— Sciocco, non c’è essere umano che io trovi sessualmente interessante. Siedo nella stanza delle riunioni e guardo gli umani e penso: "Dovrei trovare attraenti questi tipi". Ma non è così. Riesco anche a ricordare che gli umani un tempo mi sembravano bellissimi. Non più. Non in confronto a te e a Vaihar e al povero Matsehar. Ma sono la mia gente, e Anna è mia amica, e io sono troppo arrabbiato per continuare questa conversazione.

Sono andato alla porta. Lui è rimasto sul divano, le spalle curve, la testa bassa, silenzioso.

Ho camminato. Il mio abituale percorso, lontano dalla parte abitata della stazione.

Ho detto ad Anna che la stazione è in gran parte vuota: un guscio. È parzialmente vero, ma una rete di corridoi copre la superficie più interna del cilindro.

Alcuni lo percorrono in tutta la sua lunghezza. Li preferisco quando mi sento intrappolato. Posso guardare davanti e vedere file di luci che si perdono in lontananza.

Altri girano attorno allo spazio centrale, in teoria vuoto. Non mi piacciono. La curva del pavimento e del soffitto è troppo visibile, e non ci sono lunghi campi visivi.

È possibile che quei corridoi siano rimasti così fin dalla costruzione. Sono di solito vuoti e sempre freddi. Ma perché sono tutti pressurizzati? E perché così tante porte con gli emblemi della sicurezza?

So che non risponderai a queste domande, Gwarha. Con ogni probabilità, me ne sarò andato dalla stazione quando leggerai questo. Ti dirò la mia teoria.

Le porte conducono a boccaporti e oltre quelli deve esserci qualcuna delle spiacevoli sorprese del Progrediente Shen Walha. Di che genere, non saprei. Forse una nave da guerra interstellare di classe luat con tutto il suo equipaggio di esploratori e scavatori. Quando percorro i corridoi, mi immagino di fluttuare al centro di una stazione destinata alla diplomazia: immensa, tozza e di orribile aspetto, con i suoi piccoli esploratori come tanti lupetti.

Gli scavatori sono (quasi certamente) in cima: piatti e a forma di lama, come scaglie che coprano l’ampio dorso luat.

Questo mi immagino, Gwarha: una madre-mostro corazzata, come quella della storia di Tsai Ama Ul. Se gli eventi dovessero prendere una brutta piega, potrà essere usata per evacuare le donne o per distruggere la nave umana.

Forse mi sbaglio. Forse non c’è nulla oltre quelle porte. Mi hai detto spesso che ho troppa immaginazione.

Ho camminato per qualche tempo, arrabbiato, e non starò a dirti con quali pensieri: pensieri che provengono dalla collera e dall’autodifesa. Sono arrivato in un’area dove i tubi del soffitto erano bui; soltanto le piccole luci a livello del pavimento erano accese. Mi sono fermato a un incrocio. Un corridoio correva dritto in entrambe le direzioni. L’altro curvava leggermente verso l’alto. L’aria era perfino più fredda del solito e odorava dei prodotti chimici usati per deporre la moquette.

Ho cominciato a fare una serie di esercizi hanatsin: lentamente, concentrandomi sull’esatto movimento di ciascuno. Mi è servito. Sono passato a una seconda serie, perfino più lenta, e poi a una terza che comprende posizioni di mantenimento. È a questo punto che solitamente arrivo al giusto ritmo di respirazione.

Nella terza serie, le irritazioni minori svaniscono. Nella quarta, non si è più consapevoli nemmeno di se stessi. Alla fine della quinta, si raggiunge la giusta condizione di riposo. Il praticante non si muove più. È vuoto, aperto, quiescente, pronto e chulmar, una parola che non sono mai stato capace di tradurre appropriatamente. Usata nella conversazione ordinaria, significa pio, o in possesso di ottimo senso dell’umorismo. In hanatsin proprio non so.

