Tornammo a riva, portando con noi le trappole. L’oracolo ci venne incontro lungo la spiaggia. Era a mani vuote. Si era sbarazzato del braccialetto. — Niente pesce?

— Nemmeno uno.

— Aiya! - Restò incerto e si grattò il naso. — Avremmo dovuto chiedere alla donna pazza se aveva qualcosa da darci. Be’, ho visto delle piante che sono commestibili. Le raccoglieremo.

Derek scosse il capo, poi fece il gesto che significava "no". — Andate voi due. È ora che io incominci a pensare di andare a caccia. Cercherò del legno. Forse potrò fabbricare un nuovo arco o una lancia.

Andai con l’oracolo. Cavammo radici e raccogliemmo bacche. Lui mi raccontò storie sulle diverse specie di vegetazione: come la radice sanguigna avesse preso quel colore, perché la foglia del sole si girasse sempre verso il sole e perché nessun uomo volesse mangiare alcuna parte del rampicante dell’hubaia, benché piacesse molto alle donne.

Nel pomeriggio inoltrato tornammo all’accampamento. Derek era già lì e aveva un lungo pezzo di legno. — Una lancia — disse.

Arrostimmo le radici sanguigne. Quando le mettemmo nel fuoco erano di un color arancione chiaro e quando le tirammo fuori erano già diventate rosso scuro. Erano farinose e avevano un sapore dolce. Immaginate una patata con il gusto di un peperone dolce e ben maturo. Non male, pensai. Ma ci sarebbe voluto un po’ di burro.

Derek tolse la corteccia al suo pezzo di legno e lo raschiò con un coltello, eliminando irregolarità che io non riuscivo neppure a vedere. Poi si sedette e attorcigliò la corteccia fino a ottenere una corda.

— Quell’uomo è abile — disse l’oracolo. — Anche se è privo di pelliccia, conosce le cose che un uomo deve sapere.

Derek alzò lo sguardo e sorrise, poi si rimise ad attorcigliare.

— Anche se non capisco — continuò l’oracolo — perché gli piaccia tanto mostrare i denti. Continua a farlo.

— È un’espressione di piacere o felicità — gli spiegai.

— Oh — fu il commento dell’oracolo.

Scese la notte. Il vento soffiava dal lago e ci portava insetti: una nuova varietà, minuscoli e numerosi.

Imprecai e agitai le mani.

— Ignorali — mi disse Derek.

Mi spostai più vicina al fuoco. Il fumo vorticava attorno a me, e gli insetti mi lasciarono in pace. Ma ora, naturalmente, mi lacrimavano gli occhi. Guardai l’oracolo. — Non ti danno noia?

— Sì — rispose. — Ma non c’è niente da fare. Vicino a un lago come questo ci sono sempre insetti, e questi almeno non mordono. È il meglio in cui possiamo sperare. — Aprì la bocca in uno sbadiglio enorme e vidi i suoi canini. Erano lunghi e aguzzi. Non c’era da stupirsi che queste persone non esprimessero felicità sorridendo. Quei denti avevano un aspetto minaccioso. — Dovremo stare di guardia?

— Derek? — chiesi.

— Sì. Non sono sicuro che sia stata la cosa giusta lasciar andare quella donna. Mi provoca una strana sensazione. Non mi piace la sua aura.

— Non potevamo tenerla legata per giorni — dissi. — In ogni modo, ora ha un problema reale di cui occuparsi. Le sue nemiche del Clan dell’Uccello Terrestre. — Sorrisi.

L’oracolo si coricò. Osservai Derek. Spaccò in due un’estremità del pezzo di legno e vi inserì a forza il coltello, con la lama puntata all’infuori. Poi avvolse il cordone attorno al legno spaccato e al coltello. — Primitiva ma efficace. Lo spero. — Continuò ad avvolgere e a fare nodi. Io misi altri rami sul fuoco, poi mi coricai.

Mi svegliai. Qualcosa mi morsicava una mano. Una zanzara. Diedi una manata e beccai la piccola canaglia. Nello stesso momento mi ricordai che non poteva essere assolutamente una zanzara. Guardai il fuoco. Era un mucchietto di brace che rosseggiava fiocamente, senza emettere più molto fumo. Lontano, a occidente, la Grande Luna splendeva sopra il lago. Era quasi piena. Strizzai gli occhi e mi sembrò di vedere una riga sopra il bordo superiore. Si curvava come una maniglia, salendo oltre il terminatore, poi tornando giù: dalla parte illuminata dal sole a quella in ombra. Derek aveva occhi migliori dei miei. Per me era appena visibile.

