— Che cosa? — domandai.

Nia aggrottò la fronte, poi si grattò il naso. — A loro non piacciono gli uomini, neppure i propri figli. "Un figlio è una bocca", dichiarano. Intendono dire che un figlio è qualcosa che mangia cibo, fa baccano e non combina niente di utile.

— Ah! — osservai.

Nia fece il gesto dell’approvazione. — È una cosa molto scorretta. Ma c’è dell’altro… — Esitò. — A loro non va di accoppiarsi con gli uomini. Spesso in primavera si allontanano dal villaggo, due donne insieme. Se ne stanno nella foresta. Fanno cose con le mani. — Nia rabbrividì. — La tua gente fa delle cose del genere?

— Alcuni di noi sì. Io no.

— Credi che sia giusto?

Ci pensai su un momento. — È comune. Non credo che sia sbagliato. — Usai una parola che significava "insolito", "immorale", "mal fatto", o "fatto in modo gravemente insensato".

Nia rabbrividì di nuovo. — Io l’ho fatto una volta. Yohai continuava a chiedermelo. Una primavera sono andata con lei. Non so perché. Non mi è piaciuto. Ho provato un senso di vergogna. Aiya! - S’interruppe per un momento. — Quanto vorrei che avessimo qualcosa da bere.

Il giorno seguente facemmo ritorno al fiume e continuammo a seguirlo, dirette verso ovest. Il territorio era pianeggiante e coperto di foreste. Non c’era una nuvola nel cielo e il fiume scintillava. Creature simili a uccelli svolazzavano da un albero all’altro e altre cose, che non riuscivo a vedere, si aggiravano nel sottobosco. Ne scorsi una che ci attraversò il sentiero: un guscio bronzeo lungo più o meno mezzo metro con sotto parecchie piccole zampe che si muovevano rapide. Dalla parte superiore sporgevano due enormi occhi sfaccettati.

— Che cos’è? — chiesi mentre l’animale spariva.

— È chiamato wahakh - rispose Nia. — Può vivere sia nell’acqua sia fuori. La gente di qui sostiene che porti messaggi degli spiriti e qualche volta faccia da guida alle donne impegnate in viaggi dello spirito. Non lo mangiano mai, sebbene sia delizioso cotto arrosto. — Fece una pausa. — Lo lasceremo in pace.

Verso sera arrivammo a un lago. L’acqua era limpida e di un verde scuro. Lungo i bordi crescevano giunchi.

Nia si guardò attorno. — Sono stata qui prima d’ora, quando sono venuta a est, dopo aver lasciato il mio popolo. Ricordo che questo posto mi faceva venire in mente un lago della mia terra. Il Grande Lago dei Giunchi. Questo è più piccolo, naturalmente. Aiya! Come passano gli anni!

Ci accampammo. Nia trascorse la sera con lo sguardo fisso sul fuoco. Io mi allontanai, chiamai Eddie e gli riferii quello che era successo in quegli ultimi giorni.

— Tu corri dei rischi, non è vero? — disse lui.

— Qualcuno. Non molti.

— Quella pazza di una sciamana potrebbe aver deciso di ucciderti.

— Non credo che sia probabile. Ho la sensazione che queste persone non siano violente.

— Aha! Vallo a raccontare a Derek.

— Che cos’è successo?

— Ha deciso che doveva rivelare alla gente del suo villaggio che era un uomo, per vedere che cosa sarebbe successo. Ricorderai che è estremamente curioso. Hanno cercato di lapidarlo. Ha afferrato la sua radio ed è scappato.

— Sta bene?

— Sì. Ma che cosa sarebbe accaduto a qualcun altro, qualcuno che non fosse stato in grado di correre come lui?

Ci pensai per un po’. Derek era alto e biondo e veniva dalla California meridionale, un aborigeno che aveva trascorso l’infanzia viaggiando a piedi nel deserto. Quando aveva 15 anni, c’era stata una siccità. Lui era arrivato a una base commerciale sulla costa e aveva detto: "Sono stanco di vivere così. Insegnatemi qualcos’altro".

Lo mandarono a scuola e lui si dedicò alla corsa come attività sportiva. Era bravo sulle distanze brevi. Sulle lunghe distanze era imbattibile.

— Dov’è adesso? Sulla nave?

— No. Si sta dirigendo verso ovest. La regione, a quanto dice, è piacevole. Colline ondulate, foreste, qualche prateria. C’è selvaggina in abbondanza, assai più che in California. Ha intenzione di costruirsi un arco.

