Quando riprese conoscenza era disteso supino, sulla schiena di Valiha. Gli faceva male la mascella. Cercò di rizzarsi a sedere, ma non ne fu capace. Era legato al dorso di Valiha, e gli avevano legato anche i polsi.

— Sto meglio — annunciò al cielo. Valiha girò il torso e lo guardò dall’alto.

— Dice che sta meglio — annunciò agli altri. Chris sentì una variazione nel ritmo degli zoccoli. Presto Robin e Gaby si affiancarono per osservarlo.

— Mi piacerebbe trovare un modo non pericoloso per controllare se è vero — disse Gaby. — L’ultima volta che ti abbiamo lasciato libero, sei volato addosso a Robin. Sei stato una grande spina.

— Ricordo — disse Chris, senza nessun tono particolare.

— Perché non chiudi la bocca? — fece Robin, guardando Gaby con occhi di fiamma. Gaby la fissò, sorpresa, e poi annuì.

— Se ti senti in grado di occupartene, io mi ritiro.

— Allora, vattene. Me ne prendo io la responsabilità. — Gaby si allontanò, e Robin disse a Valiha di fermarsi per darle modo di liberare Chris. Lui si mise a sedere, strofinandosi i polsi e massaggiandosi la mascella. Si era trattato di un attacco breve, e di leggera intensità. Comunque, aveva avuto il tempo di insultare la delegazione di Crio, di cercare di dare un pugno a Cirocco sotto gli occhi dei titanidi, e di fare proposte amorose a Robin dopo avere convinto tutti che la crisi gli fosse passata. Queste sue attività gli avevano guadagnato un occhio nero da parte di Cirocco e un calcio nelle balle e un pugno sui denti da parte di Robin. A quanto pareva, la sua miracolosa fortuna non funzionava nei riguardi di Maghe e di streghe. Cercò una posizione più comoda sulla schiena di Valiha, e sentì nuovi dolori.

— Ascolta — disse a Robin. — Le uniche parole che mi vengono in mente sono che mi dispiace. E grazie per non avermi ucciso.

— Non c’è bisogno di scusarsi, e mi spiace di avere esagerato nel colpirti. Ma vedo che ti sei ripreso; del resto, mi eri saltato addosso. Comunque, adesso so come deve essere lo stupro.

Chris rabbrividì; e pensare che aveva creduto di poter andare d’accordo con quella ragazza… Si sentì di nuovo prendere dalla depressione.

— Ho detto qualche cosa che non andava? — domandò. Fissò Robin, chiedendosi se scherzasse, ma vide che era realmente preoccupata.

— Io… forse capisco — rispose lei. — Devi credermi, quando ti dico che non pensavo che un uomo potesse vergognarsi dell’accusa di stupro. Vedo che ti dispiace, ma non devi dispiacertene. Non ti ritengo responsabile. Intendo dire che adesso capisco perché tradizionalmente le mie sorelle ne hanno tanta paura. È stato spaventoso anche se non è successo niente. Anche se sapevo che non potevi farmi gravi danni. Se questi discorsi ti danno fastidio, dimmelo; io starò zitta.

— No, continua pure — disse lui. — La scorsa volta ti ho ingannato. Come puoi essere certa che non ti inganni anche questa volta?

— È Gaby, quella che hai ingannato — rispose Robin. — Io ti avrei lasciato legato. E non so come faccio a saperlo. Ma lo so.

— Come sapevi che non ti avrei fatto male… — trovò difficile dirlo, ma si costrinse a continuare — più del normale dolore dello stupro, intendo dire. Come sai che non ti avrei battuto, mutilato, o ucciso?

— Perché, avevo torto?

— No. No, io faccio cose terribili, ma non ho mai ucciso nessuno. Posso dare dei pugni, ma unicamente per togliere di mezzo qualcuno che mi dà fastidio. E dopo averlo colpito, me ne dimentico completamente. Ho molestato delle donne. Una volta, ne ho perfino violentata una. Ma si trattava soltanto… almeno, è così che mi hanno detto… di semplici impulsi sessuali non più sottoposti al controllo della coscienza sociale. Ma, anche nei momenti peggiori, non ho mai avuto rabbie omicide e non ho mai ricavato piacere facendo male alle persone. Con questo, però, sono capace di ferire le persone che mi vogliono fermare.

