«La maggior parte delle vecchie regioni e dei vecchi stati stavano ripristinando governi democratici, sceglievano i loro capi attraverso le elezioni, e ricostituivano l’Unione Terrestre, e accoglievano volentieri la gente degli altri mondi dell’Ekumene. Fu un periodo eccitante. Era meraviglioso vedere l’Unismo che crollava, si sgretolava. Un numero sempre più grande di credenti era convinto che Dalzul fosse dio, ma per un numero altrettanto grande di credenti Dalzul era invece il… il contrario di dio, assolutamente malvagio. Alcuni di questi, chiamati Penitenti, andavano in processione cospargendosi la testa di cenere, e si frustavano a vicenda per espiare la colpa di avere frainteso il volere di dio. E si crearono molti gruppi autonomi, che sceglievano come loro Salvatore un Padre unista o qualche capo terrorista e prendevano ordini da lui. Erano tutti pericolosi, erano tutti violenti. I Dalzuliti dovevano proteggere Dalzul dagli anti-Dalzuliti, che volevano ucciderlo. Tutti piazzavano bombe in continuazione, tentavano attacchi suicidi. Tutti. Avevano sempre usato la violenza, perché il loro credo la giustificava. Secondo il loro credo, dio ricompensava coloro che distruggevano i miscredenti e la miscredenza. Ma perlopiù si distruggevano a vicenda, facendosi a pezzi. Le chiamavano Guerre Sante. Un periodo spaventoso, ma non sembrava che ci fossero problemi seri per il resto di noi… L’Unismo si stava semplicemente autodistruggendo.

«Be’, prima che si arrivasse a quel punto, quando la Liberazione era appena iniziata, la mia città fu liberata. E ballammo nelle strade. E io vidi una donna che ballava. E m’innamorai di lei…»

Sutty s’interruppe.

Era stato tutto abbastanza facile, fino a quel punto. Un punto oltre il quale non era mai andata. La storia che aveva raccontato solo a se stessa, solo in silenzio, prima di dormire, terminava lì. Sentì la gola serrarsi.

«So che secondo te è una cosa sbagliata» disse.

Dopo un’esitazione, Yara rispose: «Dato che da una unione di questo tipo non può nascere nessun bambino, il Comitato per l’Igiene Morale ha dichiarato…».

«Sì, lo so. I Padri unisti hanno dichiarato la stessa cosa. Perché dio ha creato la donna come ricettacolo del seme maschile… Ma dopo la Liberazione, non dovevamo nasconderci per paura di essere mandate in qualche campo di rinascita. Come le vostre coppie di maz che vengono mandate nei centri di riabilitazione.» Sutty lo guardò, provocatoria.

Lui non raccolse la provocazione. Accettò le sue parole, e attese, disposto ad ascoltare.

Sutty non poteva girare attorno all’argomento, né evitarlo. Doveva affrontarlo, parlandone. Doveva raccontare.

«Siamo vissute insieme due anni» riprese. La voce le uscì così bassa che Yara si piegò un po’ verso di lei per sentire. «Lei era molto più graziosa di me. E molto più intelligente. E più dolce. E rideva. A volte, rideva nel sonno. Si chiamava Pao.»

Con il nome arrivarono le lacrime, ma le tenne a freno.

«Io avevo due anni più di lei, ed ero avanti di un anno nello studio. Per stare con lei, rimasi un altro anno a Vancouver. Poi dovetti partire e iniziare l’addestramento al Centro Ekumenico, in Cile. Un paese molto lontano, a sud. Pao mi avrebbe raggiunta una volta ottenuta la laurea. Avremmo studiato assieme e formato una squadra, una squadra di Osservatori. Saremmo andate insieme su nuovi mondi. Piangemmo parecchio quando dovetti partire per il Cile, ma la separazione fu meno dolorosa di quello che pensavamo. Non fu affatto dolorosa, anzi, perché potevamo parlare sempre al telefono e in rete, e sapevamo che ci saremmo riviste in inverno, e poi, dopo la primavera, lei mi avrebbe raggiunta e saremmo rimaste insieme per sempre. Eravamo insieme. Eravamo come maz. Eravamo due che non erano due, ma uno. In fondo era un piacere, una gioia, sentire la sua mancanza, perché lei per me esisteva comunque, e potevo sentire la sua mancanza. Lei mi disse la stessa cosa, disse che quando fossi tornata a Vancouver in inverno le sarebbe mancato il fatto di sentire la mia mancanza…»

Sutty aveva cominciato a piangere, ma erano lacrime facili, non amare. Dovette solo interrompersi per tirar su col naso e asciugarsi gli occhi.

