Tutto qui: un sigaro di un bianco sporco e una serie di anelli, neri, marrone chiaro e grigi. Gli alloggiamenti erano invisibili, nascosti al centro del sigaro: un cilindro fatto di ceramica, rivestito di sale.

Era quella la parte della nave che conoscevo: i locali e i corridoi rivestiti internamente di piastrelle, che davano alla nave uno dei suoi numerosi soprannomi: il mio preferito, il Clipper di Porcellana.

Naturalmente non aveva vele. Quell’idea era stata abbandonata fin dall’inizio. E non c’era molta porcellana a bordo. Il materiale delle pareti mi ricordava la terracotta. Era opaco e un po’ ruvido, di un colore arancione chiaro. In alcuni punti era smaltato a vetro, di solito bianco e blu.

Era un ottimo materiale: leggero, forte e durevole, immune dalla corrosione, resistente al calore e un eccellente isolante. Eddie era un fanatico. Non eravamo andati fra le stelle in un barattolo di latta. Eravamo andati in qualcosa fatto di argilla e di sale. C’era abbondanza di entrambi nel posto dal quale venivamo. Non avevamo bisogno del metallo su questo pianeta.

Nei tre giorni successivi io e Nia proseguimmo sempre verso ovest. La terra saliva. Ci addentrammo in un canyon. Sul fondo c’era un corso d’acqua stretto e poco profondo. In primavera doveva essere un fiume notevole, poiché scorreva al centro di un ampio letto. Perfino ora l’acqua si muoveva rapida e, qua e là, era striata di schiuma.

Su entrambi i lati s’innalzavano pareti rocciose. Erano di un grigio scuro e screziate da qualcosa che luccicava alla luce del sole. Era forse mica?

Vidi una nuova specie di animale. Era minuscolo e di un color grigio scuro, lo stesso delle scogliere. La sua pelle, o il guscio, luccicava come se fosse screziato di mica. Quasi ovunque nel canyon l’animale sembrava essere raro, ma in un tratto c’erano centinaia di quelle piccole creature. Immobili, erano invisibili. Le vedevo quando si muovevano, guizzando via da sotto i miei piedi e correndo su per una qualche roccia per allontanarsi da me. Pareva quasi che frammenti di roccia prendessero vita, trasformandosi in… cosa? Lucertole? Non esattamente. Per prima cosa avevano sei zampe. Sulla Terra questo ne avrebbe fatto degli insetti. Ma non somigliavano a insetti e inoltre, a quanto pareva, gli insetti di questo pianeta avevano almeno otto zampe.

— Non so che cosa siano — disse Nia. — E non so perché ce ne siano tanti. Questo non è il mio territorio. Fammi domande quando arriviamo nell’aperta pianura.

Feci il gesto dell’intesa.

Il terzo giorno, sul tardi, Nia disse: — C’è una persona che ci segue.

— Che cosa? — Mi voltai a guardare indietro.

Il canyon era in ombra e non riuscivo a vedere lontano, ma per quello che potevo vedere il sentiero era deserto.

Nia mi afferrò per il braccio e tirò con forza. — Continua a camminare. Non fargli capire che sappiamo.

Proseguimmo arrancando.

— L’ho visto due volte oggi, questa mattina e poco tempo fa. Se ha intenzione di fare del male, agirà questa notte.

— Male? — domandai.

— Ci sono uomini che escono di senno. Diventano violenti. Aggrediscono altre persone.

— Perché?

— Non lo so. Ma alcuni uomini, quando passano attraverso il cambiamento, diventano come animali. Non riescono a controllarsi. E ci sono altri uomini che sono buoni finché non invecchiano. Allora diventano deboli, non riescono a procurarsi donne e questo li rende furiosi. Ne ho incontrato uno del genere. Non attaccano gruppi numerosi di donne, ma se una persona viaggia da sola o in gruppetti di due o tre… è come andare in cerca di guai! — Mi lanciò un’occhiata. — Dobbiamo trovare un posto per accamparci.

Proseguimmo finché non arrivammo in un punto dove il fondo del canyon si allargava più del normale. Il torrente si apriva. All’altra estremità la parete del canyon era accidentata. C’erano fenditure ed enormi massi neri. Una cascata precipitava fra le rocce e c’era della vegetazione: arbusti e qualche alberello.

— Ci accamperemo sull’altra sponda del fiume — disse Nia. Si tolse i sandali e li prese in mano.

La seguii fino alla riva del corso d’acqua. Lei lanciò un’occhiata indietro, con noncuranza. — Adesso è vicino. È convinto che l’oscurità lo nasconda, ma io ho buoni occhi.

