— Non posso promettere — ha detto Anna. — Se la Military Intelligence mi prende, dirò tutto quello che so.

— Un vero peccato che lei non sia un uomo — ha detto la vecchia signora dopo aver udito la risposta. — Avrebbe potuto esserci un incidente.

— Ma non a una donna, madre — ha detto Ettin Sai.

— Non ho ancora perso l’intelletto. Conosco il giusto comportamento.

Ettin Per ha detto: — Dobbiamo essere certe che per il momento lei rimanga qui. Se collaborerà, penso che si potrà fare. Insisteremo perché i negoziati vadano avanti con lei.

— Per quanto tempo? — ha domandato Anna.

— Non lo sappiamo — ha risposto Per. — Ma ricordi che la situazione è pericolosa. Se non collaborerà, quasi certamente Nicky morirà. Ettin Gwarha sarà costretto a farsi indietro e l’umanità dovrà trattare con il figlio dei Lugala e la sua repellente madre. Se subentreranno nei negoziati, ci sarà una guerra. Nicky le avrà detto che l’umanità non vincerà.

Ho tradotto.

— Nick? — ha detto Anna.

— Come può chiedermi di commentare? Sono in mezzo a tutto questo e sto avendo qualche problema a essere obiettivo.

Anna è rimasta in attesa.

Il generale ha detto: — Le cose potrebbero non essere così cattive come mia zia suggerisce, ma non penso che saranno neppure positive se sarò screditato, e lo sarò se questa storia salta fuori.

Gwarha ha sempre un chiaro senso della sua importanza.

— Stiamo chiedendo un anno o due — ha detto Ettin Sai in inglese. — Pensiamo.

— E mi state chiedendo di mettermi con voi contro la mia specie — ha commentato Anna.

— Sì — ha detto Ettin Sai.

— Nicky ha quasi certamente ragione — è intervenuto il generale. — Se ci sarà una guerra, saremo costretti a decidere che voi non siete persone. Non avremo scelta. Non possiamo infrangere le regole se siete persone. Ma se le regole le infrangete voi, come sicuramente farete, allora noi saremo distrutti. Non semplicemente il perimetro; noi potremmo resistere; ma non il centro.

— Per sopravvivere, per salvare le nostre case, dovremo combattere come se fossimo… — È passato alla sua lingua e ha pronunciato una parola.

Ho tradotto. — Piccoli vermi. Cimici distruttive.

— Signora, glielo assicuro, vi distruggeremo — ha detto il generale. — Se saremo costretti.

— Qual è l’alternativa? — ha domandato Anna.

Le donne hanno cambiato posizione. Come Gwarha pronte a discutere di moralità, si sono messe più comode. Avevano in mano l’inizio di una trattativa.

— Deve essere risolto il problema di cosa sono gli umani — ha detto Ettin Per. — E non è un problema per uomini. Non hanno mai deciso chi è una persona e chi non lo è. Questo compito è sempre appartenuto alle donne. Siamo noi che esaminiamo i bambini appena nati e decidiamo se devono diventare individui veri. Siamo noi che esaminiamo quelli ammalati e decidiamo se è rimasto in loro un vero spirito. Abbiamo imparato come guardare oltre le apparenze. Questa è la nostra capacità, e non è una capacità da uomini. Gli uomini non possono decidere queste questioni.

Ettin Petali ha detto: — Porteremo il problema davanti al Weaving, lontano dal figlio di Lugala. Lasceremo che la donna di Lugala ci segua! Tratteremo con lei a casa.

— E porteremo con noi Nicky — ha detto Ettin Sai, in inglese.

— Che cosa? — ho detto io.

E il generale: — Perché?

Ha risposto Ettin Per. — Dobbiamo portarlo via dal perimetro e dagli altri umani. Tu lo capisci, Gwarha. E poi lui è il nostro primo esperto di umanità. Ovviamente, il Weaving vorrà consultarlo. Perciò verrà con noi, e lo terremo d’occhio noi, e nessuno ne sarà sorpreso.

— Volete che traduca questo? — ho chiesto.

— No — ha risposto Ettin Petali. Ha guardato il nipote. — Deve essere fatto. Se venisse deciso che è una persona… non faccio promesse, ma troveremo un modo per rimandarlo indietro.

— E in caso contrario? — ha chiesto Gwarha, con voce aspra.

