Fantozzi ritornò a Pec e andò a ballare in una birreria. Conobbe molta gente nuova. C'era anche un certo Virremann di Vienna. Lo trovò molto simpatico e gli venne una grande idea: gli disse che volendo poteva accompagnarlo dal suo sarto il prossimo venerdì. Lui sulle prime disse che non se la sentiva e che aveva dei timori, poi accettò serenamente. Ma dopo la prova era diventato tristissimo. La mattina dopo Fantozzi lasciò di nascosto Pec, che odorava di mandorli in fiore. Alle porte della città incrociò il calesse di Virremann che saliva al castello.
FANTOZZI E IL CAMPEGGIO
Fantozzi per sfuggire alle tagliole dell'organizzazione ha pensato di vivere una libera vacanza in campeggio a contatto con la natura, lontano da alberghi e itinerari consigliati. Si è comperato allora una tenda.
Mai una decisione fu più tragica.
Dopo una settimana di “allenamento” nel giardino del collega Fracchia i due, sentendosi ormai maturi per un campeggio regolare, partirono. Nel sedile posteriore dell'utilitaria di Fantozzi la tenda era un pacchettino piccolo e meraviglioso. I due la guardavano con orgoglio e quando pensavano ai poveretti che sarebbero caduti nella trappola di un “giro organizzato alberghi compresi” ridevano forte, nonostante la pioggia implacabile delle loro due “nuvole da impiegati” che batteva sui vetri della macchina. Incrociarono molte corriere di impiegati inseguite da temporali isolati e anche potenti cilindrate di megapresidenti che volavano in riquadri di sole. Fantozzi per un sorpasso in curva fu frustato in un autogrill da due agenti della stradale, di fronte a una folla spaventata. A causa di questo umiliante contrattempo, i due arrivarono a un camping pieno di turisti tedeschi a notte fonda.
Aprirono il pacchettino e cominciarono fischiettando i lavori. Furono severamente ammoniti dal guardiano che fece loro presente che il sonno degli altri campeggiatori andava rispettato. Si sentiva solo il picchiettio del martello di Fracchia che piantava i pioli reggitenda. Era un rumore metallico e ritmico che nei campeggi era tollerato. Tinn… tinn… faceva il martello e i due si sentivano inseriti nel novero dei campeggiatori professionisti.
Tup! fece il martello centrando il pollice di Fantozzi che reggeva i pioli mentre Fracchia maneggiava abilmente il martello. Fantozzi si ricordò che non erano ammessi rumori e si avventò per un chilometro nella boscaglia e solo quando fu fuori portata di voce squarciò la notte con un ululato preistorico. Tornò dopo mezz'ora con un pollice da “marina” e sussurrò a Fracchia: “Stia attento, porca miseria, mi ha smontato la mano”. E nel buio gli offrì una sigaretta per fargli intendere che non gli serbava rancore.
“Tenga” bisbigliò.
Fracchia pensò che gli passasse un altro piolo da piantare e lo centrò con un'altra tremenda martellata sulle nocche. Fantozzi si avventò nuovamente nella boscaglia. Tornò all'alba e alzarono la tenda. Dormirono male nei lettini da campeggio, ì quali hanno la sinistra caratteristica, durante la notte, di stringersi e accorciarsi, stringersi e accorciarsi fino a diventare delle sottili listarelle nelle quali si devono compiere miracoli di equilibrio. Alle otto del mattino la tenda lentamente si afflosciò. I nostri si dibatterono per 20 minuti sotto gli occhi esterrefatti degli abilissimi campeggiatori tedeschi, come Laocoonte i figli e i serpenti nel groviglio della tenda, poi cominciarono a gridare “Aiuto… aiutooo…”; i tedeschi li salvarono da sicura morte per asfissia.
La sera dopo la tenda si afflosciò alle due di notte e cominciarono subito a gridare.
Nel montare la tenda Fracchia aveva anche centrato Fantozzi nella nuca scambiandolo per un piolo.
La terza sera dormirono in un albergo con un gruppo che faceva un itinerario consigliato. Senza consultarsi decisero allora di tornare. La tenda occupava ora tutto l'abitacolo dell'utilitaria e Fracchia fece il viaggio di ritorno legato al tetto con le valigie. Fantozzi era distrutto e guidava a fatica. In autostrada ebbe degli incubi orrendi perché la tenda continuava a crescere fino a soffocarlo e ogni tanto urlava “Aiuto!”. Quando fu immerso nella tenda cominciò a guidare col radar: vale a dire Fracchia dal tetto gli indicava le curve con dei gridolini sinistri. Sotto casa di Fracchia fecero un frontale contro un palo della luce. Fantozzi uscì dai rottami col volante in mano, era l'unica parte dell'utilitaria, che aveva appena finito di pagare, sopravvissuta. Si avvicinò al palo e gli domandò tragicamente: “Scusi, è assicurato lei?”.
