Dietro la facile ed eccessiva retorica, c’erano sofferenza autentica, vera passione. Da ambo le parti. Sutty lo sapeva. Era figlia della violenza, come aveva detto Tong Ov. Eppure stentava a tenere presente un particolare amaro e ironico: lì avveniva l’esatto contrario della situazione che aveva conosciuto lei, il negativo; lì, i credenti non erano i persecutori ma i perseguitati.

Ma erano tutti veri credenti, da entrambe le parti. Terroristi laici o terroristi santi… che differenza c’era?

L’unica cosa che le era parsa insolita nell’incessante propaganda dei Ministeri dell’Informazione e della Poesia era che gli eroi delle storie esemplari in genere agissero in coppia… un fratello e una sorella o una coppia di fidanzati o di sposi. Se si trattava di una coppia con un legame sessuale, l’unione era sempre eterosessuale. Il governo akano nutriva un odio ossessivo per la devianza. Tong l’aveva avvertita subito quando era giunta su Aka: «Dobbiamo adeguarci. Non sono ammesse obiezioni, discussioni. Tutto quello che può essere visto e denunciato come un’avance sessuale a una persona dello stesso sesso costituisce un reato gravissimo. Che fastidio, che tristezza! Questa povera gente!» E aveva sospirato per le sofferenze dei fanatici e dei puritani, per le sofferenze e le crudeltà.

Sutty non aveva bisogno di quell’avvertimento, dato che aveva pochissimi contatti con le persone come individui, ma naturalmente ne aveva tenuto conto, ed era stato un fattore della sua grande delusione iniziale, del suo sconforto. Le vecchie usanze e la vecchia lingua akana che aveva imparato sulla Terra l’avevano indotta a pensare che l’attendesse una società sessualmente aperta, priva o quasi di sessismo. La società del suo paese d’origine sulla Terra era ancora inibita da discriminazioni sociali e sessuali, aggravate dalla misoginia e dall’intolleranza degli Unisti. Sulla Terra, nessun posto era del tutto libero da tale macchia, nemmeno le Riserve. Tra l’altro, si era specializzata in Aka, aveva imparato quelle lingue, anche perché lei e Pao avevano letto nei rapporti dei Primi Osservatori che nella società akana non vigevano discriminazioni sessuali e che l’eterosessualità non era né obbligatoria né privilegiata. Però era cambiato tutto, dalle fondamenta, durante gli anni del suo viaggio dalla Terra ad Aka. Una volta arrivata, Sutty era stata costretta a tornare alla circospezione, alla cautela, alla repressione di se stessa. E al pericolo.

Ma allora, perché tutti cercavano così prontamente di reclutarla, di servirsi di lei? Non era certo il fiore all’occhiello di nessuno.

Le ragioni di Tong erano abbastanza evidenti: Tong aveva colto al volo l’occasione di inviare qualcuno da solo nell’entroterra, e aveva scelto lei perché conosceva la vecchia scrittura e la vecchia lingua e avrebbe capito cos’aveva scoperto quando l’avesse scoperto. Ma se avesse scoperto qualcosa, cos’avrebbe dovuto fare? Sarebbe stato materiale di contrabbando. Illegale. Sedizione contro l’Azienda. Tong le aveva detto che aveva fatto bene a cancellare i frammenti dei vecchi libri recuperati dalla trasmissione sabotata. Eppure, adesso voleva che lei registrasse materiale del genere?

Quanto al Controllore, be’, lui si stava divertendo a fare sfoggio della propria autorità. Doveva essere eccitante per un modesto tutore della correttezza culturale trovare un vero straniero, un autentico Osservatore dell’Ekumene, al quale dare ordini: "Non parlare con i parassiti della società… non lasciare la città senza la mia autorizzazione… fa’ rapporto al capo, cioè al sottoscritto".

E il Fecondatore? Sutty era convinta che il vecchio sapesse chi era, e che il suo dono non fosse un semplice gesto di cortesia nei confronti di una straniera, ma significasse qualcosa. Chissà cosa, però.

Data la sua ignoranza, se Sutty avesse permesso a qualcuno di loro di controllarla, avrebbe potuto fare del male. Se però avesse cercato di fare qualcosa di ardito e di decisivo da sola, il danno l’avrebbe causato quasi di sicuro. Doveva procedere passo passo, aspettare, osservare, imparare.