— Non arriveremo a tanto — ha detto Per.

Probabilmente sarò abbattuto come un cane che ha sviluppato l’abitudine di mordere. Un gradevole pensiero.

— Che cosa succede? — ha domandato Anna.

— Una disputa familiare.

Il generale mi ha guardato. — Nicky…

— Ti viene in mente un’altra strada?

— No.

— Forse è quella migliore. Ti ho detto per anni che i frontisti stavano incasinando tutto. Forse le donne possono fare meglio.

— Certo che possiamo — ha detto la vecchia signora.

È intervenuta Per. — Chiedi alla donna di Perez se se ne starà tranquilla qui alla stazione, intanto che cerchiamo di riprenderci il controllo della situazione, a casa.

Ho tradotto.

— Lei che cosa pensa? — ha domandato Anna.

— Lo faccia.

— D’accordo. Ma se le cose si risolveranno per il meglio, voglio essere il primo umano dopo di lei sul pianeta natio hwarhath.

Non appena la vecchia signora ha sentito che c’è stato un accordo, si è appoggiata allo schienale ed è parsa diventare più piccola. A un tratto, era un fagotto di ossa coperto di pelo bianco. Lo splendido abito ricamato sembrava grottesco, adesso. Ha chiuso gli occhi e le figlie sono parse preoccupate.

— Madre? — ha detto Per.

— Vuoi fare un sonnellino? — ha domandato Aptsi.

— Mandate fuori queste persone… se sono persone. Ho fatto il massimo che ho potuto.

Ce ne siamo andati. Vaihar era ancora nel corridoio. Il generale lo ha congedato. Poi Gwarha e io abbiamo accompagnato Anna nelle sue stanze.

Lei si è fermata sulla porta e ha detto: — È stata una giornata spaventosa.

— Può ringraziare Nicholas — ha detto il generale.

— Parla l’inglese davvero molto bene — ha commentato lei. — Berrò qualcosa e poi farò un sonnellino come sua nonna, la quale probabilmente trita ossa per farne il suo pane.

— Fe-fi — ho detto io.

— Fo-fum — ha ribadito lei ed è entrata.

— Che cos’era? — ha domandato il generale.

— Una storia di bambini, e un modo per ricordarci a vicenda che siamo tutti e due umani.

Siamo tornati indietro, per la stazione. Gli ho parlato della favola di Jack e la pianta di fagiolo.

— Hah — ha detto lui, alla fine. — È interessante notare quanto siete simili a noi, tranne nelle cose in cui siete diversi. Questa storia è come le nostre storie di Furbino e Furbetta.

Siamo arrivati alle sue stanze.

— C’è una domanda che voglio farti, Primo Difensore, ma non voglio che senta qualcuno.

— Me la devi fare adesso?

— Quanto tempo abbiamo?

Gli occhi azzurri mi hanno scrutato, le pupille come sbarre. Il generale ha sospirato lievemente e ha appoggiato il palmo alla porta. — Entra.

Si è seduto sul divano. Mi sono trovato una confortevole porzione di muro per appoggiarmi e da dove poter osservare la sua espressione.

— Fuori la domanda.

— Non mi risulta che tu abbia mai fatto qualcosa di disonorevole fino a ora. Hai infranto una promessa fatta a me e hai infranto una delle regole della guerra. Vorrei sapere perché.

— È ovvio. Ho pensato che mi avresti tradito. — Il generale ha fatto una pausa, poi ha aggiunto: — E avresti tradito il Popolo.

— Perché hai pensato questo?

— Ha qualche importanza? Avevo ragione.

Ho aspettato. Lui ha abbassato lo sguardo.

— È come se ti mettessi un segno addosso quando ti vergogni o sei imbarazzato. Gwarha.

Lui ha alzato la testa e mi ha guardato. — Continuavo a domandarmi di te e di Anna. Lei non è una tua parente. Questa storia dell’affinità familiare tra il Kansas e l’Illinois è una bugia.

A quel punto è caduta la moneta e ho capito che cosa stava pensando. — Stupido stronzo.

— Continuavo a ricordare a me stesso che eravate umani. — La sua voce era lamentosa.

— Che cosa cercavi quando hai fatto mettere i microfoni nelle nostre stanze? Una prova del tradimento? O la prova che mi infilassi nel letto di Anna?

Lui ha fissato la moquette.


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