— Avevo anch’io l’impressione che si trattasse di qualcosa di simile.

Ma Chris doveva ancora dire una cosa, ed era la più difficile di tutte.

— Mi è venuto in mente — disse — che se entrambi fossimo colpiti nello stesso tempo… e nella circostanza, poco probabile, suppongo, che non ci fosse nessuno a proteggerti o a fermarmi… io potrei… senza volerlo, ma non sarei capace di frenarmi… — Non riuscì a terminare.

— Ci ho pensato anch’io — disse lei, con indifferenza. — Non appena ho saputo qual era il tuo problema, ho capito che c’era questa possibilità. Ho deciso di correre il rischio, altrimenti non sarei qui. Come dici tu, è un evento poco probabile. — Tese la mano e gli sfiorò il braccio. — Vorrei farti capire che non ti ritengo responsabile. Non tu. Riesco ancora a fare la distinzione.

Chris la guardò a lungo, e infine sentì che parte della sua oppressione svaniva. Azzardò un timido sorriso, e lei glielo restituì.

Ancora una volta, la loro destinazione era costituita dal cavo verticale centrale. Su Crio, si trovava a trentacinque chilometri a nord di Ofione.

Con notevole sorpresa di tutti, quando giunsero al cavo, Cirocco li invitò ad accompagnarla. Presto o tardi erano destinati a notare che la spedizione si fermava sempre nel centro di qualche regione, e non c’era bisogno di nascondere a nessuno la visita a Crio.

I titanidi preferirono non accompagnare Cirocco. La sola idea li innervosiva. Rimasero ai limiti dell’ombra del cavo, mentre Cirocco conduceva i tre umani nella foresta di colonne titaniche, nella zona dove i singoli fili, prima di avvolgersi tra loro, emergevano dal terreno. In quello che doveva essere il centro c’era un edificio che conteneva una scala in discesa. L’edificio era trasparente, e assomigliava a una cattedrale, ma era assai meno imponente dei monumenti che si trovavano nel mozzo.

La scala scendeva a elica, attorno a quello che doveva essere il filo centrale del cavo. Il corridoio era largo a sufficienza per ospitare venti persone poste l’una a fianco dell’altra, ed era alto cinquanta metri. Non ebbero bisogno di lanterne, perché erano appese al soffitto creature volanti che emettevano una luce rossastra.

Chris aveva pensato che Cirocco scherzasse, quando aveva detto che le scale scendevano per cinque chilometri, ma risultò che era la verità. Anche a una gravità pari a un quarto di quella terrestre, non si scendono tanti scalini senza fermarsi a riposare. Ma alla fine, anche quella scala ebbe fine, e Chris si accorse di essere in una forma migliore del previsto. A parte un indolenzimento ai polpacci, si sentiva perfettamente a posto.

Giunsero in una caverna assai meno imponente di quello che Chris aveva previsto. Quello era Crio, dopotutto, e anche se era solo un dio subordinato, Chris ricordava quanto fosse maestosa e bizzarra la residenza di Gea.

Crio era un dio sotterraneo, un troglodita che non aveva mai visto la luce del giorno. Il suo regno puzzava di acidi e dei rifiuti di un miliardo di creature, e pulsava del battito di cuori sotterranei. Era un dio lavoratore, un meccanico al servizio di Gea, un dio che lavorava in mezzo all’olio lubrificante e che teneva in funzione gli apparecchi.

Giunsero a una sala con un largo pavimento orizzontale, al cui centro era contenuta una struttura cristallina simile a una clessidra, che giungeva al soffitto. La caverna aveva un diametro di 200 metri, e c’erano due corridoi che portavano a est e a ovest.

Ma la misteriosa struttura contenuta nel centro era chiaramente la parte importante. A Chris fece venire in mente l’industria pesante, anche se non avrebbe saputo spiegare perché. In una forma come quella, poteva avvenire la fusione dei metalli, o la trasformazione dell’elettricità. Si chiese se Crio vivesse all’interno, e si domandò se il cervello potesse essere così piccolo. O forse era soltanto la parte più alta di una struttura assai più grande? Attorno a essa c’era un fossato circolare che era largo venti metri, e la cui profondità era indeterminata.


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