Un insetto mi svolazzò accanto. Cercai di colpirlo e lo mancai. — Come sta Gregory?

— Bene. Ma dice che la sua gente lo tratta in modo diverso. Gli parlano adagio e in tono risoluto e gli danno un sacco di ordini. Ordini molto semplici. È convinto che abbiano stabilito che non è molto intelligente. Quale altra spiegazione potrebbe esserci? Non conosce il comportamento corretto e non è in grado di badare a se stesso.

Sorrisi.

— Un’altra cosa — disse Eddie.

Aha, pensai. Il lavoro per oggi. — Di che si tratta?

— Gregory sostiene che dev’esserci dell’oro nelle montagne. La sua gente porta un sacco di gioielli, e per lo più sono in oro.

— Che cosa c’è di tanto interessante in questo?

— I planetologi pensano che possa essere rilevante. Il pianeta ha una densità maggiore della terra e ci sono abbondanti prove di attività vulcanica. A quanto dicono, ci sono buone probabilità di trovare metallo in prossimità della superficie. Non soltanto oro, ma argento, platino, stagno, iridio, cromo, per nominarne alcuni. — La sua voce aveva un suono particolare: piatto e attento.

— Che cosa sta succedendo?

— Quassù incominciano a mostrare interesse. Soprattutto i membri dell’equipaggio. Non credo che abbiano abbastanza da fare. Parlano di possibilità. Se qui c’è il metallo, se è di ottima qualità, se è vicino alla superficie, forse addirittura in superficie, allora lo si potrebbe estrarre.

Mi dondolai all’indietro sui calcagni e guardai la radio. Naturalmente non potevo vederla davvero. La notte era troppo buia. — Una colonia mineraria? A diciotto anni luce da casa? Hanno idea di quanto costerebbe il trasporto?

— Stanno pensando a un centro industriale. Una colonia per costruire navi.

— A nessuno verrà mai in mente di costruire una nave in fondo a un pozzo di gravità, a meno che tu non stia parlando del genere di nave che viaggia sull’acqua, e non credo che sia così.

— L’assemblaggio finale verrebbe fatto nello spazio.

— Mmm! — dissi.

— Ci sono dei problemi — continuò Eddie. — Tutti riconoscono che ci sono parecchie difficoltà, ma non smettono di parlarne. Sono assolutamente affascinati dall’idea di tutto quel metallo.

La cosa non era affatto sorprendente. I nostri antenati si erano dati da fare sulla Terra. La maggior parte del metallo, del carbone e del petrolio che era facile raggiungere era esaurita, così come altre risorse. Buona parte dell’acqua. Buona parte del suolo. Centinaia, no, migliaia di specie di piante e animali.

Eddie proseguì. — Stavo pensando a Cortés e a ciò che accadde quando scoprì l’oro nel Messico.

— Ti preoccupi troppo.

— Uuh. Scommetto che è ciò che Montezuma disse ai suoi consiglieri.

Mi fregai gli occhi e mi sforzai di pensare. Ero sfinita. — Eddie, devo dormire.

— È notte lì giù da te? Immagino di sì. Sogni d’oro, Lixia.

Tornai all’accampamento e mi coricai. Nel cielo sopra di me brillavano le stelle. Da qualche parte lassù c’era un satellite ripetitore e molto più lontano, verso sud, oltre il centro dell’oceano, c’era la nave interstellare Number One. La vedevo con l’immaginazione, girare alla luce del pianeta principale di questo sistema, con solo un lieve luccichio: un enorme pezzo di idruro di litio a forma di sigaro. La superficie era butterata e scolorita. Più di metà della massa si era consumata. L’idruro di litio era stato il nostro combustibile oltre che la nostra protezione principale contro le radiazioni.

A un’estremità del sigaro c’era una serie di serpentine di metallo e ceramica. Erano i magneti che contenevano e controllavano la reazione della fusione che faceva funzionare la nave. L’altra estremità era vuota. Quando avevamo lasciato la Terra c’era stato un ombrello fatto di cermet, protezione aggiuntiva contro la minuscola quantità di materia fra le stelle. Avevamo lasciato cadere l’ombrello quando ci eravamo girati. Da quel punto in avanti, era il motore ad agire da protezione, bruciando qualunque frammento di detriti spaziali potesse trovarsi davanti a noi e riducendolo in vapori ionici, che i magneti allontanavano.


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