— Ginnastica — disse Agopian. — Ecco di che cosa hanno bisogno questi ragazzi. Con l’allenamento giusto batterebbero i cinesi.

— Hanno bisogno di essere lasciati in pace — ribatté Eddie.

Agopian ruotò il timone. L’imbarcazione girò in tondo, tornando verso riva.

Anasu respirava affannosamente. Non per lo sforzo, ma per l’eccitazione e forse la paura. — La persona sciamano è arrabbiata sul serio?

— Non credo.

— E l’uomo grande e grosso? È stato lui a gridare soprattutto.

— No.

Anasu fece il gesto della felicità.

Gli altri bambini vennero incontro alla barca, gridando in direzione di Anasu nella loro lingua. Lui li ignorò, voltando loro le spalle.

Interessante. Il processo con cui si stabiliva il predominio doveva cominciare presto. Questo era tipico degli umani nelle società in cui le gerarchie erano importanti. Nel New Jersey, per esempio.

Era possibile che i bambini sapessero già, prima di subire il cambiamento, quale fosse la propria posizione nei rapporti reciproci.

Scesi dalla barca e la legai. Anasu mi seguì, aiutandomi alla meglio. Alla fine fece il gesto della gratitudine. — Di’ alla persona sciamano che gli sono grato. Spero che non sia in collera. Non è mai una buona idea litigare con le persone sante.

Si voltò e corse nella foresta. Gli altri bambini lo seguirono. Tornai alla barca.

— Sarebbe potuto cadere — disse Eddie. — E se fosse finito vicino all’elica?

— Credo che si chiami un’avvitata — osservò Agopian. — Anche se non ci giurerei.

Entrai nella cabina. Il libro di Eddie era sul pavimento. Il pulsante dell’avanti veloce brillava rosso e sullo schermo c’era il simbolo a tre lobi usato per contrassegnare la fine di qualcosa di prezioso: letteratura, arte, aria, acqua pulita, suolo non contaminato. Il simbolo era dipinto su camere di equilibrio esterne. Si trovava ai margini delle diverse terre distrutte. Concludeva olodrammi e brillava sopra le uscite dei musei.

Spensi il libro e lo gettai su un divano, poi mi recai nella cambusa a prendere una birra.

Tornò Tatiana.

— Ti è piaciuto il villaggio? — le chiesi.

— Dio è grande. — Rise. — È quello che continuo a pensare. Allah akbar.

— "O mirabile mondo nuovo, che ha in sé simili esseri" — declamò Eddie.

Agopian disse: — Miranda ne La Tempesta. Vi ha mai detto nessuno che Shakespeare è migliore in russo?

Eddie fece il gesto che significava "no".

— Ho sempre sentito dire che era migliore in tedesco — osservai.

— Quel verso non mi fa mai venire in mente Shakespeare — disse Eddie. — Lo conosco tramite Aldous Huxley. Il suo romanzo Il mondo nuovo.

— L’hai letto? — chiesi.

— L’ho insegnato, nel mio corso di studi sul crollo della civiltà occidentale.

Ah, sì. Come avevo potuto dimenticarlo?

Preparammo dei sandwich e li mangiammo sul ponte. C’erano insetti che saltellavano sopra la superficie del fiume. Il cielo si fece scuro.

Tatiana se ne andò a letto. Noi restammo sul ponte. Aprii un’altra birra.

— Fa’ attenzione — disse Eddie. — Quella roba può essere pericolosa.

— Sono di stirpe cinese, e i cinesi sono famosi per non avere problemi di ubriachezza.

Derek scelse quel momento per scavalcare il parapetto. — Per esempio — disse. — C’è il famoso poeta cinese Li Bo. La storia racconta che si trovava fuori in barca, bevendo vino di riso e gustandosi la serata. Vide il riflesso della luna sull’acqua e si sporse in fuori per abbracciarla. Cadde in acqua e annegò.

— Dove sei stato? — gli domandai.

— Su al villaggio.

Eddie aggrottò la fronte. — Ci è stato detto…

— Non ero dentro il vilaggio. Ero fuori, facevo una passeggiata, guardavo il cielo notturno, ascoltavo la musica.

— Musica? — chiesi.

Fece il gesto dell’affermazione. — Uno strumento aveva il suono di un flauto. Un altro era simile a uno xilofono, e ce n’era un terzo che faceva un suono simile a una sirena da nebbia.