«Così tornai a Vancouver per le vacanze. In Cile era estate, ma a Vancouver, inverno. E noi… ci abbracciammo e ci baciammo e preparammo il pranzo. E andammo a trovare i miei genitori e quelli di Pao, e a passeggiare nel parco, dove c’erano grandi alberi, vecchi alberi. Pioveva. Piove parecchio, là. Mi piace la pioggia.»

Le lacrime erano cessate.

«Pao andò in biblioteca, in centro, a cercare qualcosa per gli esami che avrebbe dato dopo le vacanze. Volevo andare con lei, ma avevo il raffreddore, così lei mi disse di rimanere in casa per non bagnarmi… e poi io avevo voglia di poltrire, così restai nel nostro appartamento, e mi addormentai.

«Ci fu un attacco di terroristi della Guerra Santa. Erano un gruppo chiamato Purificatori della Terra. Credevano che Dalzul e l’Ekumene fossero servi dell’anti-dio e andassero eliminati. Molti di loro aveva fatto parte delle forze armate uniste. Disponevano di alcune delle armi accumulate dai Padri unisti e le usavano contro le scuole.»

Sutty udì la propria voce, spenta come poco prima quella di Yara.

«Usarono degli aerei telecomandati, bombardieri senza equipaggio. Da centinaia di chilometri di distanza, dal North Dakota e dal South Dakota. Stando nascosti sottoterra e premendo un pulsante, mandarono i bombardieri. Fecero saltare in aria l’università, la biblioteca, interi isolati del centro, migliaia di persone rimasero uccise. Cose del genere accadevano di continuo nelle Guerre Sante. Lei era solo una persona fra tante. Non era nessuno, non contava nulla, era solo una persona. Io ero a casa. Sentii il rumore delle esplosioni…»

La gola le faceva male, ma le faceva sempre male. Le avrebbe fatto sempre male.

Per un po’, non riuscì a dire altro.

Yara chiese sommesso: «I tuoi genitori rimasero uccisi?».

La domanda la commosse. La rianimò, consentendole di rispondere. Disse: «No. Rimasero illesi. Mi trasferii da loro. Poi tornai in Cile».

Restarono seduti in silenzio. Nella montagna, nelle caverne piene di essere. Sutty era stanca, esausta. Dalla faccia e dalle mani di Yara, capì che anche lui era stanco, e che soffriva. Il silenzio che li accomunava dopo le parole era calmo, una benedizione meritata.

Trascorso parecchio tempo, Sutty udì delle persone che parlavano, e si scosse dal silenzio.

Sentì la voce di Odiedin, e dopo alcuni istanti, fuori dalla tenda, il maz chiamò: «Yara?».

«Entra» lo invitò Yara. Sutty scostò il lembo dell’apertura.

«Ah» fece Odiedin. Nel debole bagliore della lanterna, la sua faccia scura dagli zigomi marcati che sbirciava all’interno, guardandoli, era una simpatica maschera da folletto.

«Abbiamo parlato» disse Sutty. Uscì dalla tenda e si fermò accanto a Odiedin, stiracchiandosi.

«Sono venuto per i tuoi esercizi fisici» disse Odiedin a Yara, inginocchiandosi nell’apertura.

«Si rimetterà in piedi presto?» chiese Sutty al maz.

«Usare le stampelle è doloroso, a causa delle lesioni alla schiena» spiegò Odiedin. «Alcuni muscoli sono ancora strappati. Continuiamo la cura.»

Entrò nella tenda, carponi.

Sutty fece per allontanarsi, poi si voltò e guardò dentro. Andarsene senza una parola, dopo una conversazione come quella, era sbagliato.

«Tornerò domani, Yara» disse. Lui borbottò qualcosa sottovoce. Sutty si drizzò, e guardò la caverna nel bagliore fioco che proveniva dalle altre tende. Non riuscì a vedere l’intaglio dell’Albero nella parete in fondo, solo un paio di minuscole gemme che scintillavano nel fogliame.

La Caverna dell’Albero aveva un’uscita che portava all’esterno, non lontano dalla tenda di Yara. Imboccando l’uscita, si attraversava una caverna più piccola e si arrivava a un breve passaggio che terminava con un arco così basso che bisognava strisciare per uscire alla luce del sole.


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