Ho raggiunto la fine della quinta serie e sono rimasto lì per un po’, poi mi sono riavuto. I corridoi non erano cambiati e io avevo freddo. Mi sono guardato attorno e ho scoperto le telecamere che controllano l’incrocio: due, alte e quasi nascoste nell’ombra. Doveva probabilmente esserci qualcuno in qualche posto della sicurezza davanti agli schermi a domandarsi che cosa stesse facendo questa volta Sanders Nicholas. Se voleva praticare hanatsin, perché non andava in una palestra hanatsin?

Un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto, come soleva dirmi mio padre a proposito del suo capanno per gli attrezzi e della sua biblioteca.

Quando sono tornato nelle mie stanze, c’era la luce ambrata accanto alla porta che dava negli alloggi di Gwarha. La porta non era chiusa. Voleva che andassi. Non ero più arrabbiato ma ero stanco e rimaneva ancora in me un po’ dell’umore creato dagli esercizi hanatsin. Non volevo perderlo ascoltando accuse o spiegazioni di Gwarha. Ho fatto una doccia e sono andato a letto.

La mattina dopo ho trovato un messaggio sul mio computer: da Gwarha e nella lingua principale hwarhath, molto formale, cortese.

Gwarha avrebbe preferito che non avessi alcun genere di contatto con gli umani.

Avrebbe preferito che non accedessi a file che richiedessero una chiave d’ingresso, tranne i miei file personali, naturalmente.

Avrebbe preferito che non andassi nel mio ufficio.

Non c’erano stati cambiamenti nel mio status, spiegava, con cautela. Avevo ancora il mio grado nella sicurezza. Non aveva dato ordini diversi. (Né avrebbe potuto se volevamo tenere segreto ciò che era accaduto.) Ma, come favore personale, potevo dedicare la giornata a qualcosa di assolutamente innocuo?

Certamente, ho detto, al computer.

Sapeva che mi piace camminare nelle sezioni vuote della stazione, e sapeva quanto il camminare fosse importante per me. Ma, sempre come favore personale, potevo limitare le mie escursioni alle parti correntemente in uso?

E mi sarebbe stato grato se lo avessi raggiunto nei suoi alloggi, verso sera.

Certamente.

Ho trascorso la giornata al mio diario, cercando di scrivere tutto prima di dimenticarmene e prima che l’informazione avesse subito dei cambiamenti, come sempre pare che accada. Ci sono problemi con il cervello umano come unità di archivio dati.

In seguito posso rabberciare, cambiare le parole, farle suonare meglio. Anche se è pericoloso: la realtà diventa arte.

La luce accanto alla porta di Gwarha è appena diventata ambrata. Lui è a casa e aspetta che vada a trovarlo. Molto probabilmente ha tirato fuori un boccale di halin ed è seduto sul divano con una coppa in mano e il boccale davanti a lui, ferito e dispiaciuto per se stesso. Il piccolo stronzo. Come ha potuto spiarmi?

Perché ho tradito lui e il Popolo? Tutto quello che posso vedere in questo momento è che sono stato uno stupido.

E chi di noi ha tradito di più? Chi ha ferito di più?

Non che importi. Penso che le donne di Ettin presto mi porteranno via di qui. Se Gwarha e io vogliamo fare pace, dev’essere adesso. Forse la Divinità sarà gentile con noi e avremo tempo anche dopo per discutere e recriminare: tempo per centinaia di visioni e revisioni. Ma al momento voglio pace.

Per una qualche ragione, sto pensando agli animali di Anna: le meduse giganti, prese da paura e lussuria, che segnalano disperatamente le loro buone intenzioni mentre velenosi tentacoli fluttuano attorno a loro.

Sono io. Non voglio fare alcun male. Fammi avvicinare. Lasciami toccarti. Scambiamoci quello che passa per amore.

Finisco la frase, spengo il computer e mi alzo per andare alla porta.

Dal diario di Sanders Nicholas,

addetto alle informazioni presso lo staff

del Primo Difensore Ettin Gwarha

CODIFICATO PER LA SOLA VISIONE DI ETTIN GWARHA


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