Sutty guardò Tong Ov per vedere se le sue lagnanze lo annoiassero ma, nonostante stesse ancora cercando il file smarrito, sembrava che stesse ascoltando con vivo interesse. «Tutto audio, eh?» disse.
«A parte i manuali dell’Azienda, in pratica non c’è nulla di stampato, esclusi i testi per i sordi e i manualetti elementari che accompagnano i testi audio per gli scolari… La campagna contro le vecchie forme ideografiche è stata molto efficace, a quanto pare. Forse, a causa di essa, la gente ha paura di scrivere… diffida della scrittura in generale. Comunque, per quanto concerne la letteratura, sono riuscita a procurarmi solo nastri audio e quasiveri. Pubblicati dal Ministero Mondiale dell’Informazione e dal Ministero Centrale della Poesia e dell’Arte. Si tratta perlopiù di materiale educativo o informativo, e non di… be’, letteratura o poesia come le intendo io. Anche se molti quasiveri sono drammatizzazioni di problemi pratici o etici e relative soluzioni…» Si stava talmente sforzando di parlare in modo neutro, obiettivo, senza pregiudizi, che la sua voce era completamente atona.
«Sembra molto noioso» commentò Tong, continuando a esaminare file.
«Be’, mi sento apatica, credo di essere insensibile a questa estetica. È così politicizzata che… Certo, qualsiasi arte è politicizzata. Ma quando è tutto didascalico, quando ogni cosa è al servizio di un sistema di convinzioni, mi dà fastidio… voglio dire, oppongo resistenza. Ma cerco di non farlo. Forse, dal momento che fondamentalmente hanno cancellato la loro storia… Certo, era impossibile sapere che erano sull’orlo di una rivoluzione culturale, quando sono stata inviata qui… In ogni modo, per questo incarico di Osservatore toccato a me, forse è stato un errore scegliere una terrestre. Noi sulla Terra, infatti, stiamo vivendo il futuro di un popolo che ha rinnegato il proprio passato.»
Sutty s’interruppe di colpo, allibita per tutto ciò che aveva detto.
Tong si girò verso di lei, impassibile. Disse: «Non mi sorprende che tu abbia la sensazione di trovarti di fronte a un compito impossibile. Però mi serviva la tua opinione. Quindi quello che hai fatto è stato utile per me, anche se faticoso per te. Ci vuole un cambiamento». C’era un luccichio nei suoi occhi scuri. «Che ne dici di risalire il fiume?»
«Il fiume?»
«È l’espressione che usano qui per riferirsi a "un posto sperduto", vero? Ma in effetti io mi riferivo proprio all’Ereha.»
Quando Tong disse il nome, Sutty si ricordò che un grande fiume attraversava la capitale, in parte coperto, e talmente nascosto da edifici e banchine che lei non ricordava di averlo mai visto, se non sulle cartine.
«Intendi dire, uscire da Dovza City?»
«Sì» rispose Tong. «Fuori dalla città! E non in un’escursione guidata! Per la prima volta in cinquant’anni!» Era raggiante, come un bambino che tira fuori un regalo nascosto, una splendida sorpresa. «Sono qui da due anni, e ho presentato ottantuno richieste di inviare un membro del nostro gruppo fuori da Dovza City o Kangnegne o Ert. Richieste garbatamente respinte per ottanta volte, accompagnate dalla proposta dell’ennesima visita guidata per ammirare gli impianti del programma spaziale o le bellezze della primavera nelle Isole Orientali. Presento queste richieste per abitudine, di routine. E all’improvviso ne accolgono una! Sì! "Un membro del vostro gruppo è autorizzato a trascorrere un mese a Okzat-Ozkat." O è Ozkat-Okzat? È una piccola città nella regione pedemontana, lungo il fiume. L’Ereha nasce nella Grande Catena delle Sorgenti, a circa millecinquecento chilometri dalla costa. Ho chiesto quella regione, il Rangma, non aspettandomi affatto che accogliessero la richiesta. E invece l’hanno accolta!» Tong gongolava.
«Perché proprio là?»
«Ho sentito dire che là vive della gente che sembra interessante.»
«Una minoranza etnica?» chiese Sutty, speranzosa. Poco dopo il suo arrivo, quando aveva incontrato per la prima volta Tong Ov e gli altri due Osservatori attualmente a Dovza City, avevano discusso della massiccia monocultura che caratterizzava le grandi città di Aka, gli unici posti dove ai pochi extraplanetari ammessi su quel mondo fosse consentito vivere. Erano tutti convinti che la società akana avesse delle diversità, delle variazioni regionali, ed era frustrante non poterle scoprire.