— Maledizione. — Un altro insetto mi morsicò sul collo. Mi guardai attorno in cerca di legna. Non ce n’era. Non potevo riattizzare il fuoco.

Mi coricai di nuovo e mi misi un braccio sulla faccia, cercando di proteggerla. Gli insetti mi ronzavano attorno. Non morsicavano spesso, ma il ronzio e l’attesa mi tenevano sveglia. Alla fine rinunciai. Era ora di fare una passeggiata. Forse avrei trovato una bottega aperta fino a notte fonda che vendeva insetticida o uno di quei cappelli con un velo fatto di rete per zanzariere.

M’incamminai verso i canneti. Il vento soffiava ancora. Le foglie stormivano e il boschetto era pieno di ombre in movimento. Qui e là un raggio di luna penetrava fra il fogliame e riuscivo a distinguere un ramo o un gambo di erba enorme. Ma per la maggior parte del tempo non vedevo quasi niente, a parte la luna davanti a me e il lago che scintillava di luce gialla. Una bellissima sera, se si escludevano gli insetti.

Quando arrivai a breve distanza dall’accampamento, trenta metri al massimo, due mani mi afferrarono il collo. Cercai di gridare, ma non ci riuscii. Le mani stringevano, soffocandomi. Mi ci aggrappai, ma non riuscii a spezzare la stretta. — Unh — mormorò la persona alle mie spalle. Era un suono profondo, sommesso e soddisfatto. L’individuo girò su se stesso, trascinandomi con sé, e sbatté il mio corpo contro qualcosa di duro.

Poi lasciò la presa. Un istante dopo ero a terra, a pancia in giù e con la faccia schiacciata contro qualcosa che sembrava bitorzoluto. Una radice? La base di un albero?

La persona mi rigirò sulla schiena. Rimasi immobile. Forse avrebbe pensato che ero già morta. La persona, uomo o donna che fosse, si chinò su di me. Udii un respiro pesante e sentii l’odore del suo alito.

Colluttorio, pensai.

Ancora il respiro pesante. Avevo la sensazione che l’individuo intendesse toccarmi.

Qualcuno gridò nelle vicinanze.

L’individuo si raddrizzò. Un istante dopo era sparito.

Mi faceva male la gola, e anche la spalla e il braccio. Inspirai adagio e con cura. Finora tutto bene. Sembrava che i miei polmoni funzionassero ancora. Espirai, poi mi sollevai su un gomito. Riucivo a muovermi. Il collo non era rotto.

Girai la testa e sentii una fitta di dolore. L’accampamento. Dov’era? Vidi un tenuo bagliore rossastro. Il fuoco. Mi alzai sulle ginocchia. In quello stesso istante una figura balzò di fronte alla luce, visibile per un attimo. Poi sparì.

Che cos’era?

C’era qualcosa vicino a me. Provai a toccare. Erba enorme. Un grosso fusto liscio. Doveva essere ciò che avevo colpito quando il mio aggressore mi aveva fatto roteare. Ero stata sollevata e sbattuta contro un albero, nello stesso modo in cui un umano avrebbe battuto una scarpa contro un palo per togliervi il fango essicato.

Aiya! Mi alzai a fatica in piedi, sostenendomi al fusto di erba enorme. Per un attimo mi sentii stordita. Chiusi gli occhi e cercai di respirare con regolarità, ma non profondamente.

— Mostro! — Era un grido. Inahooli. Quella pazza.

Aprii gli occhi. Accanto al fuoco c’erano due figure avvinghiate in una lotta. Erano a terra e rotolavano. Non riuscivo a distinguere chi fossero.

Provai a camminare. Ci riuscivo, sebbene mi sentissi stordita. Il fuoco dell’accampamento, e le due figure, si sfocavano e tornavano a fuoco continuamente.

Una voce urlò: — Aiutatemi!

Era l’oracolo. Era lui che lottava. Ma dov’era Derek? Arrivai ai margini dell’accampamento e mi guardai attorno. Derek era là, a tre metri di distanza. Giaceva sulla schiena, metà all’ombra, metà illuminato dalla luce della luna. I capelli erano sciolti e gli erano caduti in avanti. Lunghi, chiari e aggrovigliati, gli nascondevano gran parte della faccia. Mi chinai e glieli tirai di lato. Aveva gli occhi chiusi e c’era del sangue attorno al naso e alla bocca.


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