«Un bell’uomo» disse la mamma, guardando da presso. «Cos’è? Un bianco?»

«Fin troppo» disse papà.

«Di dov’è?»

Ma nessuno lo sapeva. Islanda, Irlanda, Siberia… ognuno aveva una storia diversa. Dalzul aveva lasciato la Terra per studiare su Hain, su questo concordavano tutti. Aveva conseguito molto rapidamente la qualifica di Osservatore, poi di Mobile, quindi era stato rimandato a casa: il primo inviato terrestre sulla Terra.

«Se n’è andato più di un secolo fa» disse la mamma. «Prima che gli Unisti conquistassero l’Asia orientale e l’Europa. Quando non erano ancora tanto numerosi nemmeno nell’Asia occidentale. Deve trovarlo molto cambiato, il suo mondo.»

Un uomo fortunato, stava pensando Sutty. Oh, che uomo fortunato! Era andato via, era andato su Hain, aveva studiato alla Scuola di Ve, era stato in luoghi dove non esistevano solo Dio e odio, dove la gente aveva vissuto un milione di anni di storia, dove capivano tutto!

Quella stessa sera, disse a mamma e papà che voleva andare alla Scuola di Tirocinio per cercare di essere ammessa all’Università Ecumenica. Lo annunciò con molta timidezza, ma i suoi genitori non ne furono costernati, non parvero nemmeno sorpresi. «Andarsene da questo mondo, adesso, mi sembra un’ottima idea» disse la mamma.

Erano così calmi e favorevoli che lei pensò: "Non si rendono conto che se otterrò l’abilitazione e verrò mandata su uno degli altri mondi, non mi rivedranno più?". Cinquant’anni, cento, centinaia di anni… i viaggi di andata e ritorno nello spazio in genere duravano raramente di meno, spesso di più. A loro non importava? Solo più tardi, quella sera, quando stava osservando il profilo di suo padre a tavola — le labbra carnose, il naso aquilino, i capelli che cominciavano a ingrigire, una faccia severa e fragile — si rese conto che se l’avessero inviata su un altro mondo nemmeno lei li avrebbe più rivisti. Mamma e papà ci avevano pensato prima di lei. Breve presenza e lunga assenza, il loro rapporto era sempre stato così. E si erano adattati, accontentandosi.

«Mangia, Zietta» disse la mamma, ma Zietta si limitò a dare dei colpetti al proprio pezzo di naan con le piccole dita simili ad antenne d’insetto, senza prenderlo dal piatto.

«Impossibile fare del buon pane con una farina del genere» disse, discolpando il fornaio.

«La vita al villaggio ti ha viziata» la canzonò la mamma. «Questa è la farina migliore che si possa trovare in Canada. Paglia tritata e gesso in polvere di prima qualità.»

«Sì, sono viziata» annuì Zietta, sorridendo da un paese lontano.

Gli slogan più vecchi erano incisi sulle facciate degli edifici: AVANTI VERSO IL FUTURO. I PRODUTTORI-CONSUMATORI DI AKA MARCIANO VERSO LE STELLE. Quelli più nuovi scorrevano sugli .edifici in nastri abbaglianti di caratteri elettronici: IL PENSIERO REAZIONARIO È IL NEMICO SCONFITTO. Quando i display funzionavano male, i messaggi diventavano ermetici: IO È ONE. I più recenti si libravano olografici sopra le strade: LA SCIENZA PURA DISTRUGGE LA CORRUZIONE. IN ALTO, AVANTI, SEMPRE AVANTI. Erano accompagnati da musica, una musica molto ritmata, corale, che affollava l’aria. «Avanti, avanti verso le stelle!» strillava un coro invisibile al traffico bloccato all’incrocio dove era fermo il robotaxi di Sutty. Sutty alzò il volume dell’audio del taxi per coprire il motivo che risuonava all’esterno. «La superstizione è un cadavere putrescente» disse l’impianto audio, con una voce maschile profonda e affascinante. «Le pratiche superstiziose contaminano la mente dei giovani. È dovere di ogni cittadino, adulto o studente, riferire gli insegnamenti reazionari e denunciare alle autorità gli insegnanti che consentono la sedizione o introducono nelle aule l’irrazionalità e la superstizione. Alla luce della Pura Scienza sappiamo che la fervida collaborazione di tutto il popolo è il primo requisito…» Sutty abbassò l’audio al minimo. Il coro esterno riesplose: «Alle stelle! Alle stelle!» e il robotaxi balzò in avanti di un paio di metri. Ancora due balzi come quello, e forse sarebbe riuscito a superare l’incrocio al prossimo verde.