FANTOZZI E LA GITA IN BARCA
Da tempo circola la convinzione che, dato il sovraffollamento delle spiagge, “solo se hai la barca” si possono spendere delle valide vacanze al mare. Questa diceria, un tempo esclusivamente dominio delle classi abbienti, sta guadagnando terreno anche negli strati impiegatizi. Va da sé che per “barca” gli impiegati intendono una barca a remi che certuni osano (dico osano dati i tragici stipendi) attrezzare con ansimanti motorini, mentre nelle classi alte chiamano “barca” anche la Forrestal!
Fantozzi ha osato, firmando nove chili di cambiali che lo perseguiteranno fino al marzo del 1979, comperare una barchetta con motorino.
Per lunghi mesi aveva turbato i sonni dei colleghi d'ufficio dicendo che avrebbe fatto il gran passo e descrivendo il tipo di barca, la potenza del motore e come, dove e perché l'avrebbe usata.
Fantozzi andò finalmente con la “sua signora” dai capelli color topo a ritirare la barca un sabato mattina di giugno. Aveva sopra la testa la sua “nuvola da impiegato” che gli scaricava in nuca il suo abituale quadrato di grandine. Tutto intorno sole splendente e una temperatura africana: nel quadrato c'erano due gradi sotto zero.
Ritirò, dopo averla minuziosamente passata tutta a pollice per difendersi da eventuali sorprese, la “sua” Forrestal. Era una lancetta di tre metri con un motore maligno di tre cavalli. Al traino della sua fida utilitaria se la portò al circolo nautico.
Dopo due ore, con il collega Fracchia, le due “signore mogli” e i quattro figli (una di Fantozzi e rimanenza Fracchia) uscivano fuori dal molo: le “nuvole” li accompagnavano implacabili.
Si erano attrezzati da ammiragli. Fracchia sembrava il grande ammiraglio Rader: non aveva le medaglie e gli alamari però aveva il berretto, il binocolo d'alto mare e guanti neri. Fantozzi, che forse aveva esagerato, sembrava Nelson a Trafalgar: feluca, sciabola e tanto era entrato in parte che sembrava senza un braccio. Solo più tardi si capì che il tutto era dovuto alle misure un po' abbondanti del giubbotto da marina.
Doppiando il molo Fantozzi guardò col binocolo alcuni dopolavoristi che soffrivano stoicamente nei loro quadrati di grandine, li salutò principescamente col braccio: nessuno rispose! Allora il motorino fece ciuf… ciuf… un paio di volte e si fermò. Fece ancora una finta: un altro ciuf isolato che accese di speranza il volto dell'ammiraglio Nelson, poi si bloccò decisamente.
I dopolavoristi guardavano ora incuriositi la scena. l'ammiraglio Nelson disse alla moglie: “Pina spostati!”; tirò violentemente la cordicella e centrò col gomito in pieno naso l'ammiraglio Rader che volò fuori bordo. I dopolavoristi cominciarono a far arrivare delle risate tristi. L'ammiraglio Nelson cominciava a diventare cianotico.
Alla mezz'ora gli rimase in mano la cordicella d'avviamento e sparò un bestemmione pauroso. I dopolavoristi si ammutolirono.
Alla terza ora Nelson e Rader cominciarono a smontare il motore: volevano “vedere” dov'era il guasto.
Alla quinta ora erano distrutti, unti di catrame e grasso fino alle orecchie.
Alla sesta ora Fantozzi decise di staccare il motore: svitò la prima vite-farfalla… la seconda… sfilò il motore dai cardini e disse a Fracchia: “Mi dia una mano… non stia lì impala…”. Non finì la frase, un movimento impercettibile della barca gli fece perdere l'equilibrio e volò in mare scomparendo col motore. Quando riemerse, Fracchia gli domandò: “Lo tiene sempre ben stretto?”. Sentito quello che Fantozzi disse in quest'occasione, i dopolavoristi lasciarono precipitosamente la posizione con la loro nuvola facendosi il segno della croce.