— Lo ammetto — convenne Tigrotto. Non guardò più dalla mia parte, e la conversazione passò ad altri temi, quelli delle eterne, irrisolvibili controversie che hanno impegnato per secoli i filosofi di entrambe le parti, certo troppo in alto per due maghi un po' annoiati, uno della Luce e uno delle Tenebre. Capii che Tigrotto mi aveva già comunicato tutto quello che dovevo sapere.

O forse tutto quello che riteneva possibile dire.

Presi il boccale di birra che la donna mi aveva messo davanti. Lo bevvi a sorsi misurati, ma profondi. Avevo davvero sete.

La caccia era una finta?

Sì. Anche questo lo avevo già capito da un po'. L'importante era scoprire se anche i nostri lo avevano capito.

Il Selvaggio non era ancora stato preso?

Naturalmente. Altrimenti si sarebbero già messi in contatto con me. Per telefono o mentalmente, per il Capo non era certo un problema. L'assassino sarebbe stato consegnato al Tribunale, Svetlana non si sarebbe lacerata tra il desiderio di aiutarmi e la necessità di non immischiarsi nella lotta, e io avrei potuto ridere in faccia a Zavulon.

Ma come, come si fa a trovare in un'immensa città un umano i cui poteri si manifestano spontaneamente? Divampano e poi si spengono. Da un omicidio all'altro, da un'inutile vittoria sul Male all'altra. Se davvero le Tenebre lo avevano identificato era un segreto riservato al livello più alto della gerarchia.

E non certo alla portata dei maghi che mi circondavano, impegnati in un gioco molto futile.

Mi guardai intorno con un senso di disgusto.

Non c'era niente di serio!

L'agente che avevo eliminato con tanta facilità. Il mago di terzo grado che punzecchiava divertito la nostra osservatrice senza mai guardarsi intorno. Quei ragazzotti ai terminali che gridavano con entusiasmo: — Cvetnoj Boulevard… verificato!

— Poležaevskaja… sotto controllo!

Sì, era un quartier generale. Ma assurdo e sgangherato come i maghi inesperti che avevano cercato di catturarmi prima, in città. Certo, la rete era stata lanciata, ma nessuno si era preoccupato della quantità di buchi che aveva. Più mi agitavo per sfuggirle, più mi dibattevo, meglio era per le Tenebre. In linea generale, naturalmente. Svetlana non avrebbe resistito. Avrebbe perso il controllo. E avrebbe cercato di aiutarmi, sentendo nascere in sé la forza autentica. Nessuno dei nostri sarebbe riuscito ad arginarla. E avrebbero eliminato anche lei.

— Volgogradskij Prospekt.

Ma se avrei potuto sgozzarli tutti, o sparargli, anche adesso! Tutti, fino all'ultimo! Erano gli scarti delle Tenebre, i falliti, quelli che non avevano più futuro, o che avevano troppi difetti. Per le Tenebre non erano solo un peso morto, ma molto peggio, perché disturbavano le loro attività ed erano sempre in mezzo ai piedi. La Guardia del Giorno non è un ospizio, a differenza della Guardia della Notte. che certe volte lo ricorda un po'. La Guardia del Giorno si libera degli elementi superflui, e per di più generalmente per il nostro intervento. Guadagnandosi così una posizione di vantaggio, grazie al conseguente diritto a iniziative volte a ristabilire l'equilibrio.

Anche quella figura spettrale che mi aveva indicato la torre di Ostankino era una creatura delle Tenebre. Una cautela quasi eccessiva, nel caso non avessi capito dove dovevo recarmi.

Mentre le vere azioni vengono coordinate dal solo e unico Altro.

Zavulon.

Che non nutre nessun risentimento nei miei confronti, naturalmente. Che senso avrebbero emozioni così complesse e pericolose in un esercito serio? Lui i maghi come me li mangia a colazione, li prende dalla scacchiera e li sostituisce con le sue pedine.

Quando deciderà che la partita è finita, che si può allestire il gran finale?

— Non avrebbe da accendere? — chiesi, posando il boccale e afferrando un pacchetto di sigarette abbandonato sul banco. Evidentemente l'aveva dimenticato lì qualcuno, forse un cliente del ristorante fuggito in stato di incoscienza, o forse un mago delle Tenebre.