Sutty si frugò nelle tasche della giacca, cercando un akagest, ma li aveva mangiati tutti. Le faceva male lo stomaco. Cibo cattivo, aveva mangiato troppo cibo cattivo per troppo tempo, robaccia trattata, integrata con proteine e condimenti e stimolanti, che costringeva a comprare gli stupidi akagest. E gli stupidi e assurdi ingorghi stradali causati dalle stupide auto malfatte che si rompevano in continuazione, e il rumore continuo, gli slogan, le canzoni, la propaganda, un popolo che a suon di strombazzamenti si gasava e commetteva tutti gli errori commessi da ogni altra popolazione in fase di rapido progresso tecnologico… Sbagliato.

Atteggiamento giudicatorio. Era sbagliato permettere che la frustrazione le annebbiasse il pensiero e le percezioni. Era sbagliato avere preconcetti. Guardare, ascoltare, rilevare: osservare. Ecco il suo compito. Quello non era il suo mondo.

Ma lei era lì, su quel pianeta, in quel mondo. Come poteva osservarlo dal momento che era impossibile distaccarsene? O l’iperstimolazione dei quasiveri che doveva studiare, o il frastuono delle strade: non c’era nessun posto dove andare per sottrarsi all’incessante aggressione della propaganda, tranne la solitudine del suo appartamento, dove poteva isolarsi dal mondo che era venuta a osservare.

In sostanza, non era adatta a fare l’osservatrice, lì. In altri termini, era il suo primo incarico e lei aveva fallito. Sapeva che l’inviato l’aveva convocata per dirle questo.

Era già quasi in ritardo per l’appuntamento. Il robotaxi fece un altro balzo in avanti, e l’impianto audio alzò automaticamente il volume per uno degli annunci dell’Azienda. Non esisteva pulsante di spegnimento. «Un annuncio del Dipartimento di Astronautica!» disse una voce femminile sonora, energica, sicura. E Sutty si coprì gli orecchi con le mani e gridò: «Chiudi il bec…».

«Le porte del veicolo sono chiuse» disse il robotaxi, con la monotona voce meccanica assegnata alle macchine che rispondevano a ordini verbali. Sutty si rese conto della comicità della situazione, ma non riuscì a ridere. L’annuncio proseguì interminabile, mentre le voci stridule nell’aria cantavano: «Sempre più in alto, sempre più grandi, in marcia verso le stelle!».

L’inviato dell’Ekumene, un chiffewariano dagli occhi miti di nome Tong Ov, era ancora più in ritardo di lei all’appuntamento perché aveva perso tempo quando era uscito di casa per colpa del cattivo funzionamento del lettore d’identità del palazzo, episodio di cui rise. «E qui in ufficio il sistema ha smarrito il microdoc che volevo darti» disse, spulciando file. «L’ho codificato, perché naturalmente controllano i miei file, e il mio codice ha confuso il sistema. Però so che il documento è qui, da qualche parte… Intanto raccontami come sono andate le cose.»

«Be’» esordì Sutty, e s’interruppe. Da mesi parlava e pensava in dovzano. Per un attimo, anche lei dovette esaminare i propri file: hindi no, inglese no, hainiano sì. «Mi hai chiesto di preparare un rapporto sulla lingua e la letteratura contemporanee. Ma i cambiamenti sociali avvenuti qui mentre ero in viaggio… Be’, dato che adesso è illegale parlare o studiare qualunque lingua che non sia il dovzano o l’hainiano, non posso lavorare sulle altre lingue. Sempre che esistano ancora. Quanto al dovzano, i Primi Osservatori hanno compiuto un’indagine linguistica molto accurata. Io posso solo aggiungere qualche dettaglio e qualche vocabolo.»

«E per quanto riguarda la letteratura?» chiese Tong.

«Tutti i testi scritti nei vecchi caratteri sono stati distrutti. O se esistono ancora, non so di cosa si tratti, perché il Ministero non permette di accedervi. Quindi, ho potuto studiare solo la letteratura audio moderna. Tutta scritta in base ai dettami dell’Azienda. In genere è molto… è standardizzata.»


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