Entrò sguazzando nell’acqua e io la seguii. Come promesso dagli addetti all’approvvigionamento, i miei stivali erano impermeabili.

A metà del fiume l’acqua si fece più profonda. Nia affondò fino alle ginocchia. Mi fermai e riflettei su cosa fare. Non potevo togliermi gli stivali lì dov’ero e non mi andava l’idea di tornare indietro per la strada da cui ero venuta. Il sole era tramontato e il canyon era ormai quasi avvolto nell’oscurità. Da qualche parte, fra le ombre, si nascondeva l’uomo. Non avevo alcuna voglia di imbattermi in lui, soprattutto da sola. Andai avanti. Gli stivali mi si riempirono d’acqua.

Nia era già arrivata sull’altra sponda. Si chinò e si strofinò la pelliccia delle gambe, poi pestò i piedi. Mi inerpicai sulla riva accanto a lei e mi tolsi gli stivali, capovolgendoli. L’acqua si riversò in grande quantità.

Nia fece un balzo. — Non addosso a me, idiota! Mi sono appena asciugata la pelliccia!

— Mi dispiace. — Mi tolsi i calzini e li strizzai. — E adesso che cosa facciamo?

— Ci accamperemo qui. — Indicò con un cenno della mano i massi precipitati al suolo. — L’uomo dovrà avvicinarsi per vederci. Ho intenzione di restare in attesa.

Fra le rocce c’era un avvallamento, uno spazio sgombro. Mettemmo giù il nostro bagaglio. Alle ultime luci del giorno raccogliemmo della legna.

— Ora — disse sottovoce Nia — tu accendi il fuoco. Ma non prima che te lo dica io.

Mentre mi davo da fare, la sentivo muoversi vicino a me, invisibile nell’oscurità fra le rocce. Il rumore che faceva cessò. Restai in ascolto. Un uccello zufolò e riuscivo a sentire il rumore della corrente. Nient’altro.

Alle mie spalle risuonò una voce: — Accendi il fuoco.

Tirai fuori l’accendino. Le foglie secche presero immediatamente fuoco. Fiamme gialle guizzarono attorno ai rami. Riuscivo a vedere. Sull’altro lato dell’avvallamento c’era il sacco di Nia e qualcosa che somigliava a una persona che giaceva lunga distesa sul terreno, avvolta in un mantello o in una coperta. Ma avevo sentito la voce di Nia alle mie spalle. Ne ero sicura. Qualunque cosa ci fosse sotto quel mantello, non era la mia compagna.

— Ti sei già messa a dormire? — dissi. — Va bene. Buonanotte. — Misi un altro ramo sul fuoco. Avevo sete, ma era troppa la paura per andare fino al fiume. Pensai di mangiare. Il pane era secco e il pesce salato. Se avessi mangiato l’uno o l’altro, avrei avuto ancora più sete. In ogni caso, il mio stomaco era in subbuglio.

Il fuoco si affievolì. Aggiunsi altri rami. Avevo la sensazione che qualcuno mi stesse osservando. La pelle della schiena mi formicolava e incominciavo a sudare. Mi alzai e mi stiracchiai, poi mi guardai attorno con noncuranza. Non si vedeva niente, a parte un mucchio di pietre. Mi sedetti. Un sasso sbatacchiò. Balzai di nuovo in piedi. Che cos’era stato? Restai in ascolto, ma non sentii niente.

Tornai a sedermi. Dopo un minuto mi misi a fare i miei esercizi di respirazione. Inspirai e pensai alla sillaba so. Espirai e pensai alla sillaba hum. Pian piano mi rilassai. Mi resi conto che era una bellissima notte. L’aria era fresca e secca. Il cielo era limpido e le stelle splendevano luminose. Oltre il limitare del canyon stava sorgendo una luna: un punto di luce rossastra. Continuai a respirare in modo lento e profondo. So. Hum. So. Hum.

Un grido! Balzai in piedi, guardandomi attorno. Qualcosa si mosse dietro un masso. Afferrai la mia ascia e corsi.

Due corpi lottavano nell’oscurità. Erano entrambi scuri, entrambi pelosi. Non riuscivo a distinguerli l’uno dall’altro. Rotolarono fuori dall’ombra piombando nel campo di luce del fuoco. Vidi levarsi una mano che teneva un coltello. Attorno al polso aveva un alto bracciale di rame. Nia non portava gioielli. Sollevai l’ascia e la feci roteare, abbattendo la parte piatta contro il braccio dell’individuo. Ci fu un gemito. La mano si aprì. Il coltello cadde. Indietreggiai.


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