"Volevo entrare, ma gli uomini anziani si aggiravano ai margini del villaggio. La musica doveva essere arrivata fino a loro. Non entravano, ma sembrava che non riuscissero a venire via. Continuavano a camminare su e giù, si fermavano, scrutavano il fuoco. C’era un grande fuoco al centro del villaggio. Poi si mettevano di nuovo a camminare. Non sono riuscito a escogitare un modo per superarli. Dannazione! Detesto lasciarmi scappare una cerimonia!"

Finii la mia birra e andai nella cabina. Tatiana dormiva già. Aprii uno dei divani, mi svestii e mi coricai. La finestra sopra di me era aperta. Sentivo lo stormire delle foglie e il lieve sciabordio del fiume contro la barca.

Mi svegliai di buon’ora. La cabina era buia e fresca. Qualcuno russava. Mi alzai e andai in bagno, poi uscii sul ponte, portando con me i miei vestiti. Dai finestrini dell’altra imbarcazione usciva luce. Una folata di vento mi portò l’aroma della cucina cinese e una musica: la versione al piano di "Quadri di un’esposizione".

Feci il mio yoga, mi vestii e risalii la scogliera del fiume.

Il sole era visibile dalla cima. Era sospeso appena sopra l’orizzonte: un disco di un arancione rossiccio, troppo luminoso per poterlo guardare direttamente. Seguii una pista fra la pseudo-erba. Le foglie mi sfioravano, bagnate di rugiada. Nel giro di un minuto o due avevo i pantaloni fradici.

Un fiore era sbocciato appena fuori dalla pista: grande e basso sul terreno. I petali erano di un giallo pallido, quasi dello stesso colore della pianura. Il centro era scuro. L’intera pianta era carnosa, come una pianta grassa terrestre.

Mi inginocchiai e toccai il bordo del fiore. Maledizione! Agitai in aria la mano. Il fiore si chiuse a palla. Guardai il mio dito. Sembrava che fosse stato punto da un’ape.

Un’ombra scese su di me. Alzai lo sguardo e vidi Nia.

— Quello è un fiore pungente.

— Non l’avrei mai immaginato.

— Vieni nell’accampamento. C’è una lozione che ti farà sentire meglio. Mia cugina deve averla sicuramente.

Mi alzai, con la mano che pulsava. Ci incamminammo in direzione del villaggio.

Nia disse: — Mangiano insetti e altri animali. Piccolissime lucertole. A volte un aipit.

— Un che cosa?

— È un animaletto a quattro zampe, coperto di pelliccia. Il corpo è lungo come la prima articolazione del mio pollice. Il veleno della pianta uccide qualcosa di così piccolo, ma la piante non causa alcun vero danno alle persone. Non riesce ad attraversare una buona pelliccia, come quella che abbiamo noi. Le persone vengono punte se toccano la pianta come hai fatto tu, o se sono abbastanza sciocche da camminare a piedi nudi sulla pianura. — Tacque un momento. — Un cornacurve può camminare attraverso una macchia di quelle piante e non sentire niente, a meno che non sia un cucciolo e non cerchi di mangiucchiarla. Lo fanno una volta soltanto.

Arrivammo al villaggio. Nia si fermò di fronte a una grossa tenda. C’era una donna seduta davanti all’entrata, grande e di bell’aspetto, vestita con una tunica color blu marino. La sua collana era d’argento e ambra. I braccialetti erano d’oro.

— Questa persona ha toccato un fiore pungente — disse Nia.

La donna parlò nella lingua del villaggio. Una bambina uscì portando una brocca.

— Siediti — disse la donna. — Il mio nome è Ti-antai. Nia ha detto che la tua gente assomiglia ai bambini, sempre a toccare e a capovolgere cose. Vedi che cosa è successo? Allunga la mano.

Seguii i suoi ordini. Lei osservò il mio dito, che ormai era gonfio e di un rosso acceso. — Aiya! Che strano.

— Che cosa? — domandai, provando un certo nervosismo.

— Il colore della tua pelle. — Infilò la mano nella brocca e tirò fuori una massa rotonda e gialla, afferrò saldamente la mia mano e unse il mio dito con quella roba. Il dolore diminuì subito.

— Che cos’è quel fiore? — domandai. — Una pianta o un animale?


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