Tong le aveva dato una parola in codice da inserire in un messaggio in caso di guai: "devolvere". Ma Tong in realtà non si aspettava che potessero sorgere problemi. Gli akani amavano i loro ospiti stranieri, le mucche da cui mungevano il latte della tecnologia avanzata. Non avrebbero permesso che lei si cacciasse in qualche situazione pericolosa. Sutty non doveva lasciarsi paralizzare da una prudenza eccessiva.

L’avvertimento del Controllore a proposito degli indigeni brutali era soltanto una frottola per spaventarla. Okzat-Ozkat era un luogo sicuro dove vivere, sicuro in modo patetico. Era una povera cittadina di provincia, trascinata nella scia tumultuosa del progresso akano, ma abbastanza arretrata da conservare ancora resti sbrindellati del vecchio modo di vivere, dell’antica civiltà. Probabilmente l’Azienda aveva consentito a un extraplanetario di andare lì perché era un posto così fuori mano, una località sperduta, pittoresca e innocua. Tong ce l’aveva mandata seguendo un’intuizione, nella speranza di trovare, sotto la strepitosa, univoca, monolitica vicenda moderna di Aka, qualche traccia di quello che all’Ekumene interessava tanto: il carattere singolare di un popolo, il suo modo di essere, la sua storia. Lo Stato Azienda akano voleva dimenticare, nascondere, bandire, seppellire tutto ciò, e se lì Sutty avesse scoperto qualcosa l’Azienda non sarebbe stata contenta. Ma i giorni della gente schiacciata dalle macerie e bruciata viva erano finiti. O no? Il Controllore intimidiva e faceva il prepotente, ma cosa poteva fare?

Non molto, a lei. Parecchio, forse, a quelli che parlavano con lei.

"Sta’ ferma" si disse. "Ascolta. Ascolta quello che hanno da dire."

L’aria era secca a quell’altezza, fredda all’ombra, calda al sole. Si fermò in una tavola calda vicino al Magistero per comprare una bottiglia di succo di frutta e si sedette a bere a un tavolino all’aperto. Musica allegra, esortazioni, notizie sul raccolto, statistiche sulla produzione, programmi sanitari, diffusi in rutta la piazza dagli onnipresenti altoparlanti. In qualche modo, Sutty doveva imparare ad ascoltare in mezzo a quel rumore, cogliere quello che nascondeva, il significato nascosto.

Il suo significato era per caso la sua continuità? Gli akani avevano paura del silenzio?

Nessuno, attorno a lei, sembrava avere paura di nulla. Erano studenti, con le uniformi verdi e ruggine dell’Istruzione. Molti avevano gli zigomi prominenti e l’ossatura delicata dei vecchi del posto, ma erano lustri e floridi, sprizzavano giovinezza e sicurezza, chiacchieravano e gridavano intorno a lei senza vederla. Per loro, qualunque donna oltre la trentina era un’aliena.

Stavano mangiando il tipo di cibo che lei aveva mangiato nella capitale, roba trattata ad alto contenuto proteico, e bevevano akakafi, una bevanda calda locale ribattezzata con un nome semiterrestre. La marca di akakafi dell’Azienda si chiamava Stardrink ed era onnipresente. L’akakafi era agrodolce, nero, conteneva uno straordinario miscuglio di alcaloidi, stimolanti e sostanze depressive. Sutty ne detestava il sapore, le impastava la lingua, ma aveva imparato a ingoiarlo, dato che bere insieme l’akakafi era uno dei pochi rituali di rapporto sociale che gli abitanti di Dovza City si concedessero, e dunque molto importante per loro. «Un akakafi?» strillavano non appena uno arrivava in casa, in ufficio, a una riunione. Rifiutare era maleducazione, addirittura un affronto. Molte chiacchiere avevano come argomento l’akakafi: dove trovare quello migliore (non lo Stardrink, naturalmente), dov’era coltivato e trattato, come prepararlo. La gente si vantava del numero di tazze che ne beveva ogni giorno, come se una leggera dipendenza fosse, chissà perché, lodevole. Quei giovani ne bevevano litri.

Sutty li ascoltò attenta, sentì parlare di esami, premiazioni, vacanze. Nessuno parlava di corsi o di materie di studio, tranne due studenti vicini a lei che stavano discutendo su come insegnare ai bambini dell’asilo l’uso del gabinetto. Il ragazzo insisteva che il migliore incentivo era la vergogna. La ragazza replicò: «Meglio pulire e sorridere». Al che il ragazzo, seccato, attaccò con un predicozzo, tirando in ballo l’adattamento, gli obiettivi etici e il lassismo igienico.


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