscito ad avere il mio numero da Teki, dunque. Probabilmente vuole farsi telefonare per registrare la mia immagine e la mia voce… o per ricattarmi. Lasciamo che sudi un po’.
A dieci metri da loro la sorvegliante biologica Helda premette per la seconda volta la piastra della porta di Millisor, controllando qualcosa su uno schermo che aveva in mano. — Ghem-lord Harman Dal… signor Dal, vuole aprire, per cortesia?
Non ci fu risposta.
— Siamo sicuri che sia in casa? — domandò l’altro tecnico.
Helda grugnì un assenso e gli indicò un display sopra la piastra sensibile. Ethan intuì che le strisce di colore dovevano essere un codice, forse imposto dal regolamento per i soccorsi antincendio, perché il tecnico disse: — Ah. E in compagnia, anche. Forse la segnalazione corrisponde al vero.
Helda premette ancora la piastra dell’avvisatore. — Signor Dal, io sono la sorvegliante biologica F. Helda. Le chiedo di aprire subito questa porta, altrimenti lei sarà incriminato per infrazione agli articoli 176-b e 2-a del Regolamento della Sicurezza Interna.
— Almeno diamogli il tempo di rimettersi i pantaloni — disse l’altro tecnico. — Questo dev’essere molto imbarazzante per lui.
— Che sia imbarazzato quanto gli pare — disse seccamente Helda. — Quel mangiafango non può illudersi di fare qui le sue porcherie, appestando tutti i… — Premette ancora la mano sulla piastra, con rabbia.
Quando fu chiaro che dall’interno non intendevano aprire, la donna tirò fuori dalla blusa una chiave universale e la appoggiò sulla fessura della serratura elettronica. Sull’oggetto palpitarono alcune luci. Non accadde niente.
— Mio Dio — disse il tecnico, stupito. — Hanno bloccato il circuito dell’apertura d’emergenza!
— Questa sì che è una violazione dei regolamenti antincendio — grugnì soddisfatto l’agente della Sicurezza, e batté una nota sul suo minicomp. Al tecnico, che lo interrogava con lo sguardo, spiegò il motivo del suo improvviso buonumore: — Voi del Bio-controllo potete saltare addosso a tutti gli stranieri senza preoccuparvi dei loro diritti civili, ma io devo avere una prova documentata per intervenire, altrimenti rischio il posto. — E sospirò, invidioso.
— Dal, sblocchi subito questa porta! — gridò furiosamente Helda nell’intercom.
— Potremmo tagliargli i servizi in camera, da sotto — suggerì il suo collega. — Quando non avrà più da mangiare e da bere dovrà venir fuori.
Helda strinse i denti. — Io non ho certo intenzione di aspettare tanto, prima che un mangiafango infetto si decida a collaborare con chi protegge questa stazione dai sudicioni come lui. — La femmina raggiunse a lunghi passi un pannello, poco più in là. su cui c’era scritto: SERVIZIO ANTINCENDIO — SOLO PERSONAL AUTORIZZATO, e premette la sua tessera sulla piastra sensibile. Lo sportello si aprì con ubbidienza. Non avrebbe osato restare chiuso, pensò Ethan. Helda premette una lunga serie di tasti luminosi.
Da oltre la porta chiusa della camera di Millisor provenne un sibilo ruggente, accompagnato subito da grida e imprecazioni spaventate. La sorvegliante ecologica sorrise trucemente.
— Cosa sta facendo? — sussurrò Ethan nell’orecchio di Quinn.
Anche la mercenaria stava sorridendo. — Ha azionato il sistema antincendio. Voi avete nebulizzatori d’acqua, o di schiuma ignifuga. Nello spazio non sarebbero efficienti. Qui sigilliamo i locali e pompiamo fuori l’aria. Molto veloce. Niente ossigeno, niente fuoco. Millisor non è stato abbastanza intelligente, o abbastanza stupido, da bloccare le griglie degli aspiratori.
— Uh… ma non è molto spiacevole per chi restasse intrappolato dentro?
— Di norma c’è un rivelatore di presenza, oltre all’allarme per evacuare i locali. Helda li ha disattivati, evidentemente.
La chiave elettronica universale che l’altro tecnico premeva sulla serratura palpitò di luci rosse e mandò un beep. All’interno ci furono altre grida e qualcuno tempestò freneticamente la porta, a pugni e a calci.
— Ora Millisor vuole aprire, ma la sua forza non basta, perché la differenza di pressione glielo impedisce — sussurrò Quinn.