«Una setta, credo, più che una minoranza etnica. Un culto. Forse, resti nascosti di una religione proibita.»
«Ah» disse Sutty, cercando di mantenere un’espressione interessata.
Tong era ancora alle prese con i file. «Sto cercando le poche informazioni che ho raccolto sull’argomento. Rapporti del Dipartimento Socioculturale sulle attività di culto antiscientifiche criminali rimaste. E anche qualche diceria e qualche storia. Riti segreti, camminare sul vento, cure miracolose, predizione del futuro. Il solito.»
Ereditare una storia di tre milioni di anni significava trovare ben poco che potesse definirsi insolito nel comportamento o nell’inventiva umana. Gli hainiani erano abituati a quel retaggio, ma per i loro vari discendenti era un onere gravoso sapere che avrebbero stentato parecchio a trovare qualcosa di nuovo, perfino di immaginario, sotto qualsiasi sole.
Sutty non disse nulla.
«Nel materiale inviato sulla Terra dai Primi Osservatori in missione qui su Aka» proseguì Tong «non c’era nulla che riguardasse le religioni?»
«Be’, dato che solo il rapporto linguistico è arrivato a destinazione intatto, per le informazioni su tutto il resto ci siamo dovuti accontentare del poco che siamo riusciti a dedurre dal lessico.»
«Tutte quelle informazioni dalle uniche persone che hanno avuto modo di studiare Aka liberamente… perse per un difetto di funzionamento» commentò Tong, mettendosi comodo sulla sedia e lasciando che il vaglio dei file si completasse automaticamente. «Che sfortuna! Sarà stato proprio un difetto di funzionamento?»
Come tutti i chiffewariani, Tong era totalmente calvo, un chihuahua, nel gergo di Valparaíso. Per mascherare il proprio aspetto insolito lì su Aka, dove la calvizie era assai rara, portava un cappello; ma dato che gli akani di rado lo portavano, forse Tong sembrava ancora più alieno col cappello che senza. Era un uomo garbato, alla mano, schietto, che cercava di mettere Sutty il più possibile a proprio agio; tuttavia era così discreto da risultare, in definitiva, distaccato. La sua riservatezza inviolabile non offriva alcuna intimità. Sutty era contenta che lui accettasse il suo riserbo. Finora, Tong aveva mantenuto il proprio. Ma la domanda che le aveva fatto le sembrò insincera. Tong sapeva sicuramente che la perdita di dati durante la trasmissione non era stata un incidente. Perché avrebbe dovuto spiegarglielo lei? Sutty aveva messo bene in chiaro che viaggiava senza bagaglio, come facevano gli Osservatori e i Mobili nello spazio da secoli. Non rispondeva del posto da cui la separavano ormai sessanta anni luce. Non era responsabile della Terra e del suo sacro terrorismo.
Il silenzio si protrasse, e alla fine Sutty disse: «L’ansible di Pechino è stato sabotato».
«Sabotato?»
Lei annuì.
«Dagli Unisti?»
«Verso la fine del regime ci sono stati attacchi contro la maggior parte delle installazioni dell’Ekumene e le zone protette. Le Riserve.»
«Ne hanno distrutte molte?»
Cercava di farla parlare. Di spingerla a raccontare. Sutty fu invasa dalla collera. Era furiosa. Aveva la gola serrata. Non disse nulla, perché era incapace di parlare.
Ci fu una pausa considerevole.
«Dunque, a parte il rapporto linguistico, non è arrivato nulla» disse Tong.
«Quasi nulla.»
«Che sfortuna!» ripeté con veemenza Tong Ov. «Che i Primi Osservatori fossero terrestri, e che quindi abbiano inviato il loro rapporto alla Terra invece che a Hain… un fatto non proprio insolito, ma comunque una disdetta. E una sfortuna anche peggiore, forse, che le trasmissioni via ansible provenienti dalla Terra siano giunte tutte a destinazione. Tutte le informazioni tecniche chieste dagli akani, che la Terra ha inviato, senza alcuna obiezione, senza alcuna restrizione… Perché? Perché i Primi Osservatori hanno consentito un intervento culturale così massiccio?»