Raccogliemmo legna e la riportammo all’accampamento. Derek riattizzò il fuoco, e quando questo ebbe ripreso ad ardere, gli controllai gli occhi. Le pupille avevano la stessa larghezza. Non c’era commozione cerebrale.

Tornai dall’oracolo. — Come sta?

— Il battito del suo cuore è rallentato, ma non mi piace il modo in cui respira. La sorella di mia madre faceva un rumore così quando aveva la malattia della tosse. Non è sopravvissuta.

Ascoltai. L’oracolo aveva ragione. Inahooli sembrava congestionata, come se avesse un brutto raffreddore o una polmonite.

— Mi ha detto che aveva freddo — spiegò l’oracolo. — Le ho messo addosso il mantello di Nia. Aiya! È un bene che Nia l’abbia lasciato qui!

Derek parlò in inglese. — Se non ce la fa, ricordati che è stata legittima difesa.

— L’avrei dovuta colpire sulla testa o con un calcio. Avrei dovuto distrarla e dare all’oracolo la possibilità di liberarsi. Hai idea di ciò che farà al mio karma?

— Ve l’ho già detto prima — protestò l’oracolo. — Parlate una lingua che io possa capire.

— Questa cosa porterà sventura — dissi. — Fare questo, far del male a un’altra persona, è agire come un animale, senza ragione né compassione. Le persone, quelle autentiche, non si fanno del male.

— Credi davvero a ciò che dici? — domandò Derek. — E in questo caso, che ne pensi dell’uomo nel canyon? È morto e, da quanto ho sentito dire, hai contribuito.

— Non avevo intenzione di ucciderlo, e non gli ho dato io il colpo mortale. È stata Nia. Non so che cosa le fosse passato per la mente. In ogni caso, quello è un problema suo, non mio. Io cerco di non imporre il mio sistema di etica sugli individui che studio. In questo caso… — esitai. — Ho conficcato io la lama. Quindi è un problema mio e del mio karma. E non sono del tutto sicura di ciò che intendevo fare. Forse volevo uccidere Inahooli. Non che mi aspettassi di diventare un Buddha, ma pensavo che avrei agito meglio di così.

— Che cos’è un Buddha? — domandò l’oracolo.

— Una persona che capisce ciò che sta accadendo. O forse una persona che non capisce ciò che sta succedendo e non se ne cura.

— Questo non ha senso.

Inahooli gemette e si mosse in modo irrequieto. Aprì gli occhi, ma non ci guardò. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto.

Derek si protese in avanti. — Inahooli? Riesci a sentire quello che dico?

Lei guardò verso di me. — Pensavo che all’arrivo dell’autunno sarei stata una donna importante.

— Perché sei tornata?

Lei mosse leggermente la testa e i suoi occhi incontrarono quelli di Derek. — Pensavate che vi avessi creduto? Quelle storie assurde? Sapevo che eravate dei demoni.

Dissi: — Significa che stavi fingendo? La storia della sciamana era una menzogna?

— Uno stratagemma. — Tirò indietro le labbra, esponendo i denti. Non era un sorriso. — Siete demoni molto stupidi. — Tacque un momento, inspirò ed espirò, poi socchiuse gli occhi. — Il dolore è terribile. — Guardò l’oracolo. — Sopravviverò?

— Non lo so.

Lei batté le palpebre. — Aiya! Che fortuna che ho!

— Che cosa ti aspetti quando arrivi strisciando, balzi addosso alle persone nell’oscurità e cerchi di far loro del male? Quale spirito approverà un comportamento come questo?

— Ero furiosa.

L’oracolo aggrottò la fronte. — Non ci sono scuse. Quando mi arrabbio, io lancio sassi o salto su e giù e grido o, se sono molto arrabbiato, compongo una canzone cattiva e la canto più forte che posso. Questo è il modo giusto di infuriarsi. Non è corretto scaraventare qua e là le persone. Soltanto gli uomini pazzi lo fanno.

— Ho provato a gridare e a saltare su e giù. Non è servito a niente. C’era troppa collera. — Inahooli si accigliò. — Era come se avessi dentro di me il lago di fango bollente, che si agitava ed esplodeva.

Derek disse in inglese: — Bicarbonato di sodio.

— Sta’ zitto — ribattei.