Gli occhi di Tigrotto avevano un luccichio forzato, evidentemente era tesa. Capii che stava per assumere l'aspetto da combattimento. Probabilmente anche lei aveva valutato le forze dell'avversario e aveva capito di avere buone probabilità di vittoria.

Ma non ce ne fu bisogno.

Il mago delle Tenebre, il vecchio mago di terzo livello, mi tese distrattamente un accendino. Il Ronson scattò melodiosamente, liberando la sua lingua fiammeggiante e il mago continuò: — Tutte le accuse che continuamente muovete alle Tenebre — di fare il doppio gioco, di essere perfidi, di essere dei provocatori — hanno un unico scopo: mascherare la vostra mancanza di forza vitale. La vostra incapacità di capire il mondo e le sue leggi. Di capire gli uomini, alla fin fine! Dovreste almeno riconoscere che la prognosi formulata dalle Tenebre è molto più precisa, e che il rispetto delle inclinazioni naturali dell'animo umano lo conducono dalla nostra parte. Ma a questo punto cosa resterebbe della vostra morale? Della vostra filosofia dell'esistenza? Eh?

Io accesi, lo ringraziai con un cenno e mi avviai verso la scala. Tigrotto mi seguì con gli occhi, con aria smarrita. Be', cerca un po' di capire da sola perché me ne vado.

Tutto quello che potevo scoprire in quel luogo, l'avevo già scoperto.

O meglio, quasi tutto.

Mi chinai su un occhialuto dai capelli corti, immerso nel suo notebook, e gli chiesi in tono sbrigativo: — Quali sono le zone che chiudiamo per ultime?

— L'Orto Botanico e l'Esposizione Permanente — mi rispose senza sollevare gli occhi.

Il cursore scivolava sullo schermo. Il mago delle Tenebre impartiva ordini e muoveva sulla carta di Mosca i puntini scarlatti, inebriandosi del suo piccolo potere. Distoglierlo da quel processo sembrava più arduo che non allontanarlo dalla fanciulla amata.

Perché anche loro sono capaci di amore.

— Grazie — gli dissi, e lasciai cadere la sigaretta ancora accesa in un portacenere stracolmo. — Mi sei stato di grande aiuto.

— Cavolate. — L'operatore agitò una mano senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Spingendo in fuori la punta della lingua, fissò sulla carta l'ennesimo punto rosso: un altro agente delle Tenebre chiamato a eseguire il rastrellamento. "Ma di cosa ti vanti, stupidotto. quelli che contano davvero sulla tua carta non compariranno mai. Faresti meglio a giocare a soldatini, il gusto del potere lo assapori anche con quelli.'"

Scivolai giù per la scala a chiocciola. La furia che mi aveva condotto lì — pronto a uccidere e anche a essere ucciso — era svanita. Probabilmente è la stessa cosa che accade ai soldati, quando, nel bel mezzo della battaglia, provano un senso di calma assoluta. O al chirurgo, a cui le mani smettono di tremare quando il malato sotto i ferri comincia a morire.

Che varianti hai previsto. Zavulon?

Che cominci a dibattermi nella rete del tuo rastrellamento e che ai miei disperati tentativi accorrano tutti, Forze della Luce e Forze delle Tenebre, e soprattutto Svetlana?

Evitato.

Che mi arrenda o sia catturato, e cominci un processo lento, lungo, estenuante, coronato da uno scatto folle di Svetlana nell'aula del Tribunale?

Evitato.

Che cominci una lotta con tutto il quartier generale operativo dei maghi falliti e li sconfigga, ma mi ritrovi in trappola a trecento metri di altezza, e Svetlana corra alla torre per salvarmi?

Evitato.

Che passi per il quartier generale, capisca che qui del Selvaggio nessuno sa niente e cerchi di prendere tempo?

Possibile.

L'anello si sta stringendo, lo so. Si è già chiuso sulla linea di confine, intorno alla periferia di Mosca, poi è venuta la divisione della città in zone, e l'isolamento delle grandi arterie. Adesso ci sarebbe ancora il tempo di fuggire nelle immediate vicinanze, non ancora prese di mira, trovare un rifugio e provare a nascondersi; quello era stato in effetti l'unico consiglio che mi aveva dato il Capo: resistere, prendere tempo, finché i Guardiani della Notte non avessero trovato il Selvaggio.


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