— Non riuscivo a sopportare la collera. Dovevo fare qualcosa di grosso. — Chiuse gli occhi per un momento, poi li riaprì. — Non voglio parlare più. Fa male. È una fatica troppo grande. — Chiuse nuovamente gli occhi.

Rabbrividii. Derek mise altra legna sul fuoco. Le fiamme divamparono. — Brucia troppo in fretta. Non credo che durerà fino a domattina. — Mi rivolse un’occhiata. — Hai freddo, vero?

Feci il gesto dell’assenso. — E gli insetti mi stanno divorando. Devono aver deciso che odoro di cibo.

Si slacciò la camicia e se la tolse. — Eccoti.

— E tu che cosa farai?

— Starò in movimento. — Guardò il lago. — La luna è ancora alta nel cielo. Credo di avere tempo. Tu rimani qui, Lixia. — Si allontanò nelle tenebre.

Aprii la bocca per chiamarlo, poi pensai: che diamine. Mi infilai la camicia.

L’oracolo chiese: — Dove sta andando?

Feci il gesto che significava "chi lo sa?".

— Non c’è dubbio che si muova in fretta quando decide di dover fare qualcosa.

— Sì.

Inahooli gemette e si morse il labbro. L’oracolo le prese il polso. — Il battito si sta facendo più debole. Credo che morirà.

La donna aprì gli occhi. Le sue pupille si erano dilatate e scorgevo a stento l’iride. C’era un po’ di arancione negli angoli, ma la parte centrale di ogni occhio era scura. — No.

— Sì — ribatté l’oracolo. — Io non mento.

Lei chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione. Diventava sempre più difficile per lei. Strano! Osservare una persona affannarsi per fare qualcosa di così facile e normale come tirare un respiro.

Mi alzai e misi altra legna sul fuoco. Poi tornai a sedermi. Restai in ascolto. Ogni respiro era un rantolo. Quando espirava sentivo un sibilo. L’aria usciva attraverso una qualche ostruzione. Un liquido. Sangue. Quando l’avevo colpita con la lancia dovevo aver perforato un polmone.

Il respiro andò avanti per un’altra ora o due. Mi alzai una volta e misi altra legna sul fuoco, poi restai lì, protesa sopra le fiamme. L’aria calda saliva attorno a me. La pelle d’oca scomparve e mi tornò la sensibilità alle mani. Strano che avessi così freddo! Dopo tutto, era piena estate. Ma la notte era fresca e soffiava un po’ di vento. Gli insetti erano spariti. Il vento doveva averli scacciati.

Tornai accanto a Inahooli, mi sedetti e restai in ascolto. Il fiato entrava e usciva e il suono che faceva era aspro e disperato. Verso l’alba divenne irregolare. C’erano pause, come se Inahooli passasse dal sonno alla veglia: il respiro s’interrompeva un attimo quando si svegliava. Ma non era mai veramente vigile. Mi strofinai le mani. Erano intorpidite dal freddo. L’oracolo sedeva in silenzio.

All’alba il respiro cessò. L’oracolo le tastò il polso e poi il collo. — Non c’è battito. — Si alzò in piedi. — Aiya! Sono irrigidito. — Si stiracchiò e sbadigliò, poi si massaggiò le braccia. — Ho i piedi intorpiditi. — Saltellò da un piede all’altro.

Mi alzai e mi stirai a mia volta. Mi dolevano il collo e la spalla e avevo altri piccoli problemi in tutto il corpo: dolori, fitte e punti irrigiditi.

Guardai Inahooli. Riuscivo a distinguere la sua posizione anche sotto il mantello. Giaceva su un fianco, le ginocchia piegate e le braccia incrociate contro il petto. La testa era piegata in avanti, il mento ripiegato. Non riuscivo a vedere la sua faccia.

Ero un’assassina. Per davvero questa volta, non soltanto una complice. Guardai verso est. La luce rossa brillava fra due fusti di erba enorme. Il sole stava sorgendo.

L’oracolo smise di saltellare. — Questo è il momento giusto per una canzone. Me ne è venuta in mente una mentre la osservavo. — Indicò Inahooli, poi si mise a cantare, usando il linguaggio dei doni. Riuscii a capire buona parte della canzone. In seguito lui mi spiegò le strofe che non avevo compreso.

"Aiya! Ahi-aiya!

Che situazione!

Neppure tu, Inahooli,

meriti